Sentenza del 26/11/2014 n. 25116 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Ritenuto in fatto**
B.M. e C.D., in qualità di eredi accettanti con beneficio d'intervento di C.U., propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Equitalia Polis spa, già Gest Line spa, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 6/05/2008, depositata in data 17/03/2008, con la quale, in una controversia concernente l'impugnazione di tre cartelle di pagamento traenti origine da un avviso di accertamento ritualmente notificato a C.U., divenuto definitivo per mancata impugnazione, riguardanti maggiori IRPEF dovute per gli anni 1997 e 2001, è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso dei contribuenti, basato sul fatto che essi, avendo accettato l'eredità con beneficio d'inventario, erano tenuti al pagamento dei debiti ereditari nei limiti del valore dei beni loro pervenuti.
In particolare, i giudici d'appello - premettendo di essere competenti a vagliare in via incidentale la sussistenza del beneficio di escussione in capo agli appellanti e che la decadenza di questi ultimi, per mancata redazione dell'inventario nel termine di legge, era stata già eccepita dall'Ufficio sin dalla costituzione in giudizio ("pag. 3 righi 5 e 6"), con conseguente non necessità per lo stesso, vittorioso in primo grado, di proporre appello incidentale - hanno sostenuto che i contribuenti erano decaduti, avendo accettato l'eredità con beneficio d'inventario il 14 gennaio 2003 ed eretto l'inventario soltanto nel settembre 2003, non potendo neppure ritenersi che il giudice civile, su loro, tardiva, richiesta, del luglio 2003, di autorizzazione per l'erezione dell'inventario, avesse prorogato il termine di presentazione, "perché nessun provvedimento in tal senso è stato assunto dal giudice".
La sola intimata Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
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Considerato in diritto
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1. I ricorrenti lamentano, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 484, 485, 486, 487, 493, 494 e 505 c.c., dovendo ritenersi, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., che la limitazione di responsabilità per l'erede accettate con beneficio d'inventario consegua alla sola, dichiarazione di accettazione beneficiata e che i creditori del de cuius, laddove abbiano interesse a superare la limitazione di decadenza del beneficio, siano tenuti a proporre apposita domanda di decadenza (in particolare, per mancato compimento dell'inventario nei termini previsti dagli artt. 485 e 487 c.c.) al giudice competente, in difetto della quale alcun altro provvedimento può essere adottato dal giudice adito, nell'azione personale di esecuzione del debito fiscale.
Con il secondo motivo, gli stessi invocano altresì la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, e artt. 112, 345 e 347 c.p.c., non avendo i giudici della C.T.R. ritenuto nuova la domanda di decadenza dei ricorrenti dall'accettazione beneficiata, proposta per la prima volta in appello, ed avendo gli stessi giudici ritenuto di dover pronunciare sulla questione, pur in difetto di appello incidentale da parte dell'Ufficio sul punto, deciso in senso sfavorevole dal giudice di primo grado (che aveva ritenuto di non poter decidere in ordine alla questione relativa alla valenza o meno dell'autorizzazione del giudice ordinario alla erezione dell'inventario, essendo competente esclusivamente il giudice ordinario).
Infine, con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano anche la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 769 e 768 c.p.c., artt. 487 e 505 c.p.c., avendo i giudici della C.T.R. ritenuto di potere disapplicare il decreto del Tribunale civile, assunto ex art. 769 c.c., che autorizzava gli eredi accettanti alla erezione di inventario e concedeva implicitamente una proroga all'incombente dell'inventario.
2. La prima censura è infondata.
2.1. Questa Corte a Sezioni Unite ha già affermato (Cass. 467/2000) che "il giudice tributario ha il potere di risolvere - senza efficacia di giudicato questioni attribuite alla competenza giurisdizionale di altro giudice, quando da tale risoluzione dipenda la decisione sull'oggetto del giudizio, ma non quello di decidere tali questioni, con efficacia di giudicato, su espressa domanda di parte, in applicazione dell'art. 34 c.p.c.. Pertanto, il riconoscimento al giudice tributario del potere di decisione su questioni pregiudiziali, attribuite alla competenza del giudice civile, non priva la parte privata della possibilità di ottenere, sulle stesse questioni, una decisione del giudice civile con efficacia di giudicato" (in particolare, in detto giudizio, la domanda aveva ad oggetto l'accertamento della qualità di eredi beneficiati e si è affermato che le Commissioni tributarie hanno il potere di decidere sull'esistenza di tale qualità o sull'avvenuto compimento o non compimento, da parte degli eredi, di atti che comportavano l'acquisto puro e semplice dell'eredità).
Anche in altra decisione (Cass. 7792/2005), questa Corte ha espressamente chiarito che "la giurisdizione tributaria, avendo ad oggetto sia l'"an" che il "quantum" della pretesa tributaria, comprende anche l'individuazione del soggetto tenuto al versamento dell'imposta o dei limiti nei quali esso, per la sua qualità, sia obbligato; ne consegue che, qualora tra i debiti ereditari rientri un debito di imposta (nella specie, imposta di registro ed INVIM) e l'erede abbia accettato con beneficio di inventario, spetta alle commissioni tributarie conoscere dell'impugnazione dell'avviso di liquidazione con cui esso erede con beneficio d'inventario, adducendo la propria responsabilità per il debito fiscale ereditario nei limiti di valore dei beni a lui pervenuti ("ex" art. 490 c.c., comma 2, n. 2), faccia valere il vizio proprio di tale atto impositivo, ad esso destinato, in quanto volto a conseguire il pagamento dell'intera imposta, e non in quanto possibile per effetto della accettazione beneficiata. Del resto, se così non fosse, qualsiasi forma di tutela, concernente la ridotta responsabilità dell'erede accettante con beneficio di inventario per il debito d'imposta imputabile al "de cuius", sarebbe, nella sede ordinaria, preclusa dalla definitività dell'avviso di liquidazione".
In sostanza, i giudici tributari, in sede di impugnazione dell'iscrizione a ruolo di un debito fiscale ereditario, erano competenti a vagliare, sia pur\� incidenter tantum, la sussistenza o meno della qualità dei contribuenti, obbligati passivi, di eredi accettanti con beneficio d'inventario, ai fini della corretta quantificazione del debito d'imposta.
2.2. Inoltre, non spettava all'Amministrazione finanziaria dimostrare la decadenza degli eredi dall'accettazione con beneficio per mancata tempestiva redazione dell'inventario nel termine di legge, quanto agli stessi ricorrenti dimostrare di possedere tutti i requisiti per godere della qualità di eredi accettanti con beneficio d'inventario, comportando l'omessa redazione dell'inventario un omesso acquisto della suddetta qualità di erede e non una causa di decadenza (cfr. Cass. 11030/2003: "Il creditore che, agendo contro l'erede accettante con beneficio d'inventario, intenda farne valere la responsabilità ultra vires per il mancato compimento dell'inventario stesso nei termini previsti dagli artt. 485 e 487 c.c., non ha alcun onere di provare la dedotta omissione o ritardo, dovendo per converso, l'erede in accettazione beneficiata provare, in positivo, la circostanza de qua, rappresentando la tempestiva formazione dell'inventario un elemento costitutivo del relato beneficio").
Infatti, l'art. 484 c.c., nel prevedere che l'accettazione cori beneficio d'inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell'inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sona elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti, cosicché, se, da un lato, la dichiarazione di accettazione con beneficio d'inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il definitivo acquisto della qualità di erede, da parte del chiamato, che subentra perciò in "universum ius defuncti", compresi debiti del "de cuius", d'altra canto essa non incide sulla limitazione della responsabilità "intra vires" che è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell'inventario, in mancanza del quale l'accettante è considerato erede puro e semplice ( artt. 485, 487 e 480 c.c.) non perché abbia perduto "ex post" il beneficio ma per non averlo mai conseguito (cfr. Cass. 16739/2005).
Le norme che impongono il compimento dell'inventario in determinati termini non ricollegano mai all'inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza, ma sanciscono sempre come conseguenza che l'erede viene considerato accettante "puro e semplice", mentre la decadenza è chiaramente ricollegata solo ed esclusivamente ad alcune altre condotte, che attengono alla fase della liquidazione e sono quindi necessariamente successive alla redazione dell'inventario.
3. Anche il terzo motivo (strettamente correlato al primo) è infondato.
Il decreto con il quale il competente giudice ordinario ordina la formazione dell'inventario, designando a tal fine un cancelliere o un notaio, ai sensi dell'art. 769 c.p.c., e quello che concede la proroga del termine per la redazione del medesimo sono provvedimenti emessi all'esito di un procedimento di cui è parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'art. 763 c.p.c.; ne consegue che tali provvedimenti, non contenendo alcuna decisione in merito alla capacità a succedere del soggetto richiedente, sono, riconducibili alla giurisdizione volontaria, e quindi privi del carattere di decisorietà e inidonei a passare in giudicato, con la: conseguenza che non sono stati ritenuti impugnabili col, ricorso straordinario per cassazione al sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. 922/2010 e 10446/2012).
Tale decreto pertanto non era, nella specie, ostativo all'accertamento, sia pure incidentale, della qualità di erede accettante come beneficio d'inventario da parte del giudice tributario.
Come correttamente affermato dai giudici della C.T.R., peraltro, non risulta che, con il decreto adottato ex art. 769 c.c., sia stata altresì concessa una proroga al compimento, dell'inventario, ai sensi degli artt. 487 e 485 c.c., potendo questa essere accordata solo una volta, in presenza di fatti giustificativi, allorché l'inventario sia stato cominciato e non completato nel termine di legge (nella specie, trattandosi, come si evince dallo stesso ricorso, di eredi che non si trovavano nel possesso dei beni ereditari, entro tre mesi dalla dichiarazione di accettazione con il beneficio d'inventario).
4. Del pari è infondato il secondo motivo, in quanto, come correttamente ritenuto dai giudici della C.T.R., il perfezionamento o meno della fattispecie di accettazione di eredità beneficiata (ovvero, in difetto, la qualità di eredi "puri e semplici" dei ricorrenti) costituiva l'oggetto del contendere sin dal primo grado del giudizio, avendo l'Amministrazione Finanziaria comunque contestato il mancato compimento dell'incombente relativo alla redazione dell'inventario, cosicché non vi era stata una domanda nuova, proposta in appello dall'Ufficio, di una pronuncia di decadenza dei ricorrenti.
Peraltro, essendo comunque l'Agenzia delle Entrate vittoriosa in primo grado, stante il rigetto del ricorso dei contribuenti, la stessa non aveva necessità di proporre appello incidentale sulla questione, avendo soltanto l'onere di riproporre le eccezioni disattese o rimaste assorbite (essendo, sul punto, carente di interesse) (Cass. 14925/2011 e Cass. 15641/2004).
5. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti, in solido, al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.300,00, a titolo di compensi, oltre rimborso delle spese forfettarie, nella misura del 15%, ed eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2014
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