Sentenza del 22/06/1991 n. 7053 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio Sezioni unite

Testo

Diritto 1. L'Amministrazione ricorrente denunzia la violazione degli artt.
1306 del codice civile e 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e,
censurando le conclusioni cui perviene la decisione impugnata, sostiene che
il principio, secondo cui l'applicazione dell'art. 1306 del codice civile
trova un limite nell'ipotesi in cui si sia formata una preclusione di ordine
processuale nei confronti del condebitore solidale che pretenda di giovarsi
della sentenza favorevole emessa a beneficio di altro condebitore, vale
anche nel caso in cui l'accertamento tributario sia divenuto definitivo
nei confronti del condebitore che non abbia proposto opposizione nel termine
di cui all'art. 16 del D.P.R. n. 636/1972.

  1. All'esame delle suesposte censure deve premettersi che il problema con
    esse prospettato concerne l'estendibilita' del giudicato favorevole,
    formatosi nei confronti di un soggetto, ad altri con lui solidamente
    obbligati e viene concretamente posto con riguardo a piu' soggetti debitori
    in solido della stessa imposta, cioe' con riguardo alle parti alienanti ed
    acquirenti (per le quali, ai fini del pagamento dell'imposta di registro, la
    solidarieta' e' stabilita dall'art. 55, comma 1, del D.P.R. n. 634/1972) e
    con riguardo a piu' alienanti, solidamente obbligati al pagamento dell'Invim
    in virtu' dell'art. 26 del D.P.R. n. 643/1972.
    Fuori dal thema decidendum e' la diversa questione se la regola - da
    individuarsi con riferimento alle ipotesi, sopra considerate, di
    obbligazione solidale di piu' debitori per la medesima imposta, implicante,
    come si vedra' l'indagine circa l'ambito ed i limiti di operativita'
    dell'art. 1306 del codice civile - possa essere invocata quando si tratti di
    distinte obbligazioni, in quanto aventi oggetto imposte diverse, e si abbia
    riguardo ad un soggetto obbligato al pagamento dell'una e non anche
    dell'altra (com'e' per l'acquirente, tenuto al pagamento dell'imposta di
    registro, ma non dell'Invim, posta esclusivamente a carico dell'alienante),
    ossia di obbligazioni, in relazione alle quali nessun vincolo di
    solidarieta' e' stabilito dalla legge tra il soggetto obbligato solo
    all'adempimento dell'una e quello al quale soltanto corre l'obbligo del
    pagamento dell'altra e conseguentemente non puo' farsi ricorso alla
    disposizione dell'art. 1306 del codice civile, in quanto norma dettata
    nell'ambito della disciplina delle obbligazioni solidali.
    Per ritenere che le due situazioni aprano la via alle medesime
    problematiche, e che quindi la seconda non sia, per cio', comunque estranea
    all'oggetto della presente controversia, dovrebbe farsi richiamare all'art. 6 del D.P.R. n. 643/1972, che ancora, ai fini dell'Invim, il valore finale a
    quello dichiarato o definito per l'imposta di registro, ed all'art. 31, che,
    per la liquidazione e la riscossione dell'Invim, rinvia alle disposizioni
    relative all'imposta di registro. Ma tale automatismo non e', in via di
    principio, elemento sufficiente ad accomunare sotto la disciplina della
    solidarieta' rapporti distinti nei presupposti e nella struttura. Invero,
    la coincidenza dei soggetti obbligati in relazione alle due imposte non e'
    assoluta ed il vincolo solidale e' stabilito dalla legge all'interno di
    ciascun rapporto tributario che ad esse fa capo. Inoltre, diverso e' il
    presupposto dell'imposizione, individuato - per l'Invim - non gia' nella
    esistenza di uno degli atti indicati nell'art. 2 del D.P.R. n. 634/1972
    (che, a norma del precedente art. 1, costituisce l'"oggetto" dell'imposta di
    registro), ma nell'incremento di valore, che e' soggetto a tributo (art. 1 del D.P.R. n. 643/1972) e realizza la base imponibile (art. 6): presupposto
    che non necessariamente sussiste, pur verificandosi quello dell'imposta di
    registro, come nel caso in cui l'atto, comunque soggetto a registrazione o
    registrato volontariamente, non dia luogo ad incremento di valore.
    Che nel caso concreto questa seconda questione non venga in rilievo si
    argomenta dalla circostanza (da ritenersi pacifica, perche' risultante dalle
    premesse in fatto esposte nel ricorso dell'Amministrazione) che - in
    relazione ad un unico atto, con il quale D. e D.D.S. alienarono un immobile
    alla "I.G." e nel contempo D.D.S. cedette alla sorella D. la meta' della
    residua porzione di un fabbricato - l'Amministrazione procedette ad un unico
    accertamento di valore nei confronti di ciascuna delle parti dei due negozi
    contenuti in quell'atto e per ciascuno degli immobili oggetto di tali
    negozi, chiaramente sia ai fini dell'imposta di registro (cui erano
    obbligate, per primo, D. e D.D.S., nonche' l'"I.G.", e, per il secondo, D. e
    D.D.S.), tant'e' vero che proprio sulla base di quell'accertamento l'ufficio
    notifico' l'avviso di liquidazione per il recupero dell'imposta di registro;
    sia ai fini dell'Invim, cui erano obbligate entrambe le sorelle D.S., con
    riguardo al secondo. Conseguentemente, quest'ultima, che contrasto' il
    maggiore valore accertato, aveva interesse a farlo (e tale interesse
    consente di determinare senza esclusioni l'intero ambito della
    contestazione) in quanto solidamente obbligata con la sorella D. e con
    l'"I.G." al pagamento dell'imposta di registro e con la prima al pagamento
    dell'Invim, quanto all'alienazione dell'immobile alla "G.", e con la stessa
    D.D.S. per l'imposta di registro, quanto alla seconda alienazione; di guisa
    che D.D.S. aveva interesse ad invocare la estensione del giudicato
    favorevole formatosi sulla controversia instaurata da D.D.S. ed avente ad
    oggetto la determinazione del valore per tutti gli effetti che questa era
    idonea ad esplicare, sia perche', con riguardo al primo negozio di
    alienazione, era solidamente obbligata con la sorella per l'imposta di
    registro e per l'Invim, nonche' anche con la "I.G." per la prima di dette
    imposte, sia perche', con riguardo alla seconda alienazione, era solidamente
    obbligata con l'alienante D.D.S. per l'imposta di registro. In altri
    termini, sussisteva fra le sorelle D.S. il vincolo solidale sia per l'Invim
    che per l'imposta di registro, in quanto alienanti a favore della "I.G."; e
    per la sola imposta di registro, in quanto l'una acquirente dell'altra.
    Conseguentemente, la presente controversia, promossa da D.D.S., s'inquadra
    nei termini, enunciati all'inizio, circa i limiti che la disposizione
    dell'art. 1306 del codice civile eventualmemte incontra nel caso in cui
    quello dei condebitori, che non abbia impugnato l'atto d'accertamento,
    chieda di potersi giovare del giudicato favorevole ottenuto dall'altro, che
    quella impugnazione abbia proposto con successo.
  2. Sulla questione - impostata in questi termini - si sono formati,
    nell'ambito della Sezione I di questa Corte, opposti orientamenti, che le
    Sezioni Unite sono, per cio', chiamate a verificare.
    Secondo il primo orientamento, espresso nella sentenza n. 4725 del 21 luglio
    1988, la mancata impugnazione dell'accertamento di maggior valore, da parte
    di uno dei coobbligati solidali per il debito d'imposta, non gli impedisce,
    in applicazione dell'art. 1306, comma 2, del codice civile, di beneficiare
    del giudicato riduttivo di quel valore, che l'altro condebitore abbia
    ottenuto in esito al ricorso contro l'accertamento medesimo, e quindi
    d'impugnare l'avviso di liquidazione dell'imposta che non abbia tenuto conto
    di tale giudicato.
    Premesso che l'applicabilita' dell'art. 1306, comma 2, del codice civile
    presuppone l'estraneita' del coobbligato alla controversia conclusa con il
    giudicato e che, se, invece, tutti i debitori solidali hanno partecipato al
    giudizio, l'eventuale esito dello stesso in termini divergenti e'
    conseguenza di un giudicato diretto che prevale sull'efficacia riflessa del
    giudicato inter alios, la citata decisione ha affermato che la norma
    suddetta non incontra limiti alla sua applicazione nella definibilita' di un
    titolo non giudiziale, non equiparabile al giudicato anche se e' costituito
    dall'avviso di accertamento tributario. L'incontestabilita' dell'imponibile
    conseguente alla mancata impugnazione dell'avviso da parte del condebitore
    rimasto inerte e' - si dice - sostanzialmente equiparabile alla situazione
    (sicuramente non impediva dell'applicazione del comma 2 dell'art. 1306 del codice civile), che si determina quando il condebitore solidale tralascia di
    esercitare le azioni che gli consentirebbero di porre in discussione la
    validita' e la operativita' di un negozio costitutivo di obbligazione
    solidale. Poiche' l'art. 1306 va coordinato con la regola fondamentale
    dettata in tema di solidarieta' passiva dell'art. 1292, comma 1, per cui il
    singolo debitore, provvedendo a pagare quanto da lui dovuto, libera anche
    gli altri, la norma verrebbe elusa, secondo quanto osservato nella sentenza
    n. 4725/1988, se si consentisse all'Amministrazione di rivolgersi al
    contribuente inerte per riscuotere una somma maggiore di quella che, se nel
    frattempo fosse stata pagata dall'altro condebitore, avrebbe estinto per
    intero il credito; e, poiche' nel caso di compravendita immobiliare
    l'imponibile di registro e' parametro vincolante per l'applicazione
    dell'Invim (art. 6 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643), se si ammettesse una
    diversa determinazione di tale imponibile nel rapporto delle due parti del
    contratto, s'introdurrebbe una grave turbativa nell'indicato meccanismo di
    applicazione dell'Invim, atteso che, a seconda che il trattamento di favore
    per l'imposta di registro spetti all'alienante o all'acquirente, si
    sottrarrebbe all'Invim una porzione d'incremento di valore ovvero si
    sottoporrebbe a duplice tassazione la porzione stessa.
    A conclusioni opposte e' pervenuta la sentenza n. 1725 dell'11 aprile 1989,
    secondo la quale all'applicazione dell'art. 1306, comma 2, del codice civile
    e' d'ostacolo ogni situazione di sopravvenuta intangibilita' della
    situazione giuridica rappresentata dall'obbligazione del condebitore diverso
    da quello in favore del quale si e' formato il giudicato, poiche' al
    giudicato diretto meno favorevole vanno equiparate le situazioni che si
    determinano per effetto della mancata opposizione al decreto ingiuntivo o
    all'avviso d'accertamento; equiparazione possibile, con riguardo all'effetto
    conseguente al mancato ricorso contro l'avviso d'accertamento, per il fatto
    che cio' determina, per il contribuente, una preclusione ad ulteriori
    contestazioni sull'elemento del rapporto tributario costituito dalla sua
    base dell'imponibile. Ne', secondo la decisione in esame, costituiscono
    idenei argomenti a favore della tesi contraria quelli che muovono dalle
    conseguenze cui da' luogo una diversa determinazione dell'imponibile in
    confronto ai condebitori solidali, trattandosi delle stesse conseguenze che
    si producono quando, nei confronti dei condebitori, si formano giudicati
    diversi.
    Sull'argomento e' tornata di recente la Sezione I con la sentenza n. 2575
    del 29 marzo 1990, decidendo una controversia che, diversamente da quella
    qui in esame, aveva ad oggetto la questione circa l'autonomia, o meno, delle
    vicende relative alla determinazione dell'imponibile ai fini dell'Invim
    rispetto a quelle concernenti l'imponibile per l'applicazione della
    (diversa) imposta di registro.
    Come si e' gia' rilevato, tale questione e' estranea al thema decidendum
    prospettato in questa sede, e pertanto, indifferente ai fini della
    decisione. Ma, avendola la Corte risolta, nella citata sentenza, nel senso
    che, con riguardo all'Invim ed ai fini della determinazione del valore
    finale dell'immobile trasferito, il venditore, ancorche' non abbia impugnato
    l'accertamento di maggior valore notificatogli per l'imposta di registro,
    puo' comunque avvalersi, a norma dell'art. 1306 del codice civile, degli
    effetti favorevoli alla decisione che, resa nei confronti dell'acquirente
    (coobbligato al pagamento dell'imposta di registro), abbia annullato o
    ridotto quell'accertamento, essa ha dovuto affrontare anche l'altra
    questione, aperta con la soluzione data alla prima e che aveva formato
    oggetto delle contrastanti sentenze n. 4725/1988 e 1725/1989, circa
    l'applicabilita' del comma 2 dell'art. 1306 del codice civile tra
    condebitori solidali della stessa imposta (di registro), quando uno soltanto
    di essi abbia impugnato l'avviso di accertamento.
    Con riguardo a questo specifico problema, l'ultima sentenza si e' uniformata
    alla prima (n. 4725/1988). Premesso che scopo della norma e' di far valere
    l'autorita' della sentenza, quale espressione di giustizia in quanto
    proveniente da un terzo in veste di giudice, su ogni altro titolo e non di
    risolvere conflitti tra sentenze, si e' affermato che sarebbe arbitrario
    escluderne l'applicazione quando, nei confronti di chi la invoca, vi sia
    stato un accertamento amministrativo non piu' impugnabile, sia perche' tale
    esclusione non e' prevista nel testo della norma, sia perche' tale
    esclusione non e' prevista nel testo della norma, sia perche' la decisione
    giurisdizionale riveste maggiore autorita' rispetto all'atto unilaterale
    della Pubblica Amministrazione, la quale, come ha speciali diritti
    funzionali che assicurino nella maniera piu' ampia e spedita il
    perseguimento delle sue finalita' nell'interesse collettivo, cosi' - per la
    stessa ragione - e' obbligata all'osservanza di particolari doveri, quali
    quelli d'imparzialita' e di correttezza in base ad un principio
    fondamentale, etico giuridico, che s'impone in ogni rapporto, specialmente
    di diritto amministrativo. Una norma che fosse interpretata nel senso di
    escludere, nel caso in esame, l'effetto estensivo del giudicato favorevole
    (che abbia accertato l'oggettiva ingiustizia della pretesa e che implica il
    dovere, di diritto oggettivo, della Pubblica Amministrazione di correggerla
    nell'esercizio dei suoi poteri di autotutela) non si sottrarrebbe a gravi
    sospetti d'illegittimita' costituzionale, negata (vd. ord. n. 544/1987 della
    Corte Costituzionale) solo perche' si e' ritenuto che il condebitore non
    impugnante possa invocare la disposizione contenuta nell'art. 1306, comma 2, del codice civile.
  3. Il problema di legittimita' costituzionale degli artt. 49 e 55 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 e dell'art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636,
    nella parte in cui non prevedono l'effetto estensivo dell'impugnazione
    proposta da uno dei coobbligati non ricorrenti, e' stato sottoposto alla
    Corte Costituzionale, una prima volta in relazione agli artt. 3 e 53 della
    Costituzione ed una seconda volta in relazione agli artt. 53 e 97 della
    Costituzione, ed in entrambi i casi la Corte Costituzionale (ordinanze n.
    544 del 17 dicembre 1987 e n. 870 del 21 luglio 1988) ha giudicato infondata
    la questione, ritenendo che il condebitore inerte possa comunque avvalersi
    della facolta' concessagli dall'art. 1306, comma 2, del codice civile,
    applicabile in materia essendo l'obbligazione solidale tributaria, per
    costante giurisprudenza, non diversa dall'obbligazione solidale di diritto
    comune.
    La rilevanza di tali pronunzie non sta, certo, nell'interpretazione della
    disposizione contenuta nel comma 2, dell'art. 1306 del codice civile, che
    non vale a privare il giudice della controversia del potere suo proprio
    d'interpretare le norme che ritenga applicabili al caso concreto: ma nel
    "segnale" che da esse proviene in ordine alla legittimita' costituzionale
    delle norme denunciate e di un sistema tributario che consenta
    all'Amministrazione di prelevare dal patrimonio di uno dei condebitori
    un'imposta fondata su un imponibile che, nell'ipotesi in esame, e' comune a
    tutti i coobbligati e che una decisione giudiziale ha determinato, nella sua
    oggettivita', in misura diversa dalla unilaterale determinazione operata
    dall'Amministrazione. Trattasi di un "segnale" (che il giudice della
    controversia non puo' non recepire, posto che il giudizio di
    costituzionalita' compete alla Corte Costituzionale) nel senso che, ove
    interpretasse l'art. 1306, comma 2, del codice civile - com'e' nei suoi
    poteri - in modo che ne risulti negata l'estensibilita' a favore del
    coobbligato che non abbia automaticamente impugnato l'avviso di
    accertamento, difformemente da quanto la Corte Costituzionale ha mostrato di
    ritenere, aprirebbe inevitabilmente la via ai denunziati sospetti
    d'incostituzionalita'.
    La circostanza che, fra piu' coobbligati, uno abbia impugnato l'avviso
    d'accertamento e l'altro sia rimasto inerte puo' forse consentire di
    prescindere sia dall'art. 3 della Costituzione (poiche' ad una iniziale
    situazione di uguaglianza dei coobbligati, cui la legge attribuisce pari
    poteri d'impugnazione, succede una situazione di disuguaglianza che non e'
    nella norma ma e' dovuta esclusivamente al diverso comportamento tenuto, di
    fatto, dai coobbligati) sia dall'art. 97 della Costituzione, perche',
    analogamente, l'Amministrazione si rivolge, con l'atto d'accertamento,
    imparzialmente a tutti i coobbligati e la situazione, che successivamente si
    verifica in termini di (apparente) parzialita', e' conseguenza non
    dell'attivita' dell'Amministrazione, ma del diverso comportamento di fronte
    ad essa tenuto dalle parti.
    Peraltro, la questione di legittimita' costituzionale, se prospettata con
    riferimento all'art. 53 della Costituzione, non potrebbe ritenersi
    manifestamente infondata (e dovrebbe, quindi, rimettersi al giudizio della
    Corte Costituzionale), ove, attraverso una riduttiva interpretazione del
    comma 2, dell'art. 1306, si pervenisse alla conclusione accolta nella
    sentenza n. 1725/1989 della Sezione I.
    Il principio della capacita' contributiva, sancito dall'art. 53 della
    Costituzione, ha portata generale e va osservato nell'imposizione diretta,
    con la sostanziale differenza che, per quest'ultima, la capacita'
    contributiva e' espressa dai redditi personalmente e individualmente
    prodotti da ciascuno dei contribuenti, mentre, nel caso d'imposte sui
    trasferimenti, il fatto rivelatore della capacita' contributiva e'
    costituito dal valore trasferito, che e' il medesimo per chi trasferisce e
    per chi acquista, ossia da un dato considerato dalla legge nella sua
    oggettivita', in quanto riferito al bene che e' oggetto del trasferimento ed
    avente un unico e determinato valore indipendentemente dai maggiori o minori
    redditi delle parti assoggettate all'imposizione diretta.
    Se, dunque, attraverso l'atto di trasferimento le parti, con riguardo alle
    imposte indirette che questo deve scontare, rivelano la stessa capacita'
    contributiva rappresentata da un unico, comune indice, esse non possono
    essere chiamate a concorrere alle spese pubbliche, con il pagamento in
    misura diversa dall'imposta, senza che il principio sancito dall'art. 53
    della Costituzione non ne rimanga leso.
    Tali considerazioni, che potrebbero non rilevare per l'Invim, in quanto in
    tale caso l'indice rivelatore della capacita' contributiva non e' un dato
    comune alle parti, bensi' quello personale proprio del solo alienante,
    costituito dell'incremento che il suo patrimonio riceve per effetto
    dell'alienazione, non appaiono, invece, superabili nel caso d'imposta di
    registro, di cui qui si controverte, non potendo l'alienante trasferire un
    valore che non sia il medesimo che l'acquirente riceve.
  4. Al fine di stabilire se la questione di legittimita' costituzionale,
    poc'anzi prospettata, sia, oppure no, rilevante nella presente controversia,
    occorre determinare il contenuto e la portata dell'art. 1306 del codice civile, posto che, come questa Corte ha costantemente ritenuto (anche nelle
    sentenze n. 4725/1988 e 1725/1989, contrastanti nelle conclusioni ma
    conformi nelle premesse) e come la Corte Costituzionale ha presupposto,
    oltre che delle due citate ordinanze, anche nella sua prima decisione sulla
    solidarieta' tributaria (n. 48 del 16 maggio 1968), la regolamentazione
    delle obbligazioni solidali tributarie va tratta, in linea di principio,
    dalla disciplina delle obbligazioni solidali di diritto comune.
    Con riguardo all'art. 1306, comma 2, del codice civile, che in quella
    disciplina e' compreso, deve osservarsi, innanzi tutto, che l'applicabilita'
    della norma postula l'estraneita' del coobligato alla controversia conclusa
    con il giudicato, con la conseguenza che, se tutti i debitori solidali hanno
    partecipato al giudizio, l'eventuale esito dello stesso in termini
    divergenti e' conseguenza di un giudicato diretto, che prevale
    sull'efficacia riflessa del giudicato inter alios. Solo quando quel
    presupposto sussiste si pone il problema se l'applicazione della norma
    incontra un (ulteriore) limite nella definitivita' di un titolo non
    giudiziale, in particolare quando questo sia costituito da un atto
    d'accertamento tributario non impugnato del condebitore che alla pretesa
    dell'Amministrazione opponga il giudicato formatosi nei confronti di un
    altro coobbligato.
    Che questo condebitore versi nella stessa situazione di chi - avendo
    tralasciato di esercitare le azioni che gli avrebbero consentito di porre in
    discussione la validita' di un negozio costitutivo di obbligazioni solidali
  • chieda di potersi giovare del giudicato favorevole, ottenuto dall'altro
    condebitore, e' difficile sostenere. Il negozio costituisce esso stesso la
    fonte dell'obbligazione, per cui questa viene meno una volta caducato il
    negozio, mentre l'atto d'accertamento di valore postula un'obbligazione gia'
    sorta per legge al momento (anteriore) in cui si e' verificato il
    presupposto dell'imposizione e la caducazione dell'atto d'accertamento
    lascia tuttavia in vita l'obbligazione gia' sorta: appunto per questo si
    pone il problema, che questa Corte e' chiamata a risolvere, se, per il
    coobbligato non impugnante, il debito d'imposta sia quello determinato
    dall'atto d'accertamento di maggior valore oppure quello rideterminato dal
    giudice su iniziativa dell'altro coobligato.
    D'altra parte, non e' sufficiente affermare, senza incorrere in una
    petizione di principio, che all'applicazione dell'art. 1306, comma 2, del codice civile e' d'ostacolo ogni situazione di sopravvenuta intangibilita'
    della situazione giuridica rappresentata dall'obbligazione del condebitore
    diverso da quello a favore del quale si e' formato il giudicato, perche' una
    cosi' ridotta efficacia attribuita alla norma non riceve dal suo testo alcun
    ragionevole supporto.
    Ne' l'intangibilita' della situazione derivante dalla mancata impugnazione
    dell'atto d'accertamento potrebbe desumersi, agli effetti di cui alla norma
    prima citata, del tentativo di assimilare - tale mancata impugnazione - alla
    mancata opposizione del decreto ingiuntivo. Secondo la dottrina e la
    giurisprudenza prevalente, il decreto, contro cui non sia stata proposta
    opposizione, acquista autorita' di cosa giudicata sostanziale (o, quanto
    meno, secondo una tesi minoritaria da' luogo ad una preclusione pro
    iudicato) in relazione al diritto in esso consacrato (e per cio' non
    consente l'applicazione del comma 2, dell'art. 1306 del codice civile), in
    ordine tanto ai soggetti che all'oggetto, e la sua efficacia si estende a
    tutte le relative questioni, impedendo che in un successivo giudizio, avente
    ad oggetto una domanda fondata sullo stesso rapporto, questo sia nuovamente
    esaminato. La pretesa assimilazione e', quindi, improponibile, attesa la
    diversa natura dell'accertamento tributario non impugnato, rilevante sul
    piano sostanziale, e del decreto ingiuntivo contro cui non sia stata
    proposta opposizione, che produce gli effetti della cosa giudicata o da'
    luogo, quanto meno, ad una preclusione pro iudicato di carattere
    processuale.
  1. Il problema se il condebitore, chiamato dal creditore ad adempiere
    l'obbligazione solidale, possa opporgli la sentenza favorevole ottenuta nel
    frattempo da altri condebitori, anche quando non si sia attivato per
    contestare il credito ne' abbia osservato gli oneri a tal fine posti dalla
    legge a cui carico, va, dunque, risolto nel quadro delle disposizioni
    contenute nell'art. 1306 del codice civile.
    Fra le tre soluzioni che si prospettavano sotto il vigore del codice nel
    1865 (non contenente una disposizione analoga all'attuale art. 1306 -
    estensione, sempre, del giudicato, non estensione, in nessun caso,
    estensione, per scelta del condebitore inerte, del giudicato favorevole - il
    codice vigente ha preferito la terza.
    Il comma 1, dell'art. 1306, in virtu' del quale la sentenza pronunziata tra
    il creditore ed uno dei debitori in solido non ha effetto contro gli altri
    debitori, postula una concezione delle obbligazioni solidali per cui esse
    sono - di regola - autonome sul piano sostanziale e danno luogo a cause
    scindibili dal punto di vista processuale. Il comma 2, pone, tuttavia, una
    deroga al principio dell'autonomia (e scindibilita') ed a quello dei limiti
    soggettivi del giudicato, consentendo che la sentenza venga utilizzata dagli
    altri condebitori, se favorevole.
    Questa seconda disposizione s'ispira ad una visione diversa da quella,
    pluralistica e atomistica, della struttura dell'obbigazione solidale
    postulata dal comma 1; e tale diversita' consente di ritenere che il comma
    2, dell'art. 1306 non ha valore di norma sulla struttura dell'obbligazione
    solidale (ossia un valore sostanziale), ma detta una regola speciale
    direttamente riguardante il funzionamento processuale del meccanismo della
    solidarieta', operando un distacco delle vicende processuali da quelle
    sostanziali. Sull'aspetto della pluralita' la norma in esame, privilegia il
    momento dell'unitarieta' dell'obbligazione solidale nascente da uno stesso
    titolo, ed, operando sul piano processuale come deroga ai limiti soggettivi
    del giudicato (nel consentire un'estensione, oltre quei limiti, del
    giudicato come tale, ossia come regola assoluta del titolo
    dell'obbligazione), prescinde dalla situazione sostanziale in cui versi il
    condebitore inerte, ossia dall'avere, oppure no, il condebitore consolidato,
    con la sua inerzia, la situazione sostanziale nei suoi confronti.
    Se, infatti, l'utilizzazione da parte sua del giudicato formatosi a favore
    del condebitore piu' solerte postula proprio la sua inerzia (che',
    altrimenti, il problema interpretativo della norma non si pone neppure), non
    puo' ritenersi tale inerzia di per se' ostativa all'estensione del giudicato
    formatosi fra altri. Condizione perche' questa operi e', invece, che oggetto
    della lite sia l'intero rapporto obbligatorio e non gia', autonomamente, la
    parte relativa al condebitore, ossia un rapporto geneticamente e casualmente
    unitario, com'e', per quanto interessa particolarmente qui rilevare, nel
    caso in cui l'obbligazione tributaria abbia la propria causa nell'unico atto
    che ha determinato il trasferimento di ricchezza.
    Proprio con riguardo ad una situazione di questo tipo, si e' rilevato (sent.
    9 marzo 1988, n. 2361) che "pur nell'ambito di un'obbligazione solidale
    (passiva) … e' possibile che l'obbligo che avvince uno dei condebitori in
    solido sia strutturalmente (e gia' sul piano del diritto sostanziale)
    subordinato all'altro, in quanto l'uno presupponga l'accertamento
    dell'altro", come si verifica nel caso della responsabilita' del sindaco di
    una societa' per culpa in vigilando sull'amministratore, che logicamente e
    giuridicamente postula quella dell'amministratore, e sulla stessa linea si
    erano poste le sentenze n. 2951/1971, 2211/1972 e 1026/1975, considerando la
    decisione sulla responsabilita' del conducente del veicolo quale presupposto
    logico giuridico imprescindibile della responsabilita' del proprietario.
    Se perfino sotto l'aspetto sostanziale il dogma della pluralita' e
    scindibilita' dei rapporti e' stato messo in discussione nei casi di cui il
    rapporto nasce da un titolo unico e nei casi tradizionalmente definiti di
    pregiudizialita' - dipendenza fra situazioni giuridiche, non v'e'
    difficolta' ad ammettere, sul piano processuale, che, nelle stesse ipotesi,
    l'estensione del giudicato al condebitore inerte, consentita da una norma -
    il comma 2, dell'art. 1306 - che opera sul piano processuale e nell'ambito
    del processo, non incontra altri limiti se non quelli derivanti dal
    giudicato diretto formatosi nei suoi confronti (perche' non si potrebbe
    determinare un conflitto di giudicati e il condebitore inerte non potrebbe
    invocare un diverso giudicato contro il "suo" giudicato) e, in generale, da
    preclusioni processuali: o verificatesi nello stesso processo (come nel caso
    in cui il condebitore, presente in giudizio, non impugni la sentenza a lui
    sfavorevole che altri invece impugnino) o in altro processo, come nel caso
    in cui il condebitore abbia separatamente agito per contestare
    l'obbligazione e sia rimasto definitivamente soccombente.
    In questa ottica, deve ritenersi che, quanto e' il contribuente condebitore
    inerte a volersi avvalere della sentenza, la legge, oltre a quelli sopra
    indicati, non pone altri limiti a tale sua facolta', e che l'affermazione,
    secondo cui l'utilizzazione della sentenza favorevole da parte del
    condebitore inerte e' possibile se la sua posizione personale non sia gia'
    regolata da un accertamento giudiziale definitivo, va combinata con la
    portata oggettiva delle ragioni che hanno determinato la prima sentenza, nel
    senso che, se il convenuto nel primo giudizio aveva sollevato un'eccezione
    comune a tutti e abbracciante l'intero debito (e l'eccezione sia stata
    accolta), il condebitore inerte puo' utilizzare gli effetti
    dell'accoglimento per sostenere che l'obbligazione non sussiste neppure nei
    suoi confronti o per far valere, anche nei suoi confronti, la riduzione del
    debito.
  2. Quanto precede conduce alla conclusione che non ostano all'estensione del
    giudicato le vicende extra o preprocessuali relative alla posizione
    sostanziale del condebitore inerte, eventualmente costituite da un atto
    amministrativo non impugnato.
    Si e', anzi, osservato che il comma 2, dell'art. 1306, regolando nel senso
    indicato le modifiche giudiziali di una situazione sostanziale
    plurisoggettiva, non e' neppure norma eccezionale, non essendo ignote
    all'ordinamento altre ipotesi in cui il mancato assolvimento dell'onere
    d'impugnativa di un atto non impedisce al soggetto rimasto inattivo di
    beneficiare della decisione favorevole ottenuta da altro soggetto, che,
    ponendosi in posizione analoga rispetto a quell'atto, l'abbia
    tempestivamente impugnato; e se ne sono individuate ipotesi normativamente
    disciplinate in tutti i casi (connotati dall'esistenza di un rapporto
    plurisoggettivo geneticamente unitario, anche se funzionalmente distinto in
    relazione ai singoli soggetti) d'impugnativa delle deliberazioni di organi
    collegiali (artt. 23, 1109, 1137, 2377, 2378 e 2453 del codice civile)
    soggetta ad un termine di scadenza, in cui l'annullamento dell'atto,
    ottenuto da chi abbia proposto l'impugnativa, ha effettuato nei confronti
    dei soci (associati o cumunisti), anche se abbiano fatto trascorrere quel
    termine.
  3. La genesi unitaria del fascio di rapporti che fanno capo a distinti
    soggetti rileva - nel senso suddetto (ossia nel senso che quei rapporti
    devon o configurarsi allo stesso modo nei confronti di tutti, anche se
    alcuni di essi non si attivano per l'impugnativa) - anche con riguardo
    all'accertamento tributario di maggior valore, quando cio' - che nella
    diversa ipotesi dell'atto amministrativo collettivo o indivisibile e'
    diretta conseguenza della natura di tale atto indirizzato a piu' destinatari
  • e' consentito da una norma (l'art. 1306, comma 2) che, disciplinano nel
    senso che si e' detto il meccanismo processuale delle obbligazioni solidali,
    privilegia il momento della genesi unitaria dell'obbligazione rispetto alla
    sua struttura pluralistica.
    All'applicazione del comma 2, dell'art. 1306 non osta, infatti, la
    circostanza che il condebitore non abbia impugnato l'atto d'accertamento
    rendendolo definitivo nei suoi confronti.
    Al riguardo, sono stati posti in evidenza, da un lato, il valore relativo di
    questo tipo di definitivita' in correlazione ai fattori che incidono sulla
    sua formazione, posto che l'accertamento e' un atto amministrativo e,
    quindi, ancorche' incontestabile circa l'individuazione dell'imponibile cui
    si collega il credito dell'Amministrazione, non puo' restare insensibile a
    vicende giudiziali attinenti al medesimo imponibile; dall'altro,
    l'insussistenza di una pretesa equiparazione tra l'efficacia preclusiva
    dell'atto amministrativo definitivo e l'efficacia di cosa giudicata propria
    delle decisioni degli organi giurisdizionali. La prima si concreta
    unicamente nella perdita del potere, da parte del condebitore inerte, di
    tutelare la propria posizione sostanziale mediante l'instaurazione del
    giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie sulle pretese
    dell'Amministrazione.
    In altri termini, il condebitore non ricorrente non puo' validamente
    esercitare una immediata tutela della sua posizione sostanziale (nel caso in
    esame: di soggetto passivo dell'obbligazione solidale d'imposta
    complementare di registro), per essere scaduto il termine previsto per quel
    tipo di tutela. Ma, questo soltanto essendo l'effetto preclusivo della
    mancata opposizione, essa non interferisce con la facolta' concessa al
    condebitore di opporre il giudicato favorevole formatosi nei confronti del
    condebitore opponente ai sensi dell'art. 1306, comma 2, del codice civile,
    com'e' stato prima interpretato, purche' quel giudicato non sia fondato
    sopra ragioni personali al condebitore.
    L'utilizzazione del termine per opporsi all'accertamento, da parte di uno e
    non anche dell'altro dei condebitori solidali, non costituisce "ragione
    personale" della decisione sull'apposizione e non osta, quindi, sotto questo
    profilo, all'estensione del giudicato ai sensi del comma 2, dell'art. 1306,
    poiche' la norma fa evidente riferimento alle ragioni personali di merito
    che attengono all'obbligazione in se'. Ne' "ragione personale" ad uno dei
    condebitori e' quella che determina l'eliminazione o il ridimensionamento
    dell'atto d'accertamento, quando questo investe un'obbligazione avente la
    propria fonte e la propria causa nell'unico atto che ha dato luogo al
    trasferimento di ricchezza e si sostanzia nella determinazione del valore
    trasferito, che e' il medesimo per l'alienante e per l'acquirente, in modo
    da costituire l'antecedente di quella obbligazione in relazione a tutte le
    parti dell'atto di trasferimento.
    Invero, l'esercizio dei poteri di attuazione del prelievo tributario,
    riconosciuti dalla legge all'Amministrazione, e' diretto, nel caso in esame,
    alla quantificazione o all'accertamento dell'esistenza del presupposto
    impositivo del tributo di registro, che, in quanto tale, attiene non al
    singolo vincolo obbligatorio, ma all'intero rapporto solidale d'imposta;
    analogamente, l'impugnazione di un condebitore ha l'effetto di promuovere la
    determinazione giudiziale della ricchezza trasferita, la quale non investe
    il singolo vincolo obbligatorio fatto valere in giudizio, ma tutto il
    rapporto solidale d'imposta che in quella base imponibile trova il suo
    fondamento.
  1. Poiche', come si e' rilevato, l'art. 1306, comma 2, del codice civile,
    alla cui operativita' non e' di ostacolo l'unilaterale determinazione
    dell'imponibile contenuta nell'atto d'accertamento non impugnato dal
    condebitore, e' norma che regola il meccanismo processuale della
    solidarieta', cio' costituisce la giustificazione ma, al tempo stesso, il
    limite della sua applicabilita'.
    Se, invero, a differenza del concreditore (che puo' "far valere" la sentenza
    favorevole pronunziata fra altro concreditore e il debitore), il condebitore
    non puo' che "opporre" (ossia far valere in via di eccezione) la sentenza
    pronunciata tra il creditore ed un altro condebitore (il che postula
    un'iniziativa del creditore nei suoi confronti) e se opporre tale sentenza
    costituisce una mera facolta' che egli e' libero di esercitare oppure no, il
    pagamento che egli abbia effettuato, prima o dopo il formarsi del giudicato
    favorevole nei confronti del condebitore, costituisce esercizio negativo e
    consumazione di quella facolta', impedendo che possa successivamente
    ripetersi quanto sia stato in tal modo pagato.
  2. Le accolte conclusioni sono coerenti sia ai precetti costituzionali, e
    principalmente al principio sancito dall'art. 53 della Costituzione, sia
    alla disciplina delle obbligazioni solidali. L'art. 1306 va, infatti,
    coordinato con la regola fondamentale dettata in materia di solidarieta'
    passiva dall'art. 1292, comma 1, per cui il singolo debitore, provvedendo a
    pagare quanto da lui dovuto, libera anche gli altri; e la norma verrebbe
    elusa se si consentisse all'Amministrazione di rivolgersi al contribuente
    inerte per riscuotere una somma maggiore di quella che, se nel frattempo
    fosse stata pagata dall'altro condebitore, avrebbe estinto l'intero credito.
  3. Pertanto, il ricorso va rigettato, senza pronunzia sulle spese, poiche'
    la parte risultata vittoriosa non ha svolto attivita' difensiva in questa
    sede.
    P.Q.M.
    la Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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