L'art. 6, primo comma, lettera c) del D.P.R. n. 601 del 1973 (abrogato dall'art. 1, comma 51, della l. 30/12/2018, n. 145, a decorrere dal periodo d'imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis il quale a sua volta stabilisce che con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell'Unione europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà prevede che l'imposta sul reddito delle persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione, purché in ogni caso tali enti abbiano personalità giuridica. L'art. 7, n. 3, dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, prevede che agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione e che le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime. Al fine del riconoscimento dell'agevolazione dell'art. 6 D.P.R. n. 601 del 1973, non è sufficiente il mero requisito soggettivo, per quanto concerne in particolare gli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, ma occorre altresì accertare che l'attività in concreto esercitata dagli stessi non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un'attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti , dovendo altrimenti essere classificata come attività diversa, soggetta all'ordinaria tassazione. Pertanto, l'esistenza del fine di religione o di culto rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la spettanza dell'agevolazione, in quanto il beneficio non è applicabile solo in ragione della qualificazione soggettiva dell'ente ma assume rilevanza anche l'elemento oggettivo, rappresentato dal tipo di attività svolta. Tale interpretazione è del resto coerente con la considerazione che l'agevolazione, configurando un'eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti svolgono e con la considerazione che le norme agevolatrici sono norme eccezionali e quindi di stretta interpretazione. Infine, va ricordato che ricade sul soggetto richiedente l'onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, per cui l'ente deve dimostrare, ai fini della propria natura non commerciale, che l'attività in concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.
Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.