Sentenza del 22/12/2000 n. 16076 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Massime

IMPOSTA DI REGISTRO - DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE - VALORE VENALE - IMMOBILI O DIRITTI REALI IMMOBILIARI - ONERI DELL'UFFICIO - AVVISO DI RETTIFICA - CONTENUTO - ONERE DI INDICAZIONE DEGLI SPECIFICI ATTI PUBBLICI UTILIZZATI E DEGLI ESTREMI DI REGISTRAZIONE - SUSSISTENZA - ONERE DI ALLEGAZIONE DEGLI ATTI UTILIZZATI - ESCLUSIONE - ONERI DEL CONTRIBUENTE - ONERE DI CONTESTAZIONE DEL CONTENUTO E DI PROVA DELL'INAFFIDABILITA' O DELL'INCONFERENZA DEGLI ATTI INDICATI NELL'AVVISO - SUSSISTENZA - FONDAMENTO

In tema di imposta di registro, l'avviso di rettifica del valore degli immobili e' completo (e quindi legittimo), ai sensi degli artt. 51 e 52 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nel momento in cui contiene l'indicazione degli atti specifici utilizzati e gli estremi della registrazione, per consentire al contribuente che ne ha interesse di richiedere tali atti e di contestarli nel merito nella maniera piu' opportuna e producente. Trattandosi di atti pubblici il privato ne puo' conseguire la disponibilita' in ogni momento, per cui correttamente la legge non prevede per l'ufficio l'onere dell'allegazione (onere che non puo' essere introdotto dall'interprete). A fronte di un onere di indicazione degli atti sorge per il contribuente un onere di contestazione del relativo contenuto. Le norme in questione abilitano l'amministrazione ad usare tali atti; il problema della loro affidabilita' e' problema che si pone nel giudizio, per effetto della contestazione da parte di chi ne subisce gli effetti negativi e cioe' da parte del contribuente. Ed e' chiaro che l'onere di provare l'inaffidabilita', o peggio l'incoerenza, di tali atti non puo' non gravare sul contribuente che voglia contestare uno strumento previsto espressamente dalla legge. Massima tratta dal CED della Cassazione.


Sentenze in tema

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Ai fini dell'accesso alla giurisdizione tributaria debbono essere qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l'Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita; ancorche' tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell'attivita' esecutiva, bensi' con un invito "bonario" a versare quanto dovuto. Cioe' appare essenziale, perche' si possa parlare di avviso di accertamento o di liquidazione, che il testo manifesti una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, ancorche' accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori (o anche essere ammesso a qualche beneficio). A differenza di quanto puo' dirsi a proposito delle comunicazioni previste dal comma 3 dell'art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e dal comma 3 dell'art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972; queste comunicazioni costituiscono infatti anche un "invito" a fornire "eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi". Quindi manifestano una volonta' impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso l'intervento del giudice). Nell'ambito di questa impostazione di diritto, che l'ente impositore non puo' modificare a suo piacimento dichiarando "non impugnabili" atti che impugnabili sono, spetta al giudice di merito sceverare con congrua motivazione gli atti impositivi dagli atti che impositivi non sono, esaminando gli aspetti sostanziali dell'atto, che possono non trovare compiuta corrispondenza nei suoi aspetti formali. *Massima redatta dal Servizio di documentazione Economica e Tributaria.

In sede di contenzioso tributario, sussiste l'onere dell'Ufficio di provare gli elementi di fatto giustificativi del "quantum" accertato nel quadro dei parametri prescelti, non sussistendo in materia tributaria alcuna presunzione di legittimita' dell'avviso di accertamento (nella specie in tema d'imposta di registro e di INVIM); va aggiunto, altresi', che non sussiste nel nostro ordinamento giuridico un principio che imponga alla parte l'onere di contestare specificamente i fatti dedotti dalla controparte, e che l'esercizio della facolta' di disporre accertamenti istruttori ad integrazione delle prove offerte dalle parti costituisce una valutazione discrezionale (e percio' insindacabile) delle Commissioni tributarie. Tuttavia, va considerato che il processo tributario non e' annoverabile tra quelli di "impugnazione - annullamento" ma tra quelli di "impugnazione - merito", in quanto non diretto all'eliminazione dell'atto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell'accertamento dell'Ufficio. Da cio' consegue che il rilievo che l'Ufficio possa non avere provato la sussistenza in concreto di uno o piu' parametri cui si fa astratto riferimento nell'avviso di accertamento, non comporta che il giudice tributario debba ritenere automaticamente congrui i valori dichiarati dal contribuente; detto giudice deve, invece, formulare un proprio giudizio estimatorio sulla base degli elementi provati o comunque incontroversi. Massima tratta dal CED della Cassazione.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nella ipotesi in cui la deduzione di un onere di cui all'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 si fondi su un contratto qualificato dallo stesso contribuente e tale qualificazione non consenta di includerlo tra i titoli che danno diritto alla deduzione degli oneri che ne derivano, la amministrazione finanziaria non puo' escludere la deducibilita' dell'onere avvalendosi dei poteri di cui all'art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, assumendo che l'errore del contribuente e' immediatamente percepibile dal mero confronto cartolare tra la sua dichiarazione e la lettera della legge. Infatti, non essendo all'amministrazione consentito di prescindere dall'esame del contratto al fine di verificarne la reale natura e di rimettersi per la sua qualificazione giuridica a quella datane dal contribuente, l'esclusione dell'onere richiede anche in tale caso un atto di accertamento esplicitamente motivato.

In materia di imposta di registro ed invim, l'avviso di accertamento di maggior valore, per rispondere al canone dell'idoneita' allo scopo il cui difetto ne determina la nullita' anche indipendentemente da una espressa comminatoria di legge, deve essere corredato da una motivazione adeguata al duplice risultato: a) di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ufficio nell'eventuale fase contenziosa successiva e, b) di consentire al contribuente l'esercizio giudiziale del diritto di difesa di fronte alla maggiore pretesa fiscale. All'uopo e' necessario che l'ufficio enunci il criterio astratto in base al quale ha determinato il maggior valore con le eventuali specificazioni ed illustrazioni richieste dalla peculiarita' della fattispecie, ed in relazione ad esse possibili, affinche' l'atto risulti idoneo al suo scopo. L'utilizzazione e l'indicazione di criteri diversi da quelli menzionati espressamente nella legge e' possibile quando risulti anche implicitamente la inutilizzabilita' o la insufficienza di questi ultimi con riferimento al tempo, al luogo, all'oggetto e ad ogni altra peculiarita' del rapporto tributario da accertare. In sede contenziosa, l'ufficio ha l'onere di provare la sussistenza dei concreti elementi di fatto che, nel quadro del parametro prescelto, giustificano il quantum accertato, peraltro rimanendogli inibito di dimostrare la fondatezza della sua pretesa allegando criteri diversi da quelli enunciati nell'avviso di accertamento, salvo il potere di rinnovare l'atto entro il termine di legge, mentre al contribuente e' consentito di dimostrare l'infondatezza di quella pretesa anche in base a criteri non utilizzati dall'ufficio. In mancanza di una motivazione che risponda a tali requisiti, il giudice tributario deve limitarsi a dichiarare la nullita' dell'accertamento senza poter conoscere del merito. La valutazione della sussistenza nel caso concreto dei requisiti minimi indicati e' rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, naturalmente sindacabile in sede di legittimita' sotto il profilo della congruita' e sufficienza della motivazione. Il riferimento, contenuto nell'avviso di accertamento, ad un elemento extracontestuale, ma estensibile al contribuente, come la relazione di stima u.t.e., comporta che delle risultanze di esso, anche se non allegato al provvedimento tributario, deve tenersi conto al fine di valutare la sufficienza della motivazione dell'accertamento di maggior valore.

1) la difficile decifrabilita' di una sentenza manoscritta non da' luogo a nullita', mentre la assoluta indecifrabilita' dello scritto di una sentenza si concreta in un'ipotesi di inesistenza del documento per la sua assoluta inidoneita' ad assolvere la funzione essenziale diretta all'esteriorizzazione del contenuto. 2) l'art. 6 del d.p.r. 60/1975 non costituisce jus superveniens, atto a rendere applicabile il comma 3 dell'art. 16 d.p.r. n. 636/1972, per duplice ordine di motivi: perche' la norma successiva non introduce alcun nuovo diritto a favore del contribuente, ma limita una facolta' gia' esistente, riducendo nel massimo a tre anni una dilazione che la disciplina dell'imposta sulle successioni consentiva di estendere fino a dieci anni: perche' comunque la norma richiamata attiene esclusivamente alla riscossione dell'imposta e non puo' incidere sulle situazioni regolate dall'art. 16 d.p.r. n. 636/1972 attinenti alla sussistenza dell'imposta ed alla definitivita' del relativo accertamento. 3) poiche' la legge non prevede l'efficacia derogativa di alcuna riserva de privato, deve escludersi che deroga alla decadenza del termine, rispetto alla notificazione del primo atto impositivo costituita dall'accertamento e dalla liquidazione dell'invim decennale, possa derivare dalla riserva espressa dal contribuente al momento della dichiarazione e che alcun effetto possa emergere dalla ripetizione della stessa riserva all'atto della rateizzazione, anche considerando che la rateizzazione presuppone gia' l'obbligo di pagare l'imposta ed il titolo relativo, titolo che, se non tempestivamente impugnato, ha il carattere della definitivita'.

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