Sentenza del 12/08/2005 n. 16875 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio Sezioni unite

Testo

                      Svolgimento del processo  

 Con distinti  ricorsi  al  Pretore  del  lavoro di Trieste la casa di cura  

S.T. s.p.a. proponeva opposizione a due decreti ingiuntivi emessi a favore
dell'Inps per il pagamento di differenze contributive dovute, per il periodo
dal 1 novembre 1981 al 30 novembre 1994, in ragione del nuovo (unico)
inquadramento di tutto il personale (dirigente e non dirigente) della
societa' nel settore "industria", comunicato dall'Istituto previdenziale con
nota del 14 marzo 1995 e operato in base ai criteri applicabili
anteriormente a quelli introdotti dall'art. 49 della L. n. 88 del 1989.
Deduceva, in particolare, la societa' opponente che, in ragione della
previsione dell'art. 3, comma 8, della L. n. 335 del 1995, la variazione di
inquadramento non poteva essere retroattiva, ossia non poteva operare per il
periodo anteriore al momento in cui (nel marzo 1995) era stata comunicata
dall'Inps.
Con sentenza n. 62/2000 il Pretore, accogliendo le richieste
dell'opponente, revocava i due decreti ingiuntivi e accertava il diritto
della societa' a conservare l'inquadramento nel settore commercio per il
personale non dirigente sino a tutto il mese di marzo 1995, respingendo ogni
altra domanda e dichiarando essere cessata la materia del contendere in
ordine al periodo successivo al giorno 31 dicembre 1996, data dalla quale
era venuto meno, ai sensi dell'art. 2, comma 215, della L. n. 662 del 1996,
il regime di classificazione applicato dall'Inps e fatto salvo, in via
transitoria, dall'art. 49 della L. n. 88 del 1989 (comma 3, secondo periodo).
Avverso detta sentenza proponevano appello principale l'Inps ed appello
incidentale condizionato la societa', quest'ultima chiedendo l'accertamento
del suo diritto a conservare il doppio inquadramento ("industria" per i
dirigenti e "commercio" per il rimanente personale) fino al 31 dicembre 1996.
Con sentenza in data 20 giugno 2001 la Corte d'appello di Trieste
respingeva l'appello dell'Inps e dichiarava (in motivazione) assorbito
l'appello incidentale condizionato della casa di cura, osservando, in
consapevole contrasto con la giurisprudenza di legittimita' (all'epoca
costante), che il nuovo inquadramento comunicato dall'Istituto alla societa'
nel marzo del 1995 non poteva avere applicazione retroattiva in
considerazione di quanto disposto dall'art.3, comma 8, della legge n. 335 del 1995 - norma operante anche nelle ipotesi, come quella di specie, di
contenzioso in essere alla data della sua entrata in vigore (17 agosto 1995)

  • nonostante si trattasse di rettifica di classificazione adottata in base
    alla normativa e ai criteri vigenti prima della L. n. 88 del 1989 Contro
    questa sentenza l'Inps ha proposto ricorso fondato su un unico articolato
    motivo. Ha resistito con controricorso la societa' S.T., che ha proposto, a
    sua volta, ricorso incidentale affidato a due motivi, illustrati con
    successiva memoria.
    L'esame dei ricorsi riuniti e' stato affidato alle Sezioni Unite della
    Corte, per la risoluzione di un contrasto verificatosi nella giurisprudenza
    della Sezione Lavoro.
    In vista dell'udienza fissata per la discussione dei ricorsi, sia l'Inps
    che la societa' hanno depositato memorie.

                         Motivi della  decisione  
    
    1. Preliminarmente la Corte riunisce i ricorsi, perche' proposti contro
      la stessa sentenza (art. 335 del codice di procedura civile).

    2. Con l'unico motivo l'Inps denuncia violazione e falsa applicazione
      dell'art. 3, comma 8, L. n. 335 del 1995, osservando che una corretta
      lettura della citata disposizione impone di ritenere (cosi' come affermato
      dalla del tutto prevalente giurisprudenza di legittimita'), che la prevista
      irretroattivita' dei "provvedimenti" di variazione della classificazione dei
      datori di lavoro e' riferibile ai soli inquadramenti disposti in base ai
      criteri di cui all'art. 49 della L. n. 88 del 1989 e non a quelli adottati
      in applicazione della normativa precedente. Difatti, e' solo con l'art. 49
      citato che all'Inps viene attribuito il potere di determinare la
      classificazione dei datori di lavoro mediante atti di natura provvedimentale
      e, quindi, soggetti al limite della irretroattivita' degli atti
      amministrativi; laddove gli inquadramenti disposti anteriormente alla
      entrata in vigore della L. n. 88 del 1989 hanno natura di atti vincolati e
      meramente ricognitivi di qualita' normativamente predeterminate, si che la
      loro eventuale modifica - con conseguente diversa consistenza
      dell'obbligazione contributiva - puo' essere disposta in ogni tempo e con
      effetti retroattivi. Deduce, ancora, che il riferimento alle controversie in
      corso - contenuto nella norma suddetta - va inteso come fatto alle sole
      controversie relative agli inquadramenti disposti in base ai criteri
      dell'art. 49 della L. n. 88 del 1989 e non (anche) alle controversie aventi
      ad oggetto, come quella in esame, le modifiche di classificazioni operate in
      base ai criteri previgenti. Afferma, poi, di condividere la tesi della Corte
      d'appello in ordine alla irrilevanza del fatto che la variazione fosse,
      nella specie, intervenuta prima dell'entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, ma ribadisce che l'art.3, comma 8, non puo' che riguardare i (soli)
      provvedimenti di riclassificazione emanati in base alla L. n. 88 del 1989,
      altrimenti dovendosi ritenere ammissibile il doppio inquadramento delle
      imprese ai fini previdenziali (anche) nel periodo precedente la L. n. 88 del 1989, in contrasto con il "diritto vivente" (rappresentato dalla sentenza
      della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 4837 del 1994 e dalle
      successive della Sezione lavoro).
      Con il primo motivo di ricorso incidentale - proposto per il caso che la
      sentenza di appello sia interpretata come confermativa anche del capo della
      pronuncia di primo grado, che aveva affermato la legittimita' della
      rettifica di inquadramento (dal settore commercio al settore industria)
      operata dall'Inps per tutto il personale della casa di cura a decorrere dal
      marzo 1995 e fino al 31 dicembre 1996 - la societa' S.T. s.p.a. denuncia
      violazione e falsa applicazione dell'art. 49, commi 1 e 3, della L. 9 marzo 1989, n. 88, dell'art. 2, comma 215, della L. 23 dicembre 1996, n. 662 e
      dell'art. 27, comma 2, della L. n. 30 del 1997, in una con vizi di
      motivazione, censurando la sentenza impugnata per non aver accolto il suo
      appello incidentale condizionato, inteso all'accertamento del diritto a
      conservare, per il personale non dirigente, l'inquadramento nel settore
      commercio fino al 31 dicembre 1996.
      Con il secondo motivo, proposto in via condizionata, la societa'
      ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 4 del D.L. n. 536 del 1987, convertito in L. n. 48 del 1988, dell'art. 1189 del codice civile, dell'art. 116 della L. n. 388 del 2000, dell'art. 1 della L. n. 662 del 1996 e sostiene che, pure in caso di accoglimento del ricorso dell'Inps,
      i decreti ingiuntivi opposti dovrebbero, comunque, rimanere privi di
      effetti, non avendo l'Inps provato la effettivita' della propria pretesa,
      mentre le sanzioni civili applicate sarebbero illegittime, come pure sarebbe
      errato il calcolo delle somme richieste a titolo di somme aggiuntive e di
      sanzioni pecuniarie amministrative.
      In via subordinata, la ricorrente chiede che sia rimessa alla Corte
      costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 8, della L. n. 335 del 1995, per contrasto con gli artt. 3 e 41, comma
      1, della Costituzione, ove interpretato nel senso di riferire la disciplina
      ivi contenuta (soltanto) ai provvedimenti di riclassificazione adottati
      dall'Inps sulla base dei criteri introdotti dall'art. 49 della L. n. 88 del 1989.

    3. Osserva la Corte che l'art. art. 3, comma 8, della L. 8 agosto 1995, n. 335 (recante la riforma del sistema pensionistico obbligatorio e
      complementare), nel quadro di "Disposizioni diverse in materia assistenziale
      e previdenziale", stabilisce che:
      "I provvedimenti adottati d'ufficio dall'Inps di variazione della
      classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali, con il
      conseguente trasferimento nel settore economico corrispondente alla
      effettiva attivita' svolta producono effetti dal periodo di paga in corso
      alla data di notifica del provvedimento di variazione, con esclusione dei
      casi in cui l'inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte
      dichiarazioni del datore di lavoro. In caso di variazione disposta a seguito
      di richiesta dell'azienda, gli effetti del provvedimento decorrono dal
      periodo di paga in corso alla data della richiesta stessa. Le variazioni di
      inquadramento adottate con provvedimenti aventi efficacia generale
      riguardanti intere categorie di datori di lavoro producono effetti, nel
      rispetto del principio della irretroattivita', dalla data fissata dall'Inps
      Le disposizioni di cui al primo e al secondo periodo del presente comma si
      applicano anche ai rapporti per i quali, alla data di entrata in vigore
      della presente legge, pendano controversie non definite con sentenza passata
      in giudicato".
      La finalita' della disposizione in esame e' di tutta evidenza. Rispetto
      a un regime nel quale l'Inps operava la riclassificazione dei datori di
      lavoro con effetti che comportavano l'annullamento ex tunc dei pregressi
      inquadramenti, il legislatore mostra di' voler dare certezza alla
      costituzione del rapporto previdenziale mediante l'affermazione del
      principio della irretroattivita' delle variazioni di inquadramento, attuato
      con la previsione di termini di decorrenza specifici e differenziati con
      riferimento a tre distinte ipotesi. La prima riguarda le variazioni disposte
      dall'Inps di propria iniziativa (che producono effetto dal periodo di paga
      in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione); la seconda
      le variazioni disposte a seguito di richiesta dell'azienda (in tal caso, gli
      effetti del provvedimento decorrono dal periodo di paga in corso alla data
      della richiesta stessa); la terza la riclassificazione di "intere categorie
      di datori di lavoro" determinata dall'Inps con provvedimenti aventi
      efficacia generale (in quest'ultima ipotesi le variazioni di inquadramento
      decorrono dalla data stabilita, discrezionalmente, dall'Inps "nel rispetto
      del principio della non retroattivita'").

    4. La giurisprudenza di questa Corte e' univoca nel ritenere che siano
      soggette alla norma appena citata - ed abbiano, quindi, efficacia ex nunc -
      le rettifiche che l'Inps abbia operato - di ufficio o su domanda degli
      interessati - rispetto a provvedimenti di classificazione da esso adottati
      in applicazione dei nuovi criteri introdotti dall'art. 49, commi 1 e 2,
      della L. 9 marzo 1989, n. 88 e riguardanti, percio', i datori di lavoro che
      abbiano iniziato la loro attivita' a partire dalla data di entrata in vigore
      della legge stessa.
      Non altrettanto puo' dirsi per cio' che riguarda l'applicabilita' del
      ripetuto art. 3, comma 8, della L. n. 335 del 1995 alle variazioni adottate
      dall'Istituto relativamente ai "vecchi inquadramenti", quelli cioe' operati
      secondo i criteri di classificazione vigenti anteriormente all'art.49 della L. n. 88 del 1989 e transitoriamente prolungati nella loro validita' dallo
      stesso art. 49 con la disposizione, contenuta nella seconda parte del comma
      3, secondo la quale "Restano comunque validi gli inquadramenti gia' in atto
      nei settori dell'industria, del commercio e dell'agricoltura o derivanti da
      leggi speciali o conseguenti a decreti emanati ai sensi dell'art. 24 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797".
      La questione e' stata prevalentemente risolta in senso negativo a
      partire dalla sentenza 13 giugno 1996, n. 5419, con argomenti che sono stati
      fatti propri dalle decisioni successive (fra tante Cass. 3 marzo 1998 n.
      2319, 25 agosto 1999 n. 8873, 7 settembre 2000, n. 11809, 4 maggio 2002, n.
      6403) e che hanno trovato ulteriore conferma (vedi Cass. 12 febbraio 2004,
      n. 2741, 19 marzo 2004, n. 5592) anche successivamente alla sentenza 3
      dicembre 2003, n. 18500, la quale e', invece, andata di contrario avviso.
      La tesi prevalente si fonda, principalmente, sulla considerazione che
      l'art. 3, comma 8, della L. n. 335 del 1995 contiene una serie di
      indicazioni (l'uso del termine "provvedimenti" per qualificare gli atti di
      variazione adottati dall'Inps e, soprattutto, l'esplicito richiamo al
      principio della irretroattivita' degli atti amministrativi, nonche'
      l'attribuzione all'Inps del potere discrezionale di fissare la data di
      efficacia degli atti generali di inquadramento) che comprovano come la
      disposizione in esame abbia natura sostanzialmente interpretativa e
      chiarificatrice dell'art. 49 della L. n. 88 del 1989, nel senso di
      considerare di natura provvedimentale la "classificazione" dei datori di
      lavoro operata dall'Inps in base agli ivi indicati criteri; il che, secondo
      la riferita interpretazione, induce ad escluderne l'applicazione alle
      variazioni degli inquadramenti oggetto del regime transitorio di cui al
      comma 3 dello stesso art. 49, non essendo ragionevole ipotizzare che il
      legislatore abbia inteso attribuirle una cosi' ampia portata retroattiva,
      tale da determinare il mutamento della natura giuridica di meri atti -
      spesso neppure formalmente individuabili - propria dei suddetti
      "inquadramenti" in provvedimenti amministrativi; con l'ulteriore conseguenza
      che la disposizione di cui al terzo periodo del comma 8 dell'art. 3 citato -
      che dichiara applicabili le disposizioni di cui al primo e al secondo
      periodo alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 335 del 1995 - non regola le fattispecie che concernono rapporti
      contributivi ai quali non e' applicabile l'art. 49 della L. n. 88 del 1989.
      Di contro, l'opposto convincimento e' stato manifestato, in espresso
      consapevole contrasto, dalla sentenza n. 18500 del 2003, la quale ritiene
      che l'art. 3, comma 8, primo e secondo periodo, della L. n. 335 del 1995
      abbia valenza generale e sia applicabile ad ogni ipotesi di variazione della
      classificazione dei datori di lavoro adottata di ufficio dall'Inps dopo la
      data (18 agosto 1995) della sua entrata in vigore - o anche prima, se a
      quella stessa data il rapporto sia oggetto di controversia non definita con
      sentenza passata in giudicato (giusta la previsione contenuta nell'ultimo
      periodo dello stesso comma 8) - restando irrilevante la natura, costitutiva
      o ricognitiva dell'atto di classificazione e, percio', la circostanza che
      l'Istituto previdenziale abbia operato la rettifica dell'inquadramento in
      applicazione dei criteri vigenti prima della L. n. 88 del 1989 ovvero sulla
      base di quelli da essa introdotti.

    5. E' avviso delle Sezioni unite che debbano condividersi le conclusioni
      cui e' pervenuta la sentenza suddetta, anche se per ragioni non in tutto
      coincidenti con le osservazioni dalla stessa svolte, le quali, al pari degli
      argomenti utilizzati dalla giurisprudenza prevalente, non sembrano fornire
      una risposta adeguata al quesito della giustificazione logica complessiva,
      sul piano sostanziale, della soluzione (rispettivamente) prescelta.
      Piuttosto, l'attenzione deve spostarsi sulla collocazione temporale e
      sistematica generale della norma in esame, la quale interviene nel
      problematico assetto regolativo della materia determinato dall'art. 49 della L. n. 88 del 1989; disposizione, quest'ultima, che, gia' all'indomani della
      sua entrata in vigore, aveva suscitato un acceso dibattito sia in dottrina
      che in giurisprudenza, soprattutto quanto alla portata ed efficacia degli
      inquadramenti disposti dall'Inps in base ai commi 1 e 2, al significato
      della disciplina transitoria prevista nella seconda parte del comma 3, al
      problema, infine, dell'ammissibilita' di un doppio inquadramento delle
      imprese (ai fini contributivi e degli sgravi) e alla ripartizione di
      competenze tra Inps e Inpdai.
      Il conflitto su tali questioni era stato composto dalle Sezioni Unite
      con la sentenza 18 maggio 1994, n. 4837, nella quale si affermava, per
      quanto qui interessa, che il sistema di classificazione dei datori di lavoro
      introdotto dall'art. 49 della L. n. 88 del 1989 si applicava, a regime, nei
      (soli) confronti dei datori di lavoro che avevano iniziato l'attivita' a
      partire dalla data (28 marzo 1989) di entrata in vigore della legge stessa,
      mentre conservavano transitoriamente la propria validita' (ai sensi della
      disposizione di cui al comma 3, parte seconda, del medesimo art. 49) tutti
      gli inquadramenti "gia' in atto" operati in conformita' della normativa
      previgente, qualunque ne fosse la fonte ed ancorche' successivi alla
      predetta data (se riconducibili al periodo anteriore alla medesima).
      La lettura cosi' fornita della norma di salvaguardia pose, peraltro, il
      problema della costituzionalita' di un sistema di classificazione che
      consentiva - nel medesimo periodo di tempo - di qualificare diversamente
      imprese operanti nello stesso campo di attivita' solo perche' costituite in
      date differenti; per altro verso lascio' in disparte il problema della
      tutela delle posizioni acquisite rispetto a variazioni disposte
      retroattivamente, magari dopo anni di classificazione in un determinato
      settore (con relativa facolta', per l'Inps, di ripetere le prestazioni
      indebitamente erogate in dipendenza del pregresso inquadramento e di
      pretendere le eventuali differenze contributive, maggiorate delle sanzioni,
      senza possibilita', per l'azienda destinataria, di "recuperare" il maggior
      costo sul prodotto ormai ceduto e con bilanci da tempo consolidati) sulla
      base di una nuova interpretazione, da parte dell'Istituto previdenziale,
      della normativa vigente prima di quella dettata dall'art. 49 della L. n. 88 del 1989.
      La Corte costituzionale, chiamata a intervenire sulla prima questione,
      con la sentenza n. 378 del 1994 ne dichiaro' l'inammissibilita', ma invito',
      tuttavia, il legislatore a fissare un termine ragionevole per il superamento
      del regime transitorio, in modo da pervenire a una generalizzata
      applicazione della nuova normativa di cui all'art.49 della L. n. 88 del 1989, non giustificandosi, sul piano della ragionevolezza e del rispetto di
      precise norme costituzionali (artt. 3 e 41 della Costituzione), la
      persistenza sine die nell'ordinamento di una duplicita' di discipline
      diverse e parallele, comportanti un differente trattamento per le stesse
      situazioni per meri motivi di carattere temporale.
      All'invito della Corte costituzionale e' stata data esplicita,
      definitiva risposta in occasione della legge 23 dicembre 1996 n.662 (recante
      "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica") la quale, nell'art,2,
      comma 215, ha disposto la cessazione dell'ultrattivita' degli effetti del
      suddetto regime transitorio con decorrenza dal 1 gennaio 1997, stabilendo
      che, a far tempo da tale data, la classificazione dei datori di lavoro ai
      fini previdenziali deve essere effettuata esclusivamente sulla base dei
      criteri di inquadramento stabiliti dall'art. 49 della L. n. 88 del 1989.
      Ritengono, peraltro, le Sezioni unite, che gia' l'intervento
      legislativo, nel frattempo attuato con l'art. 3, comma 8, della L. n. 335 dei 1995, costituisca un primo tentativo di rendere costituzionale il
      trattamento di imprese di identica natura e attivita' ma disomogenee nella
      classificazione (effettuata ai sensi dell'art. 2195 del codice civile e del
      d.p.r. n. 797 del 1955 per le imprese oggetto della disciplina ultrattiva e
      con i criteri indicati dall'art. 49 della L. n. 88 del 1989 per le imprese
      costituite a partire dalla data di entrata in vigore di tale legge),
      equiparandole nell'applicazione di una disciplina speciale che soddisfa
      l'esigenza - comune ai "vecchi" come ai "nuovi" inquadramenti - di limitare
      le conseguenze negative, per i datori di lavoro coinvolti, delle variazioni
      delle pregresse qualificazioni e di rafforzarne le garanzie, stabilendo
      specifici termini di decorrenza degli effetti di tali variazioni e
      limitandone la possibilita' di retrodatazione al solo caso in cui siano
      stati gli stessi datori di lavoro ad aver determinato, con le errate
      informazioni fornite, l'inquadramento in atto.
      A tale conclusione induce, in primo luogo, il rilievo che la norma in
      esame e' stata emanata poco dopo i ricordati interventi delle Sezioni unite
      e della Corte costituzionale e, rispetto al contenuto delle relative
      decisioni e ai problemi dalle stesse aperti, apparirebbe illogica e
      irrazionale una scelta legislativa intesa ad escludere dall'applicazione del
      principio di irretroattivita' proprio le situazioni, come quelle fatte salve
      dal regime transitorio, che avevano determinato quegli interventi e per le
      quali (in considerazione delle incertezze e conflittualita' cui dava luogo
      l'applicazione dei criteri vigenti prima della L. n. 88 del 1989)
      maggiormente si poneva l'esigenza di regolamentare gli effetti dei
      "ripensamenti" dell'Istituto previdenziale ancorche' qualificabili come atti
      meramente ricognitivi e vincolati- a tutela dell'affidamento dei datori di
      lavoro negli inquadramenti gia' riconosciuti, fino alla loro successiva
      modificazione.
      Sotto altro profilo, non puo' negarsi che l'art. 3, comma 8, e'
      intervenuto in piena fase transitoria, allorquando senz'altro di gran lunga
      prevalenti erano le modifiche dei "vecchi" inquadramenti rispetto alle
      variazioni di quelli adottati ancora soltanto (stante la prorogata validita'
      di quelli preesistenti) per le imprese costituite nella vigenza della L. n. 88 del 1989; per cui e' impensabile ritenere che la norma non abbia inteso
      accomunare anche tali inquadramenti nell'applicazione della previsione della
      irretroattivita' delle variazioni disposte ai sensi del primo e del secondo
      periodo (quelle che rilevano nel caso di specie), consolidando ex lege gli
      effetti delle pregresse classificazioni con riferimento a tutte le
      situazioni suscettibili di formare oggetto di rettifica da parte dell'Inps.
      L'esistenza di una prospettiva estesa all'intero campo di esplicazione
      dell'attivita' classificatoria dell'Istituto previdenziale, e', peraltro, in
      tutto coerente con la formulazione della norma in esame, significativamente
      priva di qualunque riferimento diretto all'art. 49 della L. n. 88 del 1989 e
      che, anzi contiene, come unica indicazione idonea a delimitare l'ambito di
      operativita' delle disposizioni di cui al primo e al secondo periodo, quella
      costituita dall'inciso'dell'ultima parte, a termini del quale l'affermato
      principio di irretroattivita' delle modifiche di inquadramento si estende
      "ai rapporti per i quali, alla da'ta di entrata in vigore della presente
      legge, pendono controversie non definite con sentenza passata in giudicato".
      Ove si consideri, infatti, che le "controversie in corso" alla data suddetta
      (17 agosto 1995) potevano riguardare; indistintamente, sia gli inquadramenti
      disposti in base ai criteri dell'art. 49 della L. n. 88 del 1989, sia quelli
      (ultrattivi) disposti in base ai criteri previgenti, l'assenza, nella
      riferita disposizione, di qualsiasi riferimento, temporale o normativo, che
      ne limiti la portata, e', per certo, elemento testuale significativo della
      volonta' del legislatore di porre a oggetto del proprio intervento tutti i
      rapporti in contestazione, con esclusione soltanto di quelli esauriti per
      effetto della formazione del giudicato.
      Rispetto alla "ratio" dell'art. 3, comma 8, come sopra individuata, e
      alla specialita' della relativa disciplina, divengono irrilevanti le
      considerazioni relative alla natura propria, secondo il diritto vivente,
      degli inquadramenti operati in base alla normativa applicabile prima della
      L. n. 88 del 1989 e delle relative variazioni, essendo ogni questione
      comunque superata dalla specialita' della norma in esame, la quale, proprio
      per tale sua caratteristica, ben puo' disciplinare la sola efficacia delle
      variazioni anzidette (mutandone la precedente portata retroattiva), senza
      dover necessariamente incidere sulla loro natura.
      A sua volta, l'uso del termine "provvedimenti" non e', di per se',
      determinante ai fini della ricostruzione del significato della norma in
      esame nel senso di (innovativamente) distinguere gli atti di inquadramento
      in base al regime applicato (anteriore o successivo alla L. n. 88 del 1989),
      posto che la legislazione previdenziale comunemente qualifica come
      provvedimenti atti vincolati e meramente ricognitivi di qualita'
      normativamente predeterminate e che un tale uso del termine si ripropone
      anche nella speciale disciplina della materia successiva alla L. n. 335 del 1995, come conferma il testo dell'art.27, comma 2, del d.l. 31 dicembre
      1996, convertito in legge 28 febbraio 1997 n.30, nella parte in cui rinvia
      al 31 dicembre 1999 l'efficacia dei nuovi criteri classificatori introdotti
      dall'art.49, comma I, della L. n. 88 del 1989 in relazione al personale
      dirigente gia' iscritto all'INPDAI "delle aziende inquadrate nel ramo
      industria con provvedimento anteriore all'entrata in vigore della medesima
      L. n. 88 del 1989 ".
      Del pari, priva di rilievo decisivo e' la considerazione, svolta
      dall'Inps nel suo ricorso, che la interpretazione qui accolta comporta
      l'ammissibilita' del doppio inquadramento - agli effetti contributivi e agli
      effetti del diritto agli sgravi - (anche) per le imprese gia' in attivita'
      all'epoca dell'entrata in vigore della L. n. 88 del 1989 (ammissibilita'
      esclusa dalla menzionata sentenza delle Sezioni unite n. 4837 del 1994),
      trattandosi, anche in questo caso, di una conseguenza indotta dalla volonta'
      del legislatore, cosi' come espressa nella ripetuta norma speciale, e
      inidonea, pertanto, ad ostacolarne l'applicazione.
      In conclusione deve affermarsi il principio che l'art. 3, comma 8, della L. n. 335 del 1995, nella parte in cui (primo e secondo periodo) stabilisce
      che i provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro
      ai fini previdenziali, adottati dall'Inps di ufficio (o su richiesta
      dell'azienda) producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di
      notifica del provvedimento di variazione (ovvero dal periodo di paga in
      corso alla data della richiesta aziendale), ha valenza generale ed e',
      quindi, applicabile ad ogni ipotesi di rettifica di precedenti inquadramenti
      operata dall'Istituto previdenziale dopo la data di entrata in vigore della
      predetta legge - o anche prima, nel caso in cui la modifica, cosi' come
      attuata, formi oggetto di controversia in corso a quella stessa data -
      indipendentemente dai parametri adottati, si tratti cioe' dei nuovi criteri
      di inquadramento introdotti dai primi due commi dell'art. 49 della L. n. 88 del 1989, ovvero di quelli applicabili secondo la normativa previgente.
      In applicazione di questo principio, il ricorso dell'Inps deve essere
      rigettato, essendo conforme a diritto l'affermazione della sentenza
      impugnata, secondo cui la variazione di inquadramento della societa'
      resistente (dal settore commercio a quello industriale), era insuscettibile
      di produrre effetti per il periodo anteriore alla sua comunicazione del
      marzo del 1995, pendendo sulla questione controversia tra le parti al tempo
      della entrata in vigore della disciplina, operante nella specie, dettata
      dall'art. 3 comma 8, della L. n. 335 del 1995.
      Passando, quindi, all'esame del primo motivo del ricorso incidentale,
      osserva la Corte che la sentenza impugnata contiene espressa conferma della
      decisione di primo grado che, come ricordato in narrativa, aveva ritenuto
      correttamente effettuata dall'Inps la riclassificazione della casa di cura
      S.T. s.p.a. nel settore industriale a decorrere dal mese di marzo 1995 e
      fino al 31 dicembre 1996, con relativo inquadramento, in tale settore, di
      tutto il personale (dirigente e non dirigente). L'Inps, nel suo appello
      principale, aveva censurato la decisione anzidetta unicamente nella parte in
      cui aveva affermato la non retroattivita' della operata variazione; per cui
      sarebbe stato onere della societa' appellata, ove avesse voluto far
      affermare il proprio diritto a conservare, anche per il suddetto periodo, il
      doppio inquadramento dei dipendenti (settore "industria" per i dirigenti e
      settore "commercio" per il rimante personale) impugnare, a sua volta, il
      capo di sentenza che la vedeva soccombente su tale questione, a tal fine non
      essendo sufficiente il proposto appello incidentale condizionato, posto che
      l'esame della impugnazione cosi' formulata sarebbe stato consentito (solo)
      se e in quanto avesse trovato accoglimento quella proposta in via principale
      (mentre, nel caso, la sentenza Corte d'appello di Trieste si e' conclusa con
      una pronuncia di rigetto dell'appello dell'Inps).
      Tanto comporta l'inammissibilita' del proposto motivo di ricorso, dal
      momento che il difetto di impugnazione della sentenza di primo grado ha
      determinato il formarsi del giudicato (interno) sulla questione che ne
      costituisce l'oggetto.
      Del pari inammissibile, per carenza di interesse, e' il secondo motivo
      di ricorso incidentale, in quanto relativo a questioni non decise, neppure
      implicitamente, dalla Corte territoriale, che, anzi, le ha espressamente
      ritenute assorbite dalla decisione di conferma della sentenza di primo grado
      e di (conseguente) rigetto dell'appello principale dell'Inps (vedi Cass. 30
      marzo 2000, n. 3908).
      In conclusione, il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
      In considerazione della reciproca soccombenza, si compensano tra le
      parti le spese del giudizio di cassazione.

                               P.Q.M.  
      

      La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, dichiara
      inammissibile il ricorso incidentale e compensa le spese del giudizio di
      cassazione.

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