Ordinanza del 16/01/2023 n. 1164 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Rilevato che:
1. L'Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Alessandria, con avviso di accertamento recuperava a tassazione maggiore Ires per l'anno di imposta 2006 nei confronti dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Acqui, disconoscendo, in relazione ai redditi di locazione immobiliare, l'agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, comma 1, lett. c).
2. L'ente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Alessandria che lo accoglieva, affermando la natura meramente soggettiva dell'agevolazione.
3. La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la sentenza n. 244/22/2016 pubblicata in data 22 febbraio 2016, rigettava l'appello dell'ufficio.
In particolare, i giudici d'appello, dopo aver ricostruito il quadro normativo, evidenziavano che gli Istituti diocesani sono stati eretti per perseguire l'esclusiva finalità di assicurare il congruo e dignitoso sostentamento del clero, sia durante l'esercizio del ministero sia successivamente, quando i sacerdoti si ritirano a vita privata, e che pertanto l'attività svolta è diretta a consentire il perseguimento del fine di religione e di culto; e che, poiché lo scopo, le finalità e le attività degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero sono definiti dalle norme in modo tassativo, non poteva trovare applicazione la seconda parte della L. n. 121 del 1985, art. 7 relativa alle attività diverse, attività non praticabili, risultando indifferenti quindi, a fini fiscali, le tipologie di redditi che costituiscono le fonti di finanziamento degli istituti.
4. L'Agenzia ricorrente propone ricorso affidato a due motivi.
L'Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Acqui resiste con controricorso.
Con ordinanza emessa in data 9 luglio 2018 la Corte, sesta sezione, ha rinviato la causa alla sezione ordinaria, in assenza di precedenti specifici concernenti la peculiare posizione ricoperta dagli Istituti per il sostentamento del clero all'interno della L. n. 222 del 1985, ove viene presa in considerazione la specifica finalità di tali enti, data dal sostentamento del clero.
Il ricorso è stato poi fissato per la camera di consiglio del 27 ottobre 2022, ai sensi dell'art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis.1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197, per la quale la ricorrente ha depositato memoria, preceduta da un'istanza volta alla trattazione del processo in pubblica udienza.
Considerato che:
1. Con il primo motivo l'Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, dell'art. 7, n. 3 dell'accordo tra Stato italiano e Santa Sede del 1984, ratificato dalla L. n. 121 del 1985, dell'art. 53 Cost. e dell'art. 14 preleggi, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); evidenzia in particolare che la CTR avrebbe ritenuto applicabile il beneficio in base al solo criterio soggettivo, la qualifica dell'ente, senza prendere in considerazione la natura dell'attività svolta, criterio oggettivo, attività che deve essere infatti coerente con il fine istituzionale perseguito o deve essere ad esso connessa da un rapporto di strumentalità diretta ed immediata, ciò anche in ragione della necessaria stretta interpretazione delle norme agevolatrici in materia fiscale; deduce ancora che del resto è lo stesso art. 7, comma 3, dell'accordo tra Stato italiano e Santa Sede di cui alla L. n. 121 del 1985 a prevedere che gli enti ecclesiastici possano svolgere attività diversa da quella di religione o culto e che in questo caso tali attività siano assoggettate al regime tributario previsto per le medesime; che la natura dell'attività non può essere presunta nè si può ritenere presuntivamente accertato che i proventi della riscossione dei canoni di locazione siano destinati in ogni caso a integrare il compenso percepito dei sacerdoti senza che l'ente abbia mai dimostrato l'effettiva destinazione dei proventi; e che comunque, alla luce di tali principi, sarebbe necessario che l'uso dell'immobile concretizzi in se stesso l'esercizio di un'attività non commerciale strumentale al fine di religione o culto.
Col secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), non avendo la controparte provato la natura dei redditi agevolabili.
2. Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso, eccezione sollevata con riferimento alla circostanza che la ricorrente non censurerebbe la specifica argomentazione posta a fondamento della sentenza della CTR, costituita dal fatto che, a prescindere dal carattere oggettivo dell'agevolazione in questione, gli Istituti diocesani non possano svolgere, per fine statutario, attività diversa.
Come infatti emerge dal ricorso, il fulcro della censura dell'Agenzia, premessi ampi riferimenti sulla natura dell'agevolazione in questione, è sull'assenza di strumentalità immediata e diretta dell'attività di locazione di immobili con il fine statutario, il che attinge chiaramente anche la su esposta affermazione.
3. I due motivi vanno esaminati congiuntamente e possono essere decisi facendo riferimento a diversi precedenti di questa Corte, il che rende infondata la richiesta di trattazione in pubblica udienza formulata dal controricorrente Istituto, ben potendo il collegio giudicante escludere la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie (Cass., Sez. U., 5/06/2018, n. 14437), ed allorquando non si verta in tema di decisioni aventi rilevanza nomofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando, con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza (Cass., Sez. U., 23/04/2020, n. 8093; Cass. 21/01/2022, n. 2047; Cass. 13/01/2021, n. 392; Cass. 20/11/2020, n. 26480).
Il D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, comma 1, lett. c) (rubricato "Riduzione dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche", abrogato dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 51, "a decorrere dal periodo d'imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis", il quale a sua volta stabilisce che "Con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell'Unione Europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà. E' assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni del codice del Terzo settore, di cui al D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117") prevede che l'imposta sul reddito delle persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione, purché in ogni caso tali enti abbiano personalità giuridica (comma 2).
L'art. 7, n. 3, dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato con la L. 25 marzo 1985, n. 121, prevede che "Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione" e che "le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime".
Occorre anche ricordare che la l. 20/05/1985, n. 222 ("Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi") prevede, all'art. 15, che "gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall'art. 7, n. 3, comma 2, dell'accordo del 18 febbraio 1984", e, all'art. 16, che "Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro".
4. Una consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene, al fine del riconoscimento dell'agevolazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 che in generale non sia sufficiente il mero requisito soggettivo, e non sia cioè, per quanto concerne in particolare gli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, sufficiente che essi siano sorti con tali enunciati fini, ma occorre altresì accertare che l'attività in concreto esercitata dagli stessi non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un'attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti, dovendo altrimenti essere classificata come "attività diversa", soggetta all'ordinaria tassazione (Cass. 13/12/2016, n. 25586).
Tale giurisprudenza risale ad alcuni arresti degli anni '90; in particolare Cass. 29/03/1990, n. 2573 ebbe a riconoscere che la necessità di accertare, oltre al requisito soggettivo, l'attività concretamente svolta come descritta nell'atto costitutivo, con precisa indicazione dell'oggetto, ovvero, in difetto, come effettivamente svolta, nascesse alla stregua del coordinamento della citata norma con il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, artt. 1 e 2 istitutivo dell'IRPEG, dovendosi accertare che non avesse carattere commerciale, in via esclusiva o principale, e, inoltre, in presenza di un'attività commerciale di tipo non prevalente (nella specie, attività editoriale), che la stessa fosse in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini di religione e di culto, e quindi, non si limitasse a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti; tale decisione concludeva che tale non è un'attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando, "per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un'attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest'ultima, al culto o alla religione".
La natura non solo soggettiva dell'agevolazione è stata poi da questa Corte confermata in numerose altre decisioni (iniziando da Cass. 15/02/1995, n. 1633 e Cass. 08/03/1995, n. 2705, che ebbe anche a precisare che il rapporto di strumentalità deve essere accertato dal giudice del merito e che il relativo accertamento, ove sia logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità; successivamente Cass. 13/01/2021, n. 339; Cass. 2/10/2013, n. 22493).
Ciò significa, in altri termini, che l'esistenza del fine "di religione o di culto" rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la spettanza dell'agevolazione, in quanto, come detto, il beneficio non è applicabile solo in ragione della qualificazione soggettiva dell'ente ma assume rilevanza anche l'elemento oggettivo, rappresentato dal tipo di attività svolta.
Tale interpretazione è del resto coerente con la considerazione che l'agevolazione, configurando un'eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria (quale immediata applicazione del canone costituzionale di cui all'art. 53 Cost.), "può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti svolgono" (Consiglio Stato, parere 08/10/1991, n. 1296) e con la considerazione che le norme agevolatrici sono norme eccezionali e quindi di stretta interpretazione.
Il quadro va completato ricordando che ricade sul soggetto richiedente l'onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, per cui l'ente deve dimostrare, ai fini della propria natura non commerciale, che l'attività in concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.
Alla luce di tali decisioni, pertanto, deve ribadirsi che l'agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, comma 1, spetti agli enti con finalità di beneficenza o istruzione o ad essi equiparati per legge, come gli enti ecclesiastici con fine di religione o culto (elemento soggettivo), e per le attività non commerciali o per le attività commerciali non prevalenti che siano in rapporto di strumentalità diretta e immediata con i fini di beneficenza e istruzione o, nel caso di specie, religione o culto (elemento oggettivo); con le precisazioni che l'attività è "strumentale direttamente ove con essa l'ente si limiti a procacciare i mezzi economici occorrenti al fine istituzionale" e che non è un'attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando, "per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un'attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest'ultima, al culto o alla religione".
5. Posti tali principi di carattere generale occorre esaminare le due questioni specifiche del presente giudizio, cioè la natura dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero e la possibilità di considerare l'attività di concessione a terzi di locazione di immobili come strumentale e diretta al fine statutario.
6. Gli Istituti diocesani per il sostentamento del clero fanno parte degli enti ecclesiastici che possono essere civilmente riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili, ai sensi della L. n. 222 del 1985, artt. 21, 22 ed 1-5, che regolano l'istituzione e il fine dei medesimi.
L'art. 21 prevede infatti che in ogni diocesi venga eretto, entro il 30 settembre 1986, con decreto del Vescovo diocesano, l'Istituto per il sostentamento del clero previsto dal canone 1274 del codice di diritto canonico (il quale prevede che "Nelle singole diocesi ci sia un istituto speciale che raccolga i beni o le offerte, al preciso scopo che si provveda al sostentamento dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi, a norma del can. 281, a meno che non si sia provveduto ai medesimi diversamente").
L'art. 24, comma 1, determina le attività demandate agli Istituti per il sostentamento del clero, stabilendo, per quanto qui interessa, che dall'1 gennaio 1987 ognuno di essi provveda, in conformità allo statuto, ad assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla Conferenza episcopale italiana, il congruo e dignitoso sostentamento del clero che svolge servizio in favore della relativa diocesi.
L'art. 27, inoltre, aggiunge che l'Istituto centrale e gli altri Istituti per il sostentamento del clero possono svolgere anche funzioni previdenziali integrative autonome per il clero, prevedendo altresì che ogni Istituto diocesano destini, in conformità ad apposite norme statutarie, una quota delle proprie risorse per sovvenire alle necessità che si manifestino nei casi di abbandono della vita ecclesiastica da parte di coloro che non abbiano altre fonti sufficienti di reddito.
L'art. 28 prevede che con il decreto di erezione di ciascun Istituto sono contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici capitolari, parrocchiali, vicariali curati o comunque denominati, esistenti nella diocesi, e i loro patrimoni siano trasferiti di diritto all'Istituto stesso.
Gli artt. 33-35 prevedono ulteriori compiti degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero e regolano il funzionamento di questi ultimi sotto diversi aspetti.
Appare utile evidenziare, per quanto qui interessa, che l'art. 35, comma 1, in materia di aspetti economici riguardanti il funzionamento dell'Istituto, stabilisce che esso provveda all'integrazione economica eventualmente spettante ai sacerdoti della diocesi con i redditi del proprio patrimonio, salvo l'intervento dell'Istituto centrale nel caso in cui questi ultimi fossero insufficienti.
Gli artt. 36-38, infine, disciplinano l'alienazione di beni, ed in particolare anche di immobili, da parte degli Istituti per il sostentamento del clero.
Dal complesso di tali disposizioni, come questa Corte ha già avuto modo di osservare (Cass. 30/07/2019, n. 20480), si evince pertanto che il legislatore non ha escluso, ed anzi ha presupposto, che l'Istituto diocesano per il sostentamento del clero possa svolgere, accanto ad attività di religione o di culto, anche ulteriori compiti, ed in particolare anche attività di natura e rilevanza economica e commerciale, finalizzate alla produzione di quei redditi del proprio patrimonio attraverso i quali provvedere ad integrare, se necessario, la remunerazione spettante al clero che svolge servizio in favore della diocesi, per assicurare il congruo e dignitoso sostentamento di ogni sacerdote (in quel caso l'Agenzia aveva negato che l'Istituto potesse beneficiare della rivalutazione di un terreno, in quanto spettante solo ai soggetti titolari di reddito d'impresa, ovvero, ma limitatamente ai beni relativi all'attività commerciale, agli enti non commerciali, i quali, pur svolgendo attività commerciali, non abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di queste ultime, escludendo la sua inclusione sia tra i soggetti di cui all'art. 73, comma 1, lett. a) e b) t.u.i.r., richiamato dal D.L. n. 185 del 2008, art. 15, comma 16, convertito dalla L. n. 2 del 2009, sia tra i soggetti menzionati nella L. n. 342 del 2000, art. 15).
In tale precedente la Corte, come dedotto in quella sede dal ricorrente Istituto, ha ritenuto che esso si inserisca tra gli enti ecclesiastici, civilmente riconosciuti, che, come previsto dalla L. n. 222 del 1985, art. 15 possono svolgere, oltre alle attività di religione o di culto descritte dal successivo art. 16, lett. a), ovvero "quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana", anche quelle diverse di cui all'art. 16, lett. b), ovvero "quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro".
L'individuazione delle due categorie di attività, ai fini della relativa disciplina nell'ordinamento civile, ed in particolare per quanto riguarda l'aspetto tributario, è stata ritenuta rispettosa di quanto previsto dall'art. 7, n. 3, dell'accordo del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, che, come anticipato, dispone che "Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione"; riguardo invece alle ulteriori attività, dell'art. 7, n. 3, il comma 2 dell'accordo del 18 febbraio 1984, espressamente richiamato dalla L. n. 222 del 1985, art. 15 stabilisce che: "Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime".
Alla luce di tali considerazioni, espresse nel precedente citato, pertanto, deve ritenersi che la CTR abbia errato nel ritenere apoditticamente che tutta l'attività svolta dall'Istituto sia automaticamente volta a consentire il perseguimento del fine di culto e che non sia applicabile mai la seconda parte della L. n. 121 del 1985, art. 7 che "si riferisce alle attività diverse in quanto tali attività non sono praticabili".
7. La seconda questione attiene alla natura del reddito recuperato parzialmente a tassazione, pacificamente vertendosi in tema di redditi da locazione immobiliare.
Coerentemente con la ratio legis, la disposizione recata dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 in via di principio, deve applicarsi anche ai proventi derivanti dalla locazione del patrimonio immobiliare (come nel caso di immobili ricevuti per lasciti e donazioni o come tipicamente negli istituti diocesani), a due condizioni, imposte dai principi sopra esposti (e che appaiono richiamate anche nella recente circolare dell'Agenzia delle entrate n. 15E del 17 maggio 2022).
In primo luogo, si deve essere in presenza di un mero godimento del patrimonio immobiliare, finalizzato al reperimento di fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali dell'ente, che si configura quando la locazione di immobili si risolve nella mera riscossione dei canoni, senza una specifica e dedicata organizzazione di mezzi e risorse funzionali all'ottenimento del risultato economico.
In linea di principio, infatti, la mera riscossione dei canoni da parte dell'ente religioso, così come l'esecuzione dei pagamenti delle spese riferite agli immobili, non implica di per sì l'esercizio di un'attività commerciale. Tuttavia, al fine di escludere lo svolgimento di una attività organizzata in forma di impresa, occorre verificare, caso per caso, che l'ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, ovvero che non si avvalga di altri strumenti propri degli operatori di mercato, esaminando circostanze di fatto che caratterizzano in concreto la situazione specifica. Ad esempio, il citato documento di prassi segnala, quali meri esempi, alcuni indici idonei a tali fini: la ripetitività con la quale si immette sul libero mercato degli affitti il medesimo bene in ragione della stipula di contratti di breve durata; la consistenza del patrimonio immobiliare gestito (da valutarsi non isolatamente, ma qualora accompagnata dalla presenza di una struttura organizzativa dedicata alla gestione immobiliare); l'adozione di tecniche di marketing finalizzate ad attirare clientela; il ricorso a promozioni volte a fidelizzare il locatario; la "presenza attiva" in un mercato con spot pubblicitari ad hoc, insegne o marchi distintivi.
L'ipotesi di mero godimento ricorre invero quando gli immobili non sono inseriti in un tale contesto ma sono posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, attraverso i quali l'ente si sostiene e si procura i proventi per poter raggiungere i fini istituzionali, compiendo quindi gli interventi conservativi, quali la manutenzione o il risanamento del bene, ovvero quelli migliorativi, atti a consentirne un uso idoneo, mentre, per converso, non rientra nella predetta nozione una gestione caratterizzata dalla presenza di atti volti alla trasformazione del patrimonio immobiliare.
Ciò è del resto conforme alla nozione unionale di "impresa" che abbraccia qualsiasi entità che eserciti un'attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (v. sentenza del 16 marzo 2004, AOK Bundesverband e a., C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, EU:C:2004:150, punto 46 e giurisprudenza ivi citata; sentenze del 10 gennaio 2006, Cassa di Ri Spa rmio di Firenze e a., C-222/04, EU:C:2006:8, punto 107, nonché del 27 giugno 2017, Congregaciòn de Escuelas Pias Provincia Betania, C-74/16, EU:C:2017:496, punti 39 e 41 e giurisprudenza ivi citata).
Ove si verta in ipotesi di mero godimento, occorre poi che tali proventi siano effettivamente ed esclusivamente impiegati nelle attività di "religione o di culto" e cioè nel fine istituzionale dell'ente. Trattandosi di mero godimento del patrimonio immobiliare, la destinazione dei relativi proventi, in via esclusiva e diretta, alla realizzazione delle finalità istituzionali dell'ente consente di ricondurre il reddito così ritratto al beneficio della riduzione di aliquota.
Nell'ipotesi in cui l'ente svolga solo attività di "religione o di culto", il reinvestimento nelle attività istituzionali rappresenta l'unica destinazione possibile dei proventi derivanti dal mero godimento del patrimonio immobiliare. Qualora, invece, l'ente svolga anche altre "attività diverse", la destinazione dei proventi alle attività istituzionali dovrà risultare da apposita documentazione.
La sussistenza delle predette condizioni garantisce che il godimento in chiave meramente conservativa del patrimonio immobiliare, i cui proventi costituiscono i mezzi necessari per il perseguimento dello scopo principale, non si ponga in contrasto con le finalità ideali e non economiche perseguite dall'ente.
Nel caso di specie occorre che la CTR compia tali accertamenti nel rispetto degli oneri probatori al riguardo.
8. In definitiva, alla luce di tali principi, deve ritenersi che la CTR abbia errato nel ritenere apoditticamente che non sia possibile che l'Istituto svolga "attività diverse in quanto tali attività non sono praticabili", sottraendosi alla necessità di accertare, quanto ai redditi di locazione, in primo luogo che l'ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, e in secondo luogo, ove venga in rilievo un mero godimento degli immobili, che i proventi siano destinati direttamente alle attività istituzionali.
9. La controricorrente ha chiesto, in subordine, di rideterminare le sanzioni amministrative, alla luce della applicazione dello ius superveniens del D.Lgs. 18 dicembre 1997, art. 472, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n 471, art. 1, comma 2, nel testo modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 15 dovendosi la sanzione ridurre dal 100 per cento al 90 per cento.
L'accoglimento del ricorso comporta l'assorbimento della questione, rimessa alla valutazione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, cui la causa va, cassata la sentenza impugnata, rinviata, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, per nuovo giudizio alla luce dei principi espressi al par. 8.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda anche di regolare le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2023
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