Sentenza del 19/09/2014 n. 19754 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

Svolgimento del processo

1. E' impugnata per cassazione la sentenza 1521/08 del 22.10.2008, con la quale la Corte d'Appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado che aveva condannato l'amministrazione finanziaria a rimborsare alla Comunità montana - X - l'IVA da questa corrisposta sugli aggi dovuti alla Cassa di Risparmio di - Z - per la prestazione del servizio di riscossione, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sul rilievo che a seguito della richiesta di chiamare in causa l'amministrazione finanziaria formulata dal concessionario, "l'alternativa che si poneva al giudice di primo grado… era o di rigettare tale richiesta per carenza di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti dell'amministrazione finanziaria in merito all'accertamento di un debito tributario, o, una volta avvenuta la chiamata, ritenere appunto di non potere emettere alcuna pronuncia nei confronti dell'amministrazione dichiarando il difetto di giurisdizione o ordinandone l'estromissione dal giudizio e limitandosi alla sola decisione di ripetizione svolta dalla Comunità Montana nei confronti del servizio di riscossione tributi". Né d'altro canto - ha aggiunto la Corte - era altrimenti statuibile la domanda di rimborso, svolta dalla Comunità subordinatamente all'accoglimento dell'eccezione di terzietà dell'amministrazione, atteso che l'atto di appello di quest'ultima "inteso a modificare la sentenza in senso sfavorevole non già all'appellante principale, ma all'altro appellato, cioè al servizio riscossione tributi, avrebbe dovuto essergli notificato, cosa che non è avvenuta, pena la non integrità del contraddittorio".

Il mezzo ora azionato avanti a questa Corte dalla ricorrente Comunità montana - X - è affidato a cinque motivi di gravame. Resistono con controricorso l'amministrazione finanziaria ed il concessionario. Quest'ultimo ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

2.1. Con il primo motivo di ricorso, la Comunità impugnante deduce vizio di giurisdizione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, in quanto i giudici di appello, pronunciandosi nei riferiti termini declinatori, non avrebbero tenuto conto che essa ricorrente aveva agito "in base ad un rapporto negoziale nel quale si assume che il servizio di riscossione ha indebitamente conteggiato l'IVA sugli importi ad esso spettanti per la riscossione", che "la chiamata in causa dell'amministrazione finanziaria da parte del servizio di riscossione tributi… non spostava la giurisdizione del giudice ordinario che permane… per il fatto che le controversie relative ai contributi di bonifica sono attribuite alla sua sfera di cognizione esulando dalle materie di cui all'elenco tassativo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2" e che in ogni caso "il relativo accertamento sul debito di imposta resta attratto nella giurisdizione del giudice ordinario quale accertamento incidentale all'interno dell'azione di ripetizione dell'indebito".

2.2. Il motivo è infondato.

Premesso in fatto che la ricorrente Comunità ha impetrato avanti al Tribunale di Lucca la condanna del concessionario, agente per la riscossione dei contributi periodicamente dovuti dai consorziati, al rimborso dell'IVA in ragione della non assoggettabilità ad imposta delle operazioni relative al versamento dei tributi ( D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 5) e che il Tribunale di Firenze, avanti al quale la causa era stata rimessa a seguito della chiamata in causa dell'Amministrazione finanziaria chiesta a titolo di manleva dal concessionario, ha direttamente condannato la chiamata a rimborsare all'attrice le somme richieste, questa Corte, sul presupposto divenuto pacifico nella giurisprudenza successiva secondo cui la cognizione delle controversie in parola spetti alla giurisdizione tributaria in quanto avente ad oggetto la debenza di un tributo con efficacia di giudicato nei confronti dell'Amministrazione medesima (20752/08; 12433/11; 18425/12) ed in considerazione del quale risulta perciò ultroneo investire dell'odierna vicenda le SS.UU., ha da tempo chiarito che "in tema di IVA, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda proposta dal consumatore finale nei confronti del professionista o dell'imprenditore che abbia effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle maggiori somme addebitategli in via di rivalsa per effetto dell'applicazione di un'aliquota asseritamente superiore a quella prevista dalla legge:

poiché, infatti, soggetto passivo dell'imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi, la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati, che comporta un mero accertamento incidentale in ordine all'ammontare dell'imposta applicata in misura contestata. La giurisdizione del giudice ordinario, peraltro, non attrae la domanda proposta dal soggetto passivo mediante la chiamata in causa dell'Amministrazione finanziaria, in quanto la stessa introduce una controversia relativa al rapporto d'imposta, devoluta in via esclusiva alla giurisdizione del giudice tributario" (SS.UU. 2686/07).

Non si espone perciò alla denunciata censura il pronunciamento qui impugnato, dal momento che il giudice territoriale all'atto di riformare la sentenza di primo grado, laddove questa aveva pronunciato la condanna dell'amministrazione finanziaria chiamata in causa a rimborsare direttamente l'attrice dell'IVA assolta sulla riscossione degli aggi, si è esattamente attenuto a questo principio di diritto, declinando coerentemente con esso la propria giurisdizione, atteso che è precluso al giudice ordinario, per la riserva di giurisdizione a favore del giudice tributario decretata dl D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1 nel testo risultante a seguito delle modifiche disposte dal D.L. 10 settembre 2005, n. 203, art. 3-bis, comma 1, lett. a), convertito in L. 2 dicembre 2005, n. 248, la cognizione delle controversie che abbiano ad oggetto, come nel caso dell'indebito di imposta, il rapporto tributario corrente tra il contribuente e l'amministrazione finanziaria. Di tal che nessuna statuizione di condanna poteva essere adottata dal giudice ordinario nei confronti di quest'ultima senza violare la giurisdizione del giudice tributario, tanto che, come ancora ipotizzato dalla sentenza impugnata, avanti alla domanda di condanna dell'amministrazione finanziaria spiegata dal concessionario convenuto, il g.o., lungi in ogni caso dal poter snaturare la natura della chiamata, fino al punto di ritenere che la Comunità attrice fosse direttamente legittimata a reclamare il rimborso nei confronti dell'amministrazione finanziaria, avrebbe dovuto pure ricusare la pronuncia richiesta, in quanto estranea alla sua giurisdizione.

3.1. La sentenza, malgrado ciò, è, come si vedrà dall'esame degli ulteriori motivi di gravame, comunque errata.

La nullità di essa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce infatti con il secondo motivo di doglianza risultando nella specie violati, in relazione alla proposta domanda subordinata di essa ricorrente, intesa comunque a conseguire la condanna al rimborso del convenuto ente di riscossione, gli artt. 112, 343 e 346 c.p.c., il primo, perché "la sentenza di secondo grado… ha omesso di decidere sulla domanda", malgrado essa fosse stata espressamente riproposta nelle conclusioni formulate con la costituzione in appello; il secondo, perché, disconoscendo l'appello di essa ricorrente in difetto della sua notificazione, i giudici di appello hanno obliterato che "la costituzione in giudizio in sede di appello ed il deposito in cancelleria della comparsa di costituzione…

costituiscono rituale forma di proposizione dell'impugnazione incidentale ai sensi dell'art. 343 c.p.c."; il terzo, perché la domanda di ripetizione era stata comunque riproposta nelle riportate conclusioni ed essa ricorrente non aveva inteso "rinunciarvi nè implicitamente nè esplicitamente in ipotesi di riforma della sentenza" di primo grado. Parimenti con il terzo motivo di ricorso, l'impugnante Comunità lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 333, 343 e 292 c.p.c. dal momento che, costituendosi nel giudizio di appello e reiterando la domanda svolta in primo grado, "\� indiscutibile che la costituzione in giudizio ed il deposito in cancelleria della comparsa di costituzione della odierna ricorrente costituisce rituale forma di proposizione dell'impugnazione incidentale, di per sì idonea a determinare la conoscenza anche nei confronti dell'appellata Cassa di Risparmio… gerente il servizio di riscossione tributi", non essendo d'altro canto applicabile nella specie l'art. 292 c.p.c..

Indi, il quarto motivo di gravame denuncia il medesimo vizio in relazione agli artt. 346, 343 e 333 c.p.c. non avendo "la Corte d'Appello di Firenze comunque ritenuto che la Comunità Montana avesse assolto ai sensi dell'art. 346 c.p.c. all'onere dell'espressa riproposizione della domanda di pagamento e ripetizione avanzata nei confronti del servizio riscossione tributi", contrariamente alle conclusioni formulate in sede di comparsa depositata all'atto della costituzione.

3.2. I detti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente censurandosi per loro tramite la decisione dei giudici fiorentini per aver ritenuto di non poter statuire diversamente ed in particolare per non aver potuto accogliere la domanda attrice nei confronti del concessionario in difetto della rituale notificazione dell'atto di appello al concessionario, risultano fondati e meritano perciò accoglimento.

La Corte d'Appello, assume come visto, utilizzando l'icastica espressione di essersi perciò trovata "con le mani legate", di non aver potuto accogliere, insieme al vizio di giurisdizione denunciato dall'amministrazione finanziaria nel proprio atto di appello, pure la domanda attrice, intesa quantomeno a conseguire la condanna del concessionario convenuto, poiché l'appello incidentale della Comunità, attrice in primo grado, "diretto a modificare la sentenza in senso sfavorevole non già all'appellante principale, ma all'altro appellato, cioè al servizio di Riscossione Tributi, avrebbe dovuto essergli notificato, cosa che non è avvenuta, pena la non integrità del contraddittorio". Il ragionamento è errato e viola in parte le norme denunciate. In particolare, fermo che il vizio di omessa pronuncia per gli effetti dell'art. 112 c.p.c. si concreta "quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l'attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all'attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto"( 15052/14; 7563/12; 20311/11), va qui rammentato che l'art. 343 c.p.c., comma 1 stabilisce che "l'appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta all'atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell'art. 166", mentre a sua volta l'art. 346 c.p.c. prevede che "le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado che non sono espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate". Da questo coordinato disposto di norme, a cui si può integrare pure il dettato dell'art. 292 c..c., comma 1, nella parte in cui enuncia il principio della notificazione al contumace degli atti contenenti nuove domande, si ritrae il complessivo assunto che non sono rinunciate le domande formalmente riproposte, che l'appello incidentale che le contiene è ritualmente proposto con la costituzione dell'appellato in cancelleria e che la notificazione è di regola richiesta solo in presenza di domande nuove. Orbene nella specie, quanto al primo postulato, neppure i giudici fiorentini dubitano del fatto che la Comunità all'atto di costituirsi in appello intendesse far salva la propria iniziale proposizione nei confronti del concessionario, se pervengono a notare che "c'è invero nella formulazione delle sue conclusioni in seno alla comparsa di costituzione in questo grado una richiesta subordinata (…) di condannare il Servizio Riscossione al pagamento delle somme in questione, richiesta che fa pensare ad una volontà di appello subordinato". Non trovano invece adesione nella sentenza impugnata il secondo ed il terzo postulato e perciò, anche in ragione delle violazioni che si deducono in relazione agli artt. 343 e 292 c.p.c., la sentenza merita di essere cassata. Risulta invero errato rispetto ad entrambi il convincimento che l'appello incidentale spiegato dalla Comunità dovesse essere pure notificato al concessionario, pena la non integrità del contraddittorio. Come visto l'appello incidentale si propone con il deposito nei termini dell'art. 166 c.p.c. della comparsa in cancelleria, senza che sia necessaria alcuna preventiva notificazione dell'atto che lo contiene, non diversamente del resto dal procedimento di primo grado che sul punto quello di appello riproduce fedelmente. E questo principio, come questa Corte ha reiteratamente affermato opera indifferentemente "sia allorché l'appello incidentale sia rivolto contro l'appellante principale sia nell'eventualità sia proposto contro altra parte già costituita o che si costituisca prima del decorso del termine di impugnazione" (9649/11; 22903/12; 15352/05). Né d'altro canto la necessità della notificazione è argomentarle alla stregua di un'ipotetica violazione dell'integrità del contraddittorio, che neppure il precedente di questa Corte indicato dal giudice d'appello è, se rettamente inteso, in grado di avallare idoneamente, essendosi nell'occasione affermata, sul filo dell'insegnamento dianzi ricordato, la necessità della notificazione dell'appello incidentale nei confronti della sola parte contumace e per di più nella sola ipotesi in cui "la domanda proposta producesse, ove accolta, effetti sfavorevoli nei confronti di quest'ultima o si fondasse su di un titolo giuridico o contenesse pretese diversi da quelli fatti valere nel giudizio di primo grado". Con un distacco, perciò, rispetto alla specie in decisione, che è considerevole dato che qui il concessionario non solo aveva resistito nel giudizio di primo grado e si era costituito nel giudizio di appello, acquisendo perciò nell'uno e nell'altro la veste piena di parte processuale - e tanto basta ad escludere la sussistenza della violazione preconizzata - ma la sua partecipazione al giudizio di secondo grado era stata tutt'altro che il mero riflesso del litisconsorzio processuale realizzatosi in primo grado, dato che il concessionario aveva a sua volta appellato in via incidentale la sentenza di primo grado, di modo che il deposito in cancelleria della comparsa di costituzione contenente l'appello incidentale della Comunità valeva senz'altro ad integrare il contraddittorio anche nei suoi confronti, senza alcun onere aggiuntivo, e segnatamente senza alcun onere di preventiva notificazione.

L'impugnata sentenza va dunque in parte qua cassata e la causa, assorbito il quinto motivo, va rinviata al giudice territoriale per il doveroso riesame ai sensi dell'art. 383 c.p.c., comma 1.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo, dichiara assorbito il quinto, cassa l'impugnata sentenza e rinvia avanti alla Corte d'Appello di Firenze, che in altra composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 23 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2014

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