SENTENZA
sul primo ricorso iscritto al n. 9236-92 del R.G. AA.CC., proposto da
MINISTERO DELLE FINANZE E MINISTERO DEL TESORO, in persona dei rispettivi
Ministri p.t., dom.ti in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura
Generale dello Stato che li rapp.ta e difende ope legis.
Ricorrenti
contro
M.A.,SNC F.B. di L.M. e c, S. M. e R.A., A.R., G.D., S.P., M.D., T.A., A.R.,
G.A., G.L.P. e G.P.G., R.F. e A.G., C.V., G.D., C.A. e REGIONE LIGURIA.
Intimati
e sul secondo ricorso iscritto al n. 10816-92 del R.G. AA.CC., proposto
da
M.A., S.N.C. F.B. di L.M. e C., in persona del legale rapp.te p.t., S.M. e
R.A., A.R., G.D., S.G., M.D., T.A., G.A., G.L.P. e G.P.G., R.F. e A.G., C.V.
e C.A., tutti elett.te dom.ti in Roma, P.le Clodio n. 12, presso lo studio
dell'avv.to L.V. che li rapp.ta e difende unitamente agli avv.ti L.A. e
G.B., giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale.
Controricorrenti e ricorrenti incidentali contro
MINISTERO DELLE FINANZE E MINISTERO DEL TESORO, in persona dei rispettivi
Ministri p.t., dom.ti in Roma, rapp.ti e difesi come sopra.
Controricorrenti nonche'
REGIONE LIGURIA Intimata Avverso la sentenza n. 35-92 del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche dep. il 13.4.92 (89-91).
Udita nella Pubblica Udienza tenutasi il giorno 27.1.94 la relazione della
causa svolta dal Cons. Rel. Dr. Cantillo. Uditi gli avv.ti Lettera e
Acquarone. Udito il P.M., nella persona del Dr. Mirto Aloisi Avv.to Gen.le
presso la Corte Suprema di Cassazione che conclude per il rigetto di
entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M.A. ed altri, titolari nella Provincia di Imperia di concessioni di piccole
derivazioni di acqua pubblica per forza motrice, a suo tempo rilasciate
quasi tutte per il funzionamento di frantoi, proposero distinti ricorsi al
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche contro i provvedimenti di
rideterminazione del canone e del sovracanone adottati nei confronti di
ciascuno dall'Ufficio del Registro di Imperia in applicazione dell'art. 12
del D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 199O, n.
165, e del D.M. del Ministro delle finanze del 20 luglio 1990. I ricorrenti
lamentarono l'eccessivita' del canone, determinato illegittimamente
includendo le derivazioni tra quelle per uso industriale; e a sostegno dei
ricorsi, con i quali impugnarono anche il decreto ministeriale suddetto,
dedussero sia vizi afferenti direttamente gli atti, quali l'eccesso di
potere per difetto di motivazione, per mancanza del presupposto e
dell'istruttoria, per travisamento di fatto, e sia vizi derivati
dall'invalidita' del decreto ministeriale, in ordine al quale dedussero in
particolare, la violazione dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400,
essendo stato adottato senza il parere del Consiglio di Stato e senza
preventiva comunicazione alla Presidenza del Consiglio.
L'Amministrazione eccepi' il difetto di giurisdizione del giudice adito per
essere le controversie devolute al Tribunale Regionale delle Acque
Pubbliche, vertendosi in materia di diritti soggettivi;
nel merito, sostenne che le rideterminazioni dei canoni fossero legittime,
in quanto conformi a legge.
I procedimenti vennero riuniti. Il Tribunale Superiore, con la sentenza ora
denunziata del 13 aprile 1992, ha annullato il decreto del Ministro delle
Finanze e, quanto ai singoli provvedimenti dell'Ufficio del Registro, ha
dichiarato la competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche.
Sotto il primo profilo, la sentenza impugnata ha osservato che il decreto
ministeriale, ancorche' non denominato regolamento, tale era nella sostanza,
avendo natura normativa perche' poneva norme generali ed astratte e perche'
era diretto a modificare sul punto l'ordinamento vigente. Come regolamento,
il decreto doveva essere sottoposto al preventivo parere del Consiglio di
Stato e trasmesso alla Presidenza del Consiglio, sicche', essendo mancate
tali attivita', gia' per questi vizi doveva essere annullato, a prescindere
dalle altre ragioni addotte in ricorso.
Quanto al secondo profilo, premessa una puntuale ricognizione delle norme
che, a partire dall'art. 35 del T.U. n. 1775 del 1933, si sono succedute in
tema di determinazione dei canoni delle utenze di acqua pubblica, il
Tribunale ha osservato che con tali disposizioni sono stati sempre previsti
precisi criteri di commisurazione del canone, articolati in ragione dei tipi
di utenza e tali da non lasciare spazio ad apprezzamenti discrezionali
dell'amministrazione, la cui attivita' e' volta sostanzialmente a
quantificare un'obbligazione legale, in relazione alla quale la posizione
del privato e' di diritto soggettivo.
Nella specie, quindi, gli atti dell'Ufficio del Registro di rideterminazione
del canone e del sovracanone non costituivano provvedimenti autoritativi
impugnabili ex art. 143 del T.U., bensi' meri inviti all'adempimento di
obbligazioni oggettivamente determinabili; e l'accertamento in ordine
all'esistenza ed entita' di tali obbligazioni era demandata al Tribunale
Regionale.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso l'Amministrazione in base a
quattro motivi.
Resistono le Amministrazioni con controricorso, con il quale hanno altresi'
proposto gravame incidentale basato su un solo motivo, illustrato con
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- - I due ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, debbono essere
riuniti (art. 335 c.p.c.).
- - Non sono fondati il primo e il secondo motivo di quello principale, con
cui le Amministrazioni ricorrenti sostengono che il Tribunale Superiore
delle Acque Pubbliche sia incorso in errore per non avere rilevato che le
impugnazioni dei concessionari erano state proposte dopo la scadenza del
termine di legge e percio' dovevano essere dichiarate inammissibili.
Dall'esame degli atti - direttamente consentito a questa Corte trattandosi
di vizio in procedendo - risulta, infatti, che i ricorsi sono stati tutti
notificati nel termine di sessanta giorni dalla data di notifica dei singoli
provvedimenti di adeguamento del canone, tenuto conto della sospensione dei
termini processuali nel periodo feriale, ai sensi della legge n. 742 del
1969.
Ne' ai fini del dies a quo del termine e' possibile distinguere, come
vorrebbero le ricorrenti (con il secondo motivo), tali provvedimenti
individuali dal D.M. 20 luglio 1990, che modifico' i parametri di
determinazione della misura dei canoni concessori e in base al quale furono
adottati i provvedimenti medesimi. Infatti, a parte quanto si dira piu'
oltre in ordine alla effettiva natura di detto decreto ministeriale, esso va
comunque inquadrato fra gli atti a c.d. contenuto generale, modulati secondo
uno schema concettuale uguale a quello adottato dalle fonti normative, i
quali non sono direttamente lesivi delle situazioni soggettive dei privati e
vanno impugnati, quindi, in relazione ai provvedimenti che li applicano, nei
termini stabiliti per questi ultimi.
- - La sentenza viene hinc-inde censurata, poi, nella parte in cui ha
negato la giurisdizione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche in
sede di legittimita' quanto all'impugnativa dei provvedimenti individuali e
l'ha affermata, invece, quanto all'impugnazione del decreto ministeriale.
Con il terzo motivo del loro ricorso, denunziando la violazione degli artt.
140, comma 1, lett. c) e 143 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, le
amministrazioni sostengono che gli atti a contenuto generale non siano
autonomamente impugnabili davanti al giudice degli interessi legittimi
quando le posizioni soggettive dei privati possano essere incise solo da
successivi provvedimenti applicativi non discrezionali, in relazione ai
quali sussista la giurisdizione del giudice ordinario: in questi casi
l'illegittimita' potrebbe essere accertata soltanto da tale giudice, nella
controversia sugli atti applicativi, mediante disapplicazione, sicche' nella
specie la cognizione della domanda dei concessionari andava attribuita,
anche quanto all'atto generale presupposto, alla giurisdizione del Tribunale
Regionale delle Acque Pubbliche. All'opposto, con l'unico motivo del ricorso
incidentale, denunziando la violazione delle stesse disposizioni, i
controricorrenti deducono che gli atti applicativi di rideterminazione del
canone, essendo discrezionali almeno nel quantum, rivestivano carattere
autoritativo ed erano lesivi di interessi legittimi, con la conseguenza che
anche su tali atti sussisteva la giurisdizione del T.S.A.P. in sede di
legittimita'.
Entrambe le critiche sono destituite di fondamento.
La seconda - di rilievo preliminare - e' direttamente contraddetta dal
disposto dell'art. 140, comma 1, lett. c) del T.U. n. 1775 del 1933, che,
attribuendo alla cognizione dei tribunali regionali delle acque pubbliche le
"controversie aventi ad oggetto qualsiasi diritto relativo alle derivazioni
e utilizzazioni di acqua pubblica", chiaramente si riferisce anche alle
controversie in ordine all'esistenza e all'entita' dei canoni delle
concessioni di utenza di risorse idriche, nelle quali ipotesi viene in
contestazione una posizione soggettiva perfetta del concessionario, avente
consistenza di diritto soggettivo, relativa alla corretta applicazione delle
disposizioni che tale prestazione impongono e regolano in base ad elementi
oggettivi e certi, secondo precisi parametri e criteri tecnici vincolanti
per l'Amministrazione.
Alla prima critica, poi, va obiettato che l'illegittimita' di un atto
amministrativo presupposto puo', di regola, essere fatta valere sia in via
autonoma, mediante impugnativa principaliter davanti al giudice
amministrativo, e sia in via incidentale, sollecitandone la disapplicazione
da parte del giudice ordinario nella controversia su diritti soggettivi
pregiudicati da atti o provvedimenti conseguenziali. I due rimedi, cioe',
possono in astratto concorrere, ovviamente con le limitazioni derivanti
dalla pregiudizialita' del processo amministrativo e dalla formazione del
giudicato amministrativo sull'atto a contenuto generale.
Pertanto la questione di giurisdizione e' stata correttamente risolta dal
tribunale Superiore attraverso la separazione delle domande, ritenendo
attribuita alla propria cognizione quella concernente la legittimita' del
D.M. del 1990, con cui furono stabiliti in via generale ed astratta i
criteri di determinazione dei canoni concessori, definendo le categorie di
utenza ed i parametri di calcolo, per modo che a fronte del provvedimento
erano configurabili in capo agli utenti potenziali destinatari solo
posizioni di interesse legittimo.
- - In riferimento a tali caratteristiche dell'atto - ritenute dal
Tribunale Superiore idonee a qualificare il decreto ministeriale come atto
di natura regolamentare e percio' soggetto alla disciplina di cui all'art.
17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 - con il quarto motivo del ricorso
principale si sostiene che, in realta', il decreto (erroneamente) annullato
era stato emesso in attuazione di una precedente legge esaustiva dei
contenuti normativi e percio', in conformita' alla veste formale, si
qualificava come vero e proprio provvedimento amministrativo generale, cioe'
con una pluralita' non definita di destinatari, per il quale non andava
osservato l'iter procedimentale stabilito per i regolamenti.
Anche questa censura e' infondata.
Com'e' noto, i caratteri che, sul piano del contenuto sostanziale, valgono a
differenziare i regolamenti dagli atti e provvedimenti amministrativi
generali, vanno individuati in cio', che questi ultimi costituiscono
espressione di una semplice potesta' amministrativa e sono diretti alla cura
concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una
pluralita' di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento,
ma determinabili; i regolamenti, invece, sono espressione di una potesta'
normativa attribuita all'Amministrazione, secondaria rispetto alla potesta'
legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante
una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente
innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti che
presentano, appunto, i caratteri della generalita' e dell'astrattezza,
intesi essenzialmente come ripetibilita' nel tempo dell'applicazione delle
norme e non determinabilita' dei soggetti cui si riferiscono.
Inoltre, ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400,
l'esercizio della potesta' normativa attribuita all'esecutivo, quando sia
consentito e necessario, deve svolgersi con l'osservanza di un particolare
modello procedimentale, secondo cui per i regolamenti di competenza
ministeriale sono richiesti il parere del Consiglio di Stato e la preventiva
comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nella specie, il Tribunale Superiore ha osservato che la natura normativa
del D.M. 20 luglio 1990 risultava chiaramente sia con riguardo alla sua
finalita', essendo diretto a stabilire i criteri di aumento dei canoni
mediante regole generali ed astratte, e sia in relazione al contenuto in
concreto assunto, venendo modificate le categorie delle concessioni e le
corrispondenti misure dei canoni, in passato disciplinate entrambe
direttamente dalla legge. E avendo riscontrato, come si e' riferito, la
violazione del disposto dell'art. 17 cit., il Tribunale ha correttamente
annullato il decreto suddetto.
In definitiva, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
Sussistono giusti motivi per ritenere interamente compensate fra le parti le
spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite - riunisce i ricorsi e li rigetta;
- dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.
Cosi' deciso in Roma, il 27 gennaio 1994.