Sentenza del 16/04/1981 n. 2286 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 01

Testo

DIRITTO - Con il primo motivo, denunziando violazione dell'art. 140 R.D. n. 3296 del 1923 e del T.U. 14 aprile 1910 n. 639, e falsa applicazione
dell'art. 497 Cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3) codice di
rito, la ricorrente deduce che ha errato la Corte di merito nel ritenere
estinto per prescrizione il credito tributario per il fatto che essa
Amministrazione non aveva provveduto, entro il termine di validita' del
pignoramento (novanta giorni dal suo compimento) previsto dall'art. 497 cod.
proc. civ., a proseguire il procedimento di riscossione dopo il passaggio in
giudicato della sentenza emessa nel giudizio di opposizione, nel corso del
quale l'esecuzione era stata sospesa. Secondo la ricorrente, l'estensione
delle norme del vigente Codice di procedura civile al procedimento di
riscossione coattiva dei tributi disciplinato dal T.U. del 1910, non e'
consentita dalle sue caratteristiche particolari di procedimento
amministrativo e dalla sua compiuta disciplina, la quale non ammette il
ricorso ad altre fonti legislative non espressamente richiamate, soprattutto
se trattasi, come nella specie, di disposizioni comminanti la decadenza da
un diritto.
Tale estensione non si giustifica poi con l'esigenza di circoscrivere nel
tempo la possibilita' di agire esecutivamente nei confronti del
contribuente, essendo ogni atto del procedimento soggetto al termine di
prescrizione stabilito per il tributo fatto valere. Inoltre, sempre secondo
la ricorrente, la ritenuta estinzione del credito tributario per
prescrizione contrasta con l'art. 140, primo comma, il quale attribuisce
effetto interruttivo della prescrizione non solo all'ingiunzione, ma anche
ad ogni ulteriore atto del procedimento coattivo, effetto che risulta
vanificato quando si sottoponga ad un breve termine di decadenza l'atto di
pignoramento.
In definitiva, la Corte romana avrebbe errato nel ritenere che il
procedimento coattivo di riscossione si sia estinto per mancata
riassunzione; per contro, non essendo soggetto a termini di efficacia per i
singoli atti di cui si compone, ne' a termini di decadenza per riassunzione,
ma solo a termini di prescrizione, il procedimento coattivo era ancora in
corso quando sopravvenne la sospensione dei termini di cui al D.M. 23
settembre 1970, disposta per l'inagibilita' dei locali dell'Ufficio del
registro - Atti giudiziari.
La censura e' priva di fondamento.
Devesi anzitutto rilevare che la tesi della inestensibilita' delle norme del
vigente Codice di procedura civile al procedimento di riscossione coattiva
dei tributi disciplinato dal T.U. del 1910 n. 639, in considerazione delle
caratteristiche particolari di detto procedimento, non puo' essere
condivisa.
Questa corte ha gia' avuto occasione di affermare (sent. 23 ottobre 1974 n.
3049) che anche a tale procedimento e' applicabile il disposto dell'art. 481
Cod. proc. civ., proprio, in considerazione della sostanziale natura di
precetto riconosciuta alla ingiunzione fiscale (su tale punto cfr. pure la
sent. 13 novembre 1976 n. 4213), per cui essa, se non sia seguita dagli atti
di esecuzione nel termine stabilito dalla suddetta norma, perde la sua forza
esecutiva e alla stessa ingiunzione, come si evince dall'art. 140 legge
registro, non puo' attribuirsi altro valore che quello di semplice atto di
costituzione in mora, valido unicamente ad interrompere il corso della
prescrizione con effetti istantanei, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2943 Cod. civ.
Piu' in generale, questa Corte ha riconosciuto l'applicabilita' della
normativa civilistica al procedimento di riscossione delle entrate
patrimoniali dello Stato a mezzo della ingiunzione prevista dal T.U. del
1910 n. 639, in mancanza di una previsione espressa, poiche' l'unico rimedio
giuridico dato al privato e' costituito dal ricorso od opposizione
all'autorita' giudiziaria e non anche dal ricorso amministrativo; pertanto,
il ricorso o l'opposizione avanti l'autorita' giudiziaria ha l'effetto di
interrompere la prescrizione fino alla decisione con forza di giudicato
(cfr. sent. 25 maggio 1971 n. 1539).
Esattamente, pertanto, la Corte di ….. ha ritenuto che, se agli atti del
procedimento coattivo non fossero applicabili i termini di validita' degli
atti del processo di esecuzione, ne verrebbe, di conseguenza, che il
contribuente sarebbe esposto alla possibilita' di subire in concreto
l'esecuzione anche a distanza di notevolissimo tempo dai primi atti della
procedura, a mera discrezione dell'Amministrazione.
Neppure puo' essere condivisa la conclusione cui vorrebbe giungere
l'Amministrazione, richiamando la sospensione dei termini disposta dal D.M.
23 settembre 1970 per l'inagibilita' dei locali dell'Ufficio del registro -
Atti giudiziari. Tale D.M. stabili' che i termini di decadenza per il
compimento di atti presso gli Uffici siti nel palazzo di giustizia di …..
sarebbero stati prorogati di 15 giorni a decorrere dalla data di
pubblicazione nella G.U. del successivo decreto che avrebbe determinato
l'eccezionalita' dell'evento.
L'ultimo D.M. che provvide al riguardo fu quello del 22 settembre 1970,
pubblicato nella G.U. il 22 settembre 1970 n. 240, il quale dispose che i
termini di decadenza, scaduti nel nel periodo 20 aprile - 22 settembre 1970
o nei cinque giorni successivi, venivano prorogati di 15 giorni dalla data
di pubblicazione di quel decreto, venendo a scadere il 7 ottobre 1970.
Orbene, anche se fosse vero che il procedimento coattivo di riscossione era
ancora in corso quando sopravvenne la sospensione dei termini, deve
ritenersi che, dato il limitato periodo di sospensione, il periodo
prescrizionale si sarebbe compiuto poco dopo (il 17 novembre 1970), poiche',
secondo quanto affermato dalla stessa Amministrazione, il processo esecutivo
si era estinto nel maggio 1967, mentre la seconda ingiunzione e' del 1972,
cosi' come accertato dalla Corte di merito.
Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 140 R.D. n. 3269 del 1923, nonche' falsa applicazione dell'art. 2945 Cod. civ., in relazione
all'art. 360 n. 3 Cod. proc. civ., la ricorrente assume che ha errato la
Corte del merito nell'applicare l'art. 2945 Cod. civ., essendovi una
regolamentazione specifica della materia nell'art. 140, comma 3 legge di
registro, il quale stabilisce che l'interruzione della prescrizione operata
con la domanda giudiziale viene meno con la perenzione della medesima,
aggiungendo che, se l'interruzione e' provocata dall'ingiunzione fiscale, i
suoi effetti permangono anche in caso di perenzione della ingiunzione.
A detta della ricorrente, questa norma, vigente il vecchio codice di rito -
posto che la perenzione presupponeva un'inerzia protratta per tre anni e che
non avrebbe avuto alcun significato far salvo l'effetto interruttivo
istantaneo di un atto risalente a piu' di tre anni prima in quanto la
prescrizione si compie appunto in tre anni - implicava che dopo detto
effetto interruttivo istantaneo si avesse una sospensione della prescrizione
durante la pendenza del procedimento sia di riscossione sia di opposizione;
tale norma, adeguata al nuovo codice di rito, comporterebbe, secondo la
ricorrente, la sostituzione della sospensione con l'effetto interruttivo
permanente fino alla estinzione del procedimento.
La censura e' infondata.
Esattamente la Corte del merito ha ritenuto l'applicabilita' degli artt.
2943 e 2945 Cod. civ. anche in campo tributario, atteso che le cause
interruttive espressamente previste dalla legge di registro non hanno
carattere tassativo ma sono integrative di quelle fissate dal Codice civile.
Questa Corte, come gia' rilevato, con la sentenza n. 1539 del 1971, ha
ritenuto che il ricorso od opposizione all'Autorita' giudiziaria ha
l'effetto di interrompere la prescrizione fino alla decisione con forza di
giudicato, prolungando nel tempo l'effetto interruttivo verificatosi con la
proposizione del ricorso o dell'opposizione (cfr. la citata sent. n. 1539
del 1971), in quanto atti ad effetti permanenti.
Orbene, per quanto riguarda la prescrizione del diritto della Finanza, anche
a voler applicare nel caso in esame la norma dell'art. 140 comma 3, legge di
registro, adeguandola al nuovo codice di rito, che ha soppresso l'istituto
della perenzione, devesi ritenere che, ai sensi dell'art. 2945 comma 3 Cod. civ., se il processo coattivo si estingue, rimane fermo l'effetto
interruttivo (istantaneo dalla notifica dell'ingiunzione) e il nuovo periodo
di prescrizione inizia a decorrere dalla data di tale atto interruttivo.
In altri termini, se il processo si estingue, dipendendo l'estinzione dalla
inattivita' del titolare del diritto soggettivo, che non ha compiuto
l'attivita' processuale necessaria per fare proseguire il giudizio,
l'estinzione toglie valore al periodo successivo alla notifica della
ingiunzione e rimane solo l'efficacia autonoma della stessa.
Non si puo', pertanto, condividere la tesi della Finanza, secondo cui la
permanenza dell'effetto interruttivo di cui parla la disciplina speciale non
potrebbe essere intesa come permanenza dell'effetto istantaneo, ma nel senso
che, vigente l'istituto della perenzione, permanevano effetto istantaneo ed
effetto sospensivo, mentre oggi, venuto meno tale istituto, permarrebbero
effetto istantaneo ed effetto interruttivo permanente e solo dalla
estinzione decorrerebbe il nuovo termine triennale di prescrizione.
In ogni caso, non si riesce a comprendere quale sia lo scopo perseguito
dalla finanza con la tesi esaminata, posto che, anche a volerla accogliere,
e' indubbio che la prescrizione triennale si sarebbe comunque verificata nel
maggio 1970 in quanto, come la Corte del merito ha precisato, la stessa
Amministrazione aveva espressamente dichiarato nel giudizio di primo grado
che il procedimento esecutivo si era estinto pe inattivita', ai sensi degli
artt. 627 e 630 Cod. proc. civ., nel maggio del 1967, mentre la seconda
ingiunzione, per cui e' causa, fu notificata il 3 giugno 1972.
Con il terzo motivo, denunziando violazione dell'art. 2935 Cod. civ. e dei
principi generali in tema di impedimento al decorso della prescrizione e
falsa applicazione dell'art. 2945 Cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3
Cod. proc. civ., la ricorrente deduce che la Corte del merito, pur dando
atto che nel giudizio di espropriazione di terzo promosso contro
l'Amministrazione finanziaria procedente il pretore aveva disposto la
sospensione dell'esecuzione, ha poi applicato la regola sancita dall'art. 2945, ultimo comma, Cod. civ., senza tener conto che per tutta la durata del
giudizio di opposizione l'Amministrazione si era trovata nell'impossibilita'
di agire.
In tale modo, la Corte avrebbe violato il principio che l'effetto sospensivo
dell'azione esecutiva, che l'art. 145 della legge di registro ricollega
all'opposizione proposta avverso una ingiunzione fiscale intimante il
pagamento di una imposta suppletiva, e' un impedimento idoneo ad integrare
gli estremi di quella impossibilita' di agire, cui la legge attribuisce
rilevanza quale causa ostativa del decorso del termine di prescrizione.
La censura e' infondata.
Anche a volere ammettere, in via di mera ipotesi, l'applicabilita' nella
fattispecie, dei suesposti principi, non si puo' non rilevare l'inutilita'
pratica, ai fini della decisione, della censura in esame, atteso che, come
e' stato accertato dai giudici del merito, la sospensione dell'esecuzione
operata dal Pretore su istanza del terzo opponente venne a terminare il 26
novembre 1966, data in cui passo' in giudicato la sentenza del Pretore di
….. che rigetto' la opposizione.
Da tale data, quindi, l'Amministrazione si trovo' nella possibilita' di
agire e comincio' a decorrere il termine triennale di prescrizione, che
venne a scadere il 26 novembre 1969, cioe' molto tempo prima della seconda
ingiunzione (3 giugno 1972).
Con il quarto motivo, denunziando violazione del T.U. 14 aprile 1910 n. 639
e dell'art. 307 Cod. proc. civ., la ricorrente deduce che la Corte del
merito, nel ritenere che la norma dell'art. 307 Cod. proc. civ., la quale
subordina l'effetto estintivo del processo alla specifica eccezione di
parte, si applica nel caso di tardiva riassunzione dell'iniziale
procedimento e non nella ipotesi di promozione di un nuovo ed autonomo
procedimento, come era avvenuto nella specie con l'ingiunzione notificata
nel 1972, non ha considerato che tale principio, applicabile solo al
processo civile, non puo' essere esteso al procedimento di riscossione, il
quale e' dominato dal principio della liberta' delle forme, in quanto
l'ingiunzione fiscale e' utilizzata dall'Amministrazione non solo come atto
iniziale del procedimento ma anche come atto di accertamento, di
liquidazione dell'imposta e, genericamente, di intimazione.
La censura e' infondata.
Premesso che la validita' del principio affermato dalla Corte del merito non
e' stata contestata dalla ricorrente, devesi rilevare che la sua
applicabilita' anche al procedimento di riscossione coattiva risulta
evidente ove si consideri che se si dovesse ritenere tale procedimento
svincolato da ogni forma a tal punto da ravvisarsi in ogni caso un atto di
riassunzione nella notifica di una nuova ingiunzione, l'intimato si
troverebbe nella condizione di non poter stabilire l'esatta natura dell'atto
notificatogli e, di conseguenza, quale genere di opposizione dovrebbe
proporre.
In conclusione, il ricorso dev'essere rigettato, con la condanna della
ricorrente alle spese di questo giudizio di cassazione.

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