Sentenza del 10/07/1991 n. 7608 - Corte di Cassazione

Testo

MOTIVI DELLA DECISIONE Con i primi due motivi di gravame, da esaminarsi
congiuntamente per ragioni di logico giuridica connessione, deducendo (art.
360, n. 3, e 5 c.p.c.) violazione degli artt. 2222 e 2094 c.c. nonche'
vizio di motivazione su punti decisivi della controversia la
ricorrente lamenta che dalle incontroverse modalita' di esecuzione del
servizio di trasporto plichi il Pretore abbia tratto il convincimento
della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato senza tener conto:
a) della discontinuita' dell'opera svolta dal lavoratore;
b) della mancanza di orario di lavoro;
c) di autonomia nell'organizzazione delle modalita' di effettuazione della
prestazione con mezzo appartenente al lavoratore;
d) della facolta' di non effettuare la prestazione lavorativa, lasciando
inevasa la richiesta dell'imprenditore rivolta sempre innominatamente;
e) delle modalita' del controllo, le quali non eccedevano quelle proprie del
committente;
f) della quantita' del compenso, rapportata al numero delle consegne
effettuato con conseguente incidenza sul lavoratore del rischio economico
della propria attivita'.
Richiamati i criteri previsti per l'inquadramento di una prestazione
nell'area del lavoro autonomo o di quello subordinato (volonta' delle parti,
collaborazione, subordinazione, rischio, oggetto della prestazione) la
ricorrente conclude che alla luce degli stessi, quella dei messaggeri era
una obbligazione di risultato e non di mezzi, le cui modalita' di esecuzione
evidenziavano una liberta' del prestatore di adempiervi o meno e di
adempiervi secondo proprie autonome decisioni operative.
La censura e' fondata nei limiti di cui appresso. Ogni attivita' umana
economicamente rilevante puo' essere oggetto sia di rapporto di lavoro
subordinato che di lavoro autonomo a seconda delle modalita' concrete del
suo svolgimento. Pertanto, l'indagine deve svolgersi con riferimento non
gia' alla figura astratta del tipo di prestazione ma alla fattispecie
concreta come accertata dal giudice del merito.
Secondo, poi, opinione ormai consolidata (sent. 10 gennaio 1989, n. 41; 25
febbraio 1987, n. 2011), carattere distintivo essenziale del rapporto di
lavoro subordinato e' la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione
del lavoratore al potere giuridico, organizzativo e disciplinare del datore
di lavoro, potere che deve estrinsecarsi nell'emanazione di ordini specifici
oltre che nell'esercizio di una assidua attivita' di vigilanza e controllo
nell'esecuzione delle prestazioni lavorative. Le relative modalita' possono
variare in relazione al tipo di prestazione convenuta - il che giustifica il
loro diverso atteggiarsi rispetto alle nuove figure che vanno emergendo nel
settore terziario - ma e' decisivo, al fine della configurazione della
subordinazione, non tanto la stretta inerenza della prestazione lavorativa
all'attivita' produttiva dell'imprenditore (conf. sent. 30 luglio 1984, n.
4586; 21 febbraio 1985, n. 1570) quanto, e soprattutto, che esso venga reso
sotto "la direzione" del medesimo in relazione alla specificita' del singolo
incarico ed al modo della sua effettuazione. Alla luce di tale
considerazione, e con stretto riferimento alla fattispecie in esame, appare
inesatta l'affermazione sulla sussistenza di un potere gerarchico di fronte
alla manifestata volonta' delle parti (sulla rilevanza della volonta'
negoziale vedi: sent. 16 luglio 1987, n. 6284; 25 febbraio 1987, n. 2011)
secondo cui l'effettuazione della prestazione poteva essere non resa secondo
l'apprezzamento del soggetto che doveva renderla e cio' senza che, sul piano
dei rapporti interni, derivasse conseguenza alcuna e diversa dalla mancata
corresponsione del compenso previsto per la singola prestazione. In altre
parole, la configurabilita' della "eterodirezione" contrasta con l'assunto
secondo cui la parte che deve rendere la prestazione puo', a suo libito,
interrompere il tramite attraverso il quale si estrinseca il potere
direttivo dell'imprenditore.
La importanza di tale elemento non e' sfuggita al giudice del merito, il
quale ha ritenuto di assumerlo in astratto ma di escluderne, in concreto, la
verificabilita' con il rilievo - proprio della giurisprudenza favorevole
alla tesi del lavoro subordinato, cui ha aderito una decisione di questa
Corte in sede penale (Sez. III n. 787, ud. 21 marzo 1989) - che la
possibilita' di rifiutare singole consegne sarebbe soltanto teorica perche',
una volta deciso di lavorare per guadagnare, il messaggero sarebbe per forza
di cose costretto a rispondere alla chiamata per poter effettuare la
relativa consegna e che a nulla rileverebbe la indeterminatezza del
destinatario dell'ordine lanciato tramite la ricetrasmittente e la
conseguente fungibilita' del soggetto che vi ottemperi, tale fungibilita'
essendo resa possibile dalla precarieta' della situazione economica dei
soggetti destinatari. Si e' cosi' configurata, a sostegno della tesi della
sussistenza di un rapporto gerarchico, una soggezione reale del lavoratore,
che concreterebbe quella giuridica in virtu' della impossibilita' di fatto
di avvalersi della facolta' di interrompere il rapporto con l'assunto datore
di lavoro.
Autorevole dottrina ha replicato osservando come siffatta tesi si fondi
sull'utilizzabilita', nella definizione del rapporto, di strumenti di
valutazione socio economica, che si assumono ricevere dignita' di canoni
giuridici dal sostanziale rinvio che ad essi farebbe la norma definitoria
del rapporto in considerazione della sua generosita', e su una non
dimostrata natura di norma in bianco dell'art. 2094 c.c. il cui contenuto
sarebbe costituito dal requisito della soggezione reale del lavoratore.
La Corte, meditatamente astenendosi dal prendere posizione sul dibattito,
rileva che il Pretore ha assunto verificata in concreto tale soggezione
reale che, cioe', nonostante la manifestata volonta' negoziale, il rapporto
si e' svolto in termini e con modalita' tali da realizzare, nel caso in
esame, la effettivita' della direzione da parte della societa' e
l'effettivita' dell'espletamento della attivita' da parte del messaggero
secondo gli ordini impartiti.
Sennonche' di tali circostanze il giudice del merito non ha fornito alcuna
dimostrazione essendosi egli limitato ad affermare che "sostenere che i
messaggeri possono anche non rispondere, anche se in astratto esatto, in
concreto e' assai poco credibile per le considerazioni prima accennate". Un
tale accertamento si risolve in un giudizio formulato con quella stessa
astrattezza attribuita all'assetto negoziale manifestato dalle parti.
Occorreva, ed occorre, dimostrare che nella fattispecie si era verificata
quella soggezione reale che aveva modificato il modo di effettuazione della
prestazione. Soltanto dopo la dimostrata verificazione di tale dato poteva,
e puo', prendersi posizione sulla dedotta sua rilevanza nella qualificazione
del rapporto in esame.
Va, pertanto, cassata la impugnata pronuncia e la causa rinviata ad altro
giudice che, previa indagine sui concreti elementi distintivi della
fattispecie in esame, valutera' se l'accertata soggezione reale dei
messaggeri, nei termini sopraindicata, realizzi l'elemento della
eterodirezione dell'imprenditore, essenziale per la sussistenza di un
rapporto di lavoro subordinato.

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