Sentenza del 04/10/1996 n. 8685 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio Sezioni unite

Massime

RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE - RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE SUI REDDITI - MODALITA' DI RISCOSSIONE - IN GENERE - MERA RICHIESTA DI UN TRIBUTO GIA' ASSOLTO FONDATA SU GIUDICATO DEL GIUDICE TRIBUTARIO - ILLECITO AQUILIANO - CONFIGURABILITA' - ESCLUSIONE - ILLECITA' DELLA RICHIESTA - ESTREMI

La mera richiesta, anche coattiva, di un tributo gia' in precedenza assolto, fondata su un atto di accertamento divenuto irretrattabile in conseguenza del passaggio in giudicato della decisione del giudice tributario, che ha respinto il ricorso del contribuente, non integra gli estremi dell'illecito aquiliano. Infatti, l'esistenza del giudicato rende del tutto non configurabile l'illecito sotto il profilo colposo, apparendo non rimproverabile la richiesta di un tributo il cui accertamento, anche se per avventura ingiusto, sia divenuto irretrattabile, mentre per integrare tale illecito sotto il profilo doloso il comportamento dei funzionari dell'amministrazione finanziaria non potrebbe esaurirsi nella mera richiesta del tributo, perche' cio' troverebbe avallo nel giudicato "inter partes", ma dovrebbe articolarsi in un piu' grave e complesso contesto operativo che ricomprenda la originaria emissione in mala fede dell'avviso di accertamento e si estenda all'uso altrettanto in mala fede del processo e del suo risultato, integrando un vero e proprio programma persecutorio.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

Quando l'accertamento del debito tributario è immodificabile in ragione del vincolo da res judicata che contrassegni la cartella di pagamento, a suo tempo emanata, si viene a formare un vincolo intangibile che esclude l'azionabilità del rimborso. Pertanto, quella stessa imposta che venne assunta come indebita sulla base di un atto inoppugnabile è da considerarsi incontrovertibilmente dovuta. Il rimborso postulerebbe la restituzione di un indebito che, in ragione del giudicato già espresso sarebbe da ritenere, per converso escluso. Il giudicato sulla cartella resiste anche alla duplicazione d'imposta ed al contrasto con il principio di neutralità dell'IVA tanto da affievolirne portata ed incidenza. Infatti, in materia di IVA, l'accertamento del modo di essere dell'obbligazione tributaria relativo ad un singolo periodo di imposta, veicolato attraverso la cartella di pagamento, divenuta inoppugnabile perché non impugnata nel termine, fa stato con forza di giudicato nel giudizio relativo al rimborso invocato in relazione alla medesima obbligazione e per lo stesso anno d'imposta.

Massima redatta dal Ce.R.D.E.F.

In tema di contenzioso tributario, l'atto impugnato, che, di regola, diviene definitivo in caso di estinzione del giudizio non essendo un atto processuale ma l'oggetto dell'impugnazione, non si sottrae all'effetto del giudicato parziale formatosi tra le parti, a cui l'ufficio impositore deve adeguare la propria posizione sostanziale, anche nell'ipotesi di estinzione per omessa riassunzione del giudizio di rinvio, poiché non può porre in riscossione il tributo sulla base dell'atto impositivo impugnato "come se" quest'ultimo non fosse stato ritenuto, per taluni aspetti, illegittimo con sentenza passata in giudicato. Massima redatta a cura del CED della Cassazione

Il provvedimento di fermo amministrativo di cui al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, u.c., ha lo scopo di legittimare la sospensione, in via cautelare e provvisoria, del pagamento di un debito liquido ed esigibile da parte di un'amministrazione dello Stato, a salvaguardia della eventuale compensazione legale di esso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile, che la stessa o altra amministrazione statale pretenda di avere nei confronti del suo creditore. Deve tuttavia considerarsi che, nel giudizio di ottemperanza, il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita con il giudicato, di talche' deve ritenersi esclusa la possibilita' di applicare al giudizio di ottemperanza l'istituto civilistico della compensazione, in quanto la dichiarazione di estinzione del debito per compensazione presuppone un accertamento del Giudice che travalica i limiti fissati dal contenuto del giudicato ed e' sottratto alla sua competenza. Ne deriva, per ineludibile sviluppo logico, che il fermo amministrativo, finalizzato alla compensazione del debito dell'erario con il credito vantato a diverso titolo nei confronti del contribuente, non puo' essere opposto nel giudizio di ottemperanza ma solo in quello di cognizione, cosicche' va esclusa in radice la necessita' di qualsivoglia sindacato del Giudice dell'ottemperanza sul provvedimento di fermo, con la conseguente irrilevanza di eventuali errori di diritto commessi, dal Giudice tributario, nell'ambito di tale sindacato. *Massima redatta dal servizio di documentazione economica e tributaria

In tema di contenzioso tributario, l'omessa impugnazione di un avviso di liquidazione nel termine di legge rende l'atto inoppugnabile e il pagamento della somma liquidata non e' idoneo a riaprire, attraverso l'istituto del rimborso, un termine scaduto, al fine di contestare un rapporto tributario ormai esaurito. Pertanto, il successivo silenzio rifiuto sull'istanza di rimborso della somma pagata in adempimento dell'avviso di liquidazione non e' autonomamente impugnabile, atteso che tale comportamento amministrativo e', sia pure implicitamente, meramente confermativo del precedente provvedimento costituito dall'avviso di liquidazione e, come tale, in ragione di tale rapporto di conseguenzialita', si sottrae ad autonoma impugnazione. Massima tratta dal CED della Cassazione.

L'Ufficio finanziario impositore, che abbia emanato un atto impositivo, fondato su un processo verbale di constatazione di violazione alla legge I- VA, e abbia indicato al contribuente - nello stesso atto - la facolta' di avvalersi di una disposizione di condono (art. 21, comma quinto, D.L. n. 69 del 1989, conv., con mod., nella legge n. 159 del 1989), e a seguito dell'esercizio della predetta facolta' di avvalimento, abbia chiuso il procedimento con un provvedimento di archiviazione per cessazione della materia del contendere, non puo', neppure nell'esercizio della potesta' di autotutela (nella specie, "in malam partem", esercitata per la ritenuta inapplicabilita' della disposizione di condono) emettere, nei confronti dello stesso contribuente, un provvedimento impositivo (nella specie, un avviso di rettifica) fondato sugli identici presupposti di fatto e di diritto del precedente atto di imposizione, atteso che - a prescindere dalla legittimita' dell'indicazione contenuta nel primo atto - sussiste, nel caso di specie, il legittimo affidamento del contribuente di fronte all'azione dell'Amministrazione, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 212 del 2000. Massima tratta dal CED della Cassazione.

ATTI AMMINISTRATIVI - VIGILANZA E TUTELA - AUTOTUTELA DELLA PA - CARATTERE DISCREZIONALE - DOVERE DELLA PA DI RITIRARE I PROPRI ATTI ILLEGITTIMI - INSUSSISTENZA

La c.d. autotutela della pubblica amministrazione costituisce un'attivita' discrezionale, in quanto essa implica l'apprezzamento dell'attuale interesse pubblico alla rimozione dell'atto, interesse che non si identifica con il mero ristabilimento dell'ordine giuridico violato. Ne deriva che la pubblica amministrazione non ha un dovere giuridico di ritirare i propri atti quando essi siano illegittimi.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

È consentito il sindacato del giudice sul diniego di autotutela, nei limiti di un controllo estrinseco di legittimità volto all'accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale alla rimozione dell'atto. Tale interesse pubblico non sussiste, essendo ravvisabile un mero interesse del privato, laddove questi invochi solamente la riduzione in autotutela della misura delle sanzioni originariamente applicate, in virtù del principio del favor rei.

Il potere di autotutela dell'Amministrazione finanziaria, volto alla rimozione di provvedimenti ritenuti illegittimi o infondati, incontra il limite del principio generale - avente fondamento costituzionale - di tutela dell'affidamento legittimo e della buona fede del contribuente, di cui e' espressione l'art. 10 della legge n. 212 del 2000 (Nella specie la Corte ha ritenuto illegittimo il provvedimento adottato da un Ufficio finanziario, in via di autotutela, esercitato "in malam partem" nei confronti del contribuente, in presenza di una situazione giuridica soggettiva di vantaggio di quest'ultimo, acquisita in base all'applicazione del principio dell'affidamento legittimo del contribuente). Massima tratta dal CED della Cassazione.

In tema di processo tributario, il diniego di autotutela non rientra tra gli atti indicati dall'art. 19 del D.lgs. 546/92 e non è quindi impugnabile, sia in ragione della discrezionalità che caratterizza la possibilità di annullamento dell'atto da parte dell'AF sia perché si tramuterebbe in uno strumento di impugnazione tardiva dell'atto divenuto definitivo.

Tale principio trova un'eccezione solo nel caso in cui il diniego sia illegittimo perché contrario ad un rilevante interesse di carattere generale all'annullamento dell'atto.

Il contraddittorio preventivo è essenziale in quanto attraverso questo viene data pratica attuazione sia al diritto alla difesa sia ai principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, dovendosi consentire al soggetto destinatario di un provvedimento autoritativo produttivo di effetti sfavorevoli, di manifestare, prima dell'emissione del provvedimenti le proprie ragioni, indipendentemente dalla natura del tributo oggetto di accertamento e dalla tipologia di verifica condotta.

Ne consegue che l'assenza del contraddittorio preventivo comporta la nullità dell'avviso di accertamento

Il provvedimento di autorizzazione alle indagini finanziarie, esplica una funzione organizzativa incidente nei rapporti tra uffici e non richiede alcuna motivazione sicché la mancata allegazione all'avviso di accertamento ovvero l'omessa esibizione all'interessato, non comporta l'illegittimità dell'accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite. Diverso è il caso in cui l'autorizzazione in questione non esista perché ciò renderebbe le indagini bancarie illegittime ove si traducesse in un concreto pregiudizio per il contribuente, in conformità alla concezione sostanzialistica dell'interesse del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo, espressa, in via generale, dall'art. 21 octies della l. n. 241/1990.

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