Ordinanza del 16/01/2023 n. 1164 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Massime

IMPOSTE DIRETTE - AGEVOLAZIONI - UTILITÀ SOCIALI - ENTI ECCLESIASTICI - RIDUZIONE DELL'IRPEG - ART6 DPR N601 DEL 1973 - CONDIZIONI

L'art. 6, primo comma, lettera c) del D.P.R. n. 601 del 1973 (abrogato dall'art. 1, comma 51, della l. 30/12/2018, n. 145, a decorrere dal periodo d'imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis il quale a sua volta stabilisce che con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell'Unione europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà prevede che l'imposta sul reddito delle persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione, purché in ogni caso tali enti abbiano personalità giuridica. L'art. 7, n. 3, dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, prevede che agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione e che le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime. Al fine del riconoscimento dell'agevolazione dell'art. 6 D.P.R. n. 601 del 1973, non è sufficiente il mero requisito soggettivo, per quanto concerne in particolare gli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, ma occorre altresì accertare che l'attività in concreto esercitata dagli stessi non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un'attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti , dovendo altrimenti essere classificata come attività diversa, soggetta all'ordinaria tassazione. Pertanto, l'esistenza del fine di religione o di culto rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la spettanza dell'agevolazione, in quanto il beneficio non è applicabile solo in ragione della qualificazione soggettiva dell'ente ma assume rilevanza anche l'elemento oggettivo, rappresentato dal tipo di attività svolta. Tale interpretazione è del resto coerente con la considerazione che l'agevolazione, configurando un'eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti svolgono e con la considerazione che le norme agevolatrici sono norme eccezionali e quindi di stretta interpretazione. Infine, va ricordato che ricade sul soggetto richiedente l'onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, per cui l'ente deve dimostrare, ai fini della propria natura non commerciale, che l'attività in concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

Nella fattispecie, occorre esaminare la natura dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero e la possibilità di considerare l'attività di concessione a terzi di locazione di immobili come strumentale e diretta al fine statutario. Gli Istituti diocesani per il sostentamento del clero fanno parte degli enti ecclesiastici che possono essere civilmente riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili, ai sensi degli artt. 21, 22 ed 1-5, della l. n. 222 del 1985, che regolano l'istituzione e il fine dei medesimi. Gli artt. 33-35 prevedono ulteriori compiti degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero e regolano il funzionamento di questi ultimi sotto diversi aspetti: l'art. 35, comma 1, in materia di aspetti economici riguardanti il funzionamento dell'Istituto, stabilisce che esso provveda all'integrazione economica eventualmente spettante ai sacerdoti della diocesi con i redditi del proprio patrimonio, salvo l'intervento dell'Istituto centrale nel caso in cui questi ultimi fossero insufficienti e gli artt. 36-38 disciplinano l'alienazione di beni, ed in particolare anche di immobili. Dal complesso di tali disposizioni, si evince che il legislatore non ha escluso, ed anzi ha presupposto, che l'Istituto diocesano per il sostentamento del clero possa svolgere, accanto ad attività di religione o di culto, anche ulteriori compiti, ed in particolare anche attività di natura e rilevanza economica e commerciale, finalizzate alla produzione di quei redditi del proprio patrimonio attraverso i quali provvedere ad integrare, se necessario, la remunerazione spettante al clero che svolge servizio in favore della diocesi, per assicurare il congruo e dignitoso sostentamento di ogni sacerdote. Pertanto, non può ritenersi che tutta l'attività svolta dall'Istituto sia automaticamente volta a consentire il perseguimento del fine di culto e che non sia applicabile mai la seconda parte dell'art. 7 della Legge 121 del 1985 che si riferisce alle attività diverse. Con riferimento al caso di specie, esso attiene alla natura del reddito recuperato parzialmente a tassazione, pacificamente vertendosi in tema di redditi da locazione immobiliare. L'art. 6 del D.P.R. n. 601 del 1973, in via di principio, deve applicarsi anche ai proventi derivanti dalla locazione del patrimonio immobiliare (come nel caso di immobili ricevuti per lasciti e donazioni o come tipicamente negli istituti diocesani), a due condizioni: in primo luogo, si deve essere in presenza di un mero godimento del patrimonio immobiliare, finalizzato al reperimento di fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali dell'ente, che si configura quando la locazione di immobili si risolve nella mera riscossione dei canoni, senza una specifica e dedicata organizzazione di mezzi e risorse funzionali all'ottenimento del risultato economico e ove si verta in ipotesi di mero godimento, occorre poi che tali proventi siano effettivamente ed esclusivamente impiegati nelle attività di religione o di culto, ossia nel fine istituzionale dell'ente. Trattandosi di mero godimento del patrimonio immobiliare, la destinazione dei relativi proventi, in via esclusiva e diretta, alla realizzazione delle finalità istituzionali dell'ente consente di ricondurre il reddito così ritratto al beneficio della riduzione di aliquota. Infatti, nell'ipotesi in cui l'ente svolga solo attività di religione o di culto, il reinvestimento nelle attività istituzionali rappresenta l'unica destinazione possibile dei proventi derivanti dal mero godimento del patrimonio immobiliare, mentre qualora l'ente svolga anche altre attività diverse, la destinazione dei proventi alle attività istituzionali dovrà risultare da apposita documentazione.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

L'art. 7, comma 1, lettera i) del d.lgs. n. 504 del 1992 prevede l'esenzione dall'imposta ICI per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 87, comma 1, lettera c), del TUIR, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della Legge 20 maggio 1985, n. 222. La combinazione del requisito soggettivo e di quello oggettivo pone in evidenza un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del beneficio in esame, ossia che le attività svolte negli immobili ai quali deve essere riconosciuta l'esenzione dall'ICI, siano rivolte ad un pubblico indifferenziato e senza che per esse sia richiesto una tariffa che tenga conto dei valori di mercato. In tal modo emerge la finalità solidaristica che connota il servizio reso e che giustifica l'esenzione in esame. Nel caso di specie risultava l'assenza di tali caratteri, essendo l'utilizzo dei campi di tennis, pertinenza del Condominio, finalizzato ad attività sportiva, ma ad esclusivo uso dei condomini e, quindi, per ciò solo carente dell'aspetto solidaristico. Inoltre, quanto alle attività sportive, quelle rilevanti ai fini dell'applicabilità dell'art. 7 citato, sono quelle rientranti nelle discipline riconosciute dal CONI e svolte da associazioni sportive e dalle relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi dell'articolo 90 della legge n. 289 del 2002. Quanto alle modalità di esercizio, tali attività devono essere organizzate direttamente dall'ente (partite di campionato, organizzazione di corsi, tornei), così che deve ritenersi esclusa l'esenzione se l'ente si limita a mettere a disposizione l'immobile per l'esercizio individuale dello sport (come nel caso di affitto di campi da tennis o da calcio o della gestione di piscine con ingressi a pagamento). L'affitto dei campi e, dunque, degli spazi di gioco è, infatti, un'attività diversa da quella di svolgimento in modo diretto di un'attività sportiva nel senso solidaristico sopra riportato e, come tale, non meritevole del riconoscimento del beneficio ICI.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Ai fini del riconoscimento dell'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 per l'esercizio di attività didattica universitaria, il requisito oggettivo costituito dalla natura non commerciale della stessa non può essere desunto in via esclusiva in base a documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l'immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con modalità commerciali. Inoltre, l'esenzione in esame può essere riconosciuta solo nei casi tassativamente previsti, stante il divieto non solo di applicazione analogica, ma anche d'interpretazione estensiva, posto in riferimento alla legge speciale dall'art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile. Pertanto, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza del requisito oggettivo mediante la prova che l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale ed abbia quelle finalità solidaristiche alla base delle ragioni di esenzione, mentre spetta al giudice di merito l'obbligo di accertare in concreto le circostanze fattuali. Pertanto, si ritiene che lo svolgimento esclusivo nell'immobile di una delle attività previste dall'art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 vada verificato con criteri di rigorosità, seguendo le indicazioni della circolare ministeriale n. 2/DF del 2009 e, dunque, appurando, soprattutto, l'importo delle rette, che deve essere significativamente ridotto rispetto ai prezzi di mercato, onde evitare un'alterazione del regime di libera concorrenza e la trasformazione del beneficio in un aiuto di Stato.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera a), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per gli immobili posseduti dallo Stato e dagli enti pubblici ivi indicati, spetta soltanto se l'immobile è adibito ad un compito istituzionale riferibile, in via diretta ed immediata, allo stesso ente che lo possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale (che sarebbe perciò soggetto passivo dell'imposta ai sensi dell'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992) e non a compiti istituzionali di soggetti pubblici diversi, cui pure l'ente proprietario abbia in ipotesi l'obbligo, per disposizione di legge, di mettere a disposizione l'immobile, restando però del tutto estraneo alle funzioni ivi svolte. Rileva, in proposito, il principio per cui - in materia di ICI - l'esenzione di cui all'art. 7, comma 1 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, norma agevolatrice e, dunque, di stretta interpretazione, non opera in caso di utilizzo indiretto dell'immobile da parte dell'ente proprietario, ancorchè per finalità di pubblico interesse e senza fine di lucro. Più precisamente, l'esenzione dall'imposta, è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell'immobile di attività istituzionali ai fini dell'esenzione, e di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte dello Stato, di enti territoriali o enti pubblici. Sotto il primo profilo, il requisito oggettivo non può essere desunto esclusivamente sulla base di documenti che attestino "a priori" il tipo di attività cui l'immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività sia svolta per compiti istituzionali. Ne consegue che "il contribuente ha l'onere di dimostrare l'esistenza, in concreto, dei requisiti dell'esenzione, mediante la prova che l'attività cui l'immobile è destinato, rientra tra quelle esenti". Ne consegue che, nel caso di specie, l'Agenzia del Demanio, ente pubblico economico e in quanto tale non rientrante tra i soggetti che hanno diritto all'esenzione da ICI e IMU, non può invocare l'esenzione per il solo fatto dell'assunzione di posizioni soggettive di competenza statale o regionale e dello svolgimento di attività di natura non commerciale, dovendo invece provare di essere un'istituzione organicamente inserita nell'apparato amministrativo statale o regionale, ancorchè dotata di personalità giuridica propria.

Massima redatta a cura del CERDEF

Al fine del riconoscimento del beneficio della riduzione alla meta' dell'aliquota dell'IRPEG, ai sensi dell'art. 6 lett. H del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, in favore degli enti equiparati a quelli di beneficenza od istruzione, come gli enti ecclesiastici con fini di religione o di culto, non e' sufficiente che detti enti siano sorti con tali enunciati fini, ma occorre altresi' accertare, alla stregua del coordinamento della citata norma con gli artt. 1 e 2 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598 istitutivo dell'IRPEG, che l'attivita' in concreto esercitata dagli enti medesimi (come descritta nell'atto costitutivo, con precisa indicazione dell'oggetto, ovvero, in difetto, come effettivamente svolta) non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, e, inoltre, in presenza di un'attivita' commerciale di tipo non prevalente (nella specie, attivita' editoriale), che la stessa sia in rapporto di strumentalita' diretta ed immediata con quei fini di religione e di culto, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti, (dovendo altrimenti essere classificata come "attivita' diversa", soggetta all'ordinaria tassazione).

ISTITUTO DIOCESANO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO - ATTIVITÀ DI CONCESSIONE A TERZI DI LOCAZIONE DI IMMOBILI

Nella fattispecie, occorre esaminare la natura dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero e la possibilità di considerare l'attività di concessione a terzi di locazione di immobili come strumentale e diretta al fine statutario. Gli Istituti diocesani per il sostentamento del clero fanno parte degli enti ecclesiastici che possono essere civilmente riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili, ai sensi degli artt. 21, 22 ed 1-5, della l. n. 222 del 1985, che regolano l'istituzione e il fine dei medesimi. Gli artt. 33-35 prevedono ulteriori compiti degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero e regolano il funzionamento di questi ultimi sotto diversi aspetti: l'art. 35, comma 1, in materia di aspetti economici riguardanti il funzionamento dell'Istituto, stabilisce che esso provveda all'integrazione economica eventualmente spettante ai sacerdoti della diocesi con i redditi del proprio patrimonio, salvo l'intervento dell'Istituto centrale nel caso in cui questi ultimi fossero insufficienti e gli artt. 36-38 disciplinano l'alienazione di beni, ed in particolare anche di immobili. Dal complesso di tali disposizioni, si evince che il legislatore non ha escluso, ed anzi ha presupposto, che l'Istituto diocesano per il sostentamento del clero possa svolgere, accanto ad attività di religione o di culto, anche ulteriori compiti, ed in particolare anche attività di natura e rilevanza economica e commerciale, finalizzate alla produzione di quei redditi del proprio patrimonio attraverso i quali provvedere ad integrare, se necessario, la remunerazione spettante al clero che svolge servizio in favore della diocesi, per assicurare il congruo e dignitoso sostentamento di ogni sacerdote. Pertanto, non può ritenersi che tutta l'attività svolta dall'Istituto sia automaticamente volta a consentire il perseguimento del fine di culto e che non sia applicabile mai la seconda parte dell'art. 7 della Legge 121 del 1985 che si riferisce alle attività diverse. Con riferimento al caso di specie, esso attiene alla natura del reddito recuperato parzialmente a tassazione, pacificamente vertendosi in tema di redditi da locazione immobiliare. L'art. 6 del D.P.R. n. 601 del 1973, in via di principio, deve applicarsi anche ai proventi derivanti dalla locazione del patrimonio immobiliare (come nel caso di immobili ricevuti per lasciti e donazioni o come tipicamente negli istituti diocesani), a due condizioni: in primo luogo, si deve essere in presenza di un mero godimento del patrimonio immobiliare, finalizzato al reperimento di fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali dell'ente, che si configura quando la locazione di immobili si risolve nella mera riscossione dei canoni, senza una specifica e dedicata organizzazione di mezzi e risorse funzionali all'ottenimento del risultato economico e ove si verta in ipotesi di mero godimento, occorre poi che tali proventi siano effettivamente ed esclusivamente impiegati nelle attività di religione o di culto, ossia nel fine istituzionale dell'ente. Trattandosi di mero godimento del patrimonio immobiliare, la destinazione dei relativi proventi, in via esclusiva e diretta, alla realizzazione delle finalità istituzionali dell'ente consente di ricondurre il reddito così ritratto al beneficio della riduzione di aliquota. Infatti, nell'ipotesi in cui l'ente svolga solo attività di religione o di culto, il reinvestimento nelle attività istituzionali rappresenta l'unica destinazione possibile dei proventi derivanti dal mero godimento del patrimonio immobiliare, mentre qualora l'ente svolga anche altre attività diverse, la destinazione dei proventi alle attività istituzionali dovrà risultare da apposita documentazione.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

L'art. 6, primo comma, lettera c) del D.P.R. n. 601 del 1973 (abrogato dall'art. 1, comma 51, della l. 30/12/2018, n. 145, a decorrere dal periodo d'imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis il quale a sua volta stabilisce che con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell'Unione europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà prevede che l'imposta sul reddito delle persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione, purché in ogni caso tali enti abbiano personalità giuridica. L'art. 7, n. 3, dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, prevede che agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione e che le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime. Al fine del riconoscimento dell'agevolazione dell'art. 6 D.P.R. n. 601 del 1973, non è sufficiente il mero requisito soggettivo, per quanto concerne in particolare gli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, ma occorre altresì accertare che l'attività in concreto esercitata dagli stessi non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un'attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti , dovendo altrimenti essere classificata come attività diversa, soggetta all'ordinaria tassazione. Pertanto, l'esistenza del fine di religione o di culto rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la spettanza dell'agevolazione, in quanto il beneficio non è applicabile solo in ragione della qualificazione soggettiva dell'ente ma assume rilevanza anche l'elemento oggettivo, rappresentato dal tipo di attività svolta. Tale interpretazione è del resto coerente con la considerazione che l'agevolazione, configurando un'eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti svolgono e con la considerazione che le norme agevolatrici sono norme eccezionali e quindi di stretta interpretazione. Infine, va ricordato che ricade sul soggetto richiedente l'onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, per cui l'ente deve dimostrare, ai fini della propria natura non commerciale, che l'attività in concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Ai fini del diritto al rimborso dell'IVA, ai sensi dell'art. 30, comma 3, lettera c), D.P.R. n. 633 del 1972, corrisposta per l'acquisto dei beni strumentali all'attività di impresa, è irrilevante se i relativi costi ammortizzabili siano stati sostenuti per opere eseguite su terreno concesso in comodato da terzi, non autonomamente funzionali o asportabili al termine del periodo contrattualmente stabilito, per essere al contrario decisivo che si tratti di spese per opere destinate all'esercizio dell'attività d'impresa. Nella fattispecie, l'Agenzia delle Entrate notificava ad una s.a.s., che aveva eseguito opere edilizie presso un villaggio turistico insistente su terreno concesso in comodato da un terzo proprietario, un avviso d'accertamento con cui veniva effettuato il recupero del rimborso IVA richiesto ai sensi dell'art. 30, comma 3, lettera c), del D.P.R. n. 633/1972. Nello specifico, l'Ufficio riteneva che gli interventi edilizi costituissero spese incrementative su beni di terzi, da iscrivere alla voce altre immobilizzazioni immateriali, non separabili nè suscettibili di autonoma utilizzabilità. In linea generale, in materia d'IVA, in virtù del principio fondamentale di neutralità, il contribuente può portare in detrazione l'imposta assolta sulle spese di ristrutturazione dell'immobile destinato all'esercizio dell'attività d'impresa, anche se non ne è proprietario, ma conduttore o comodatario, essendo irrilevanti la disciplina civilistica e gli accordi intercorsi tra le parti. Pertanto, anche se il bene strumentale manchi di autonoma funzionalità e non possa essere rimosso dal comodatario, prospettare che il trasferimento ad altro soggetto (al comodante del terreno) dei benefici derivanti dal bene strumentale escluda la natura di bene ammortizzabile costituisce un erroneo presupposto logico, per cui è da riconoscere il diritto al rimborso dell'imposta sulle spese sostenute per l'acquisto di tali beni, risultando incontestato nel caso di specie che le opere edilizie eseguite per l'adeguamento del villaggio turistico gestito dalla società ricorrente su terreno di un terzo proprietario fossero strumentali e inerenti all'attività economica esercitata dalla società stessa.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Per l'ipotesi di un negozio di trasferimento immobiliare, in particolare sulla corretta liquidazione dell'imposta di registro, deve osservarsi che con riferimento al Gruppo europeo di interesse economico, GEIE, è essenziale distinguere gli "atti propri dei gruppi europei di interesse economico", ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa (così come stabilito dall'art. 4, lett. g), Parte Prima della Tariffa Allegata, del D.P.R. n. 131/1986). Il GEIE rientra tra i contratti di collaborazione tra imprese. È un istituto di origine comunitaria e la relativa disciplina è indicata innanzitutto nel regolamento (Cee) n. 2137/85 del Consiglio del 25 luglio 1985, entrato in vigore negli Stati membri dal 1° luglio 1989. Deve, tuttavia, dirsi che la fonte comunitaria non esaurisce la disciplina del GEIE, in quanto il regolamento de quo necessita di un intervento integrativo a livello nazionale da parte dei singoli Stati. In merito alle imposte indirette si osserva che il relativo regime delineato dal Legislatore in favore del GEIE non può trovare indiscriminata applicazione per qualunque tipo di atto giuridico posto in essere dal medesimo. L'art. 4 nel dato testuale fa riferimento, esclusivamente, agli "atti propri dei GEIE" e l'aggettivo "proprio" non può che avere altro significato giuridico se non di atti che possono essere compiuti unicamente dai GEIE. Nelle restanti ipotesi è, quindi, prevista l'applicazione delle imposte proporzionali. Anche un'interpretazione sistematica della norma conforta questa soluzione. In definitiva, con riferimento al citato art. 4, tenuto conto dell'elencazione tassativa o esemplificativa che si debba intendere, è da ritenersi che la nozione di "atti propri" coincida con quella di atti endosocietari. Il caso si specie, invece, ha ad oggetto un trasferimento di immobile commerciale a terzi, del quale non risulta alcuna finalizzazione al soddisfacimento delle finalità istituzionali del Gruppo. I Giudici di secondo grado concludono, peraltro, evidenziando che una tassazione differente da quella dettata dalla norma di cui all'art. 4, finirebbe per includere impropriamente una controparte persona fisica in uno speciale regime agevolativo, comportando effetti ultronei. (M.GA.).

Riferimenti normativi: d.P.R. 131/86, Tariffa Parte Prima Allegata, art. 4, lett. g; d.lgs. n. 240/91, art. 12, co. 3; Regolamento n. 2137/Cee del 25 luglio 1985.

Riferimenti giurisprudenziali: Cass. ord. nn. 18107 e 18708/2021; C.T.R. Lazio n. 926/11/2017; C.T.R. Lazio n. 5893/01/2018; C.T.R. Lazio, sent. n. 3561/2018; C.T.R. Lazio n. 3134/10/2019; C.T.R. Lazio n. 5878/2021; C.T.R. Lazio, sent. n. 59/13 del 2022; Cass., ord. n. 7964/2022; contra C.T.R. Emilia Romagna sent. n. 1129/2015.

L'art. 7, comma 1, lettera i) del d.lgs. n. 504 del 1992 prevede l'esenzione dall'imposta ICI per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 87, comma 1, lettera c), del TUIR, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della Legge 20 maggio 1985, n. 222. La combinazione del requisito soggettivo e di quello oggettivo pone in evidenza un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del beneficio in esame, ossia che le attività svolte negli immobili ai quali deve essere riconosciuta l'esenzione dall'ICI, siano rivolte ad un pubblico indifferenziato e senza che per esse sia richiesto una tariffa che tenga conto dei valori di mercato. In tal modo emerge la finalità solidaristica che connota il servizio reso e che giustifica l'esenzione in esame. Nel caso di specie risultava l'assenza di tali caratteri, essendo l'utilizzo dei campi di tennis, pertinenza del Condominio, finalizzato ad attività sportiva, ma ad esclusivo uso dei condomini e, quindi, per ciò solo carente dell'aspetto solidaristico. Inoltre, quanto alle attività sportive, quelle rilevanti ai fini dell'applicabilità dell'art. 7 citato, sono quelle rientranti nelle discipline riconosciute dal CONI e svolte da associazioni sportive e dalle relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi dell'articolo 90 della legge n. 289 del 2002. Quanto alle modalità di esercizio, tali attività devono essere organizzate direttamente dall'ente (partite di campionato, organizzazione di corsi, tornei), così che deve ritenersi esclusa l'esenzione se l'ente si limita a mettere a disposizione l'immobile per l'esercizio individuale dello sport (come nel caso di affitto di campi da tennis o da calcio o della gestione di piscine con ingressi a pagamento). L'affitto dei campi e, dunque, degli spazi di gioco è, infatti, un'attività diversa da quella di svolgimento in modo diretto di un'attività sportiva nel senso solidaristico sopra riportato e, come tale, non meritevole del riconoscimento del beneficio ICI.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Il riconoscimento del diritto all'esenzione prevista dal D.Lgs. 504/1992, art. 7, comma 1, è condizionato alla verifica di due requisiti che debbono necessariamente coesistere uno soggettivo, costituito dal possesso dell'immobile da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c) e un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell'immobile di una o più delle attività indicate dalla norma. A tal proposito rientra nella nozione di attività svolta con modalità commerciali una qualunque attività organizzata per la prestazione di servizi a terzi dietro pagamento, da parte dell'utente o di altri, compresi lo Stato, le regioni o altre pubbliche amministrazioni, di un corrispettivo funzionale ed adeguato alla copertura dei costi e alla remunerazione dei fattori della produzione (ivi compresi i capitali investiti). Tali principi devono essere applicati anche con riferimento all'attività sanitaria convenzionata esercitata da un ente ecclesiastico dovendosi ritenere che le tariffe convenzionali siano comunque, dirette a coprire i costi e a remunerare i fattori della produzione. Pertanto non può avere effetto vincolante la contraria qualificazione enunciata nella circolare ministeriale del 26.1.2009 trattandosi di una circolare amministrativa che ha una valenza interna e non può influire sulla qualificazione giuridica dell'attività che è invece demandata al giudice.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

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