Sentenza del 20/04/2006 n. 9319 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Svolgimento del processo
Con avviso del 1985 l'Ufficio imposte dirette di Lucca accertava a
carico di W.B., ai fini Irpef, un reddito netto di lavoro autonomo per il
1980 e 1981, pari a lire 107.350.000, non dichiarato.
L'avviso era impugnato da W.B. e il suo appello era accolto dalla
Commissione di II grado con decisione del settembre 1989.
La Commissione centrale, con decisione del 3 maggio 2001, n. 3260,
accoglieva l'impugnazione dell'ufficio finanziario sulle seguenti
considerazioni: 1) W.B. era soggetto passivo di Irpef a norma dell'art.\u00C3\u00882,
comma 2, del D.P.R. n. 597/1973, applicabile ratione temporis, secondo il
quale si considerano residenti nel territorio dello Stato: a) le persone
iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; b) coloro che hanno nel
territorio dello Stato la sede principale dei loro affari ed interessi o vi
dimorano per piu' di sei mesi dell'anno; c) i cittadini residenti
all'estero…". Quindi la legge tributaria, con valutazione legale tipica,
assoggetta all'imposta le persone fisiche iscritte nelle anagrafi della
popolazione residente e questo dato formale e' sufficiente e preclusivo, si'
che non e' rilevante ogni circostanza diretta a dimostrare che la persona
iscritta dimora soltanto pochi giorni all'anno nel territorio dello Stato o
che non ha in esso la sede di propri affari o interessi: tale
interpretazione e' confermata dall'art. 3 del D.P.R.\u00C3\u0088n.\u00C3\u0088597/1973 in cui, con
norma eccezionale, sono esclusi dall'imposta i redditi di lavoro dipendente
prestato all'estero da cittadini emigrati, benche' "siano rimasti iscritti
nelle anagrafi della popolazione residente". Pertanto nessuna nozione
civilistica di residenza poteva rilevare essendo pacifico che nel l979 W.B.
era residente a Lucca; 2) questa conclusione non era inficiata dal giudicato
(Tribunale penale di Lucca del l9 marzo 1986) in quanto, premesso che la
sentenza di assoluzione si riferiva all'omessa presentazione della denuncia
dei redditi per l'anno 1983, i fatti accertati nel giudizio penale, pur
riferibili agli anni 1979-1984, non erano rilevanti ai fini di escludere la
soggezione all'imposta per la predetta preclusione di ogni indagine di
fatto, ne' rileva che l'Ambasciata del Kuwait abbia attestato che nel 1981
W.B. fosse ivi residente perche' fatto inidoneo a superare l'iscrizione
anagrafica nel comune di Lucca, che permane fino alla cancellazione; 3)
l'avviso dell'ufficio era adeguatamente motivato perche' la segnalazione
della Polizia tributaria era nota a W.B. ed indicava i nomi delle societa'
estere da cui egli aveva percepito le somme e percio' il medesimo era stato
messo in condizioni di difendersi, ne' l'assimilazione di "utili, stipendi,
rimborsi spese" a redditi di lavoro autonomo poteva inficiare la
motivazione, incidendo non su di essa, ma sulla legittimita' della pretesa
impositiva, che il predetto poteva contestare e che era identificabile e non
era stata modificata dall'ufficio nel corso del giudizio.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione W.B. per due motivi, cui
resistono l'Amministrazione delle finanze e l'Agenzia delle Entrate. Il
ricorrente ha altresi' depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente disposto lo stralcio della sentenza del 3 aprile
1986 del Tribunale penale di Lucca perche' documento estraneo a quelli
consentiti dall'art. 372 del codice di procedura civile.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce: "Violazione e falsa
applicazione in relazione all'art. 360, n. 3), del codice di procedura
civile dell'art. 2909".
La sentenza passata in giudicato non puo' essere equiparata ad
un'indagine di fatto e nella specie il Tribunale di Lucca ha affermato che
W.B. non poteva essere ritenuto residente in Italia ai sensi dell'art. 2 del
D.P.R. 597/1973. Altresi' infondato e' che la sentenza di assoluzione
"perche' il fatto non sussiste" si riferisse all'anno 1983 perche' il
processo penale era stato promosso per gli anni 1979-1984 e l'istruttoria si
era svolta per tutto tale periodo. Soltanto in sede dibattimentale, a
seguito dell'entrata in vigore della L. n. 516/1982, il pubblico ministero
aveva modificato il capo di imputazione limitandolo all'omessa presentazione
della dichiarazione dei redditi per l'anno l983. E poiche' l'autorita' del
giudicato penale in altri giudizi, a norma dell'art. 28 del codice di
procedura penale, riguarda tutti i fatti materiali il cui accertamento e'
alla base del convincimento del giudice penale, anche se non sono
costitutivi o circostanze del reato contestato, ma presupposto logico della
decisione - come nella fattispecie la mancata residenza in Italia - hanno
efficacia vincolante nel giudizio civile o amministrativo.
Il motivo e' infondato.
Questa Corte ha gia' affermato (Cass. n. 1215/1998; n. 1783/1999) che
"l'art. 2, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, fra le altre
ipotesi ivi previste, collega la qualita' di residente, ai fini della
determinazione del soggetto passivo dell'imposta sul reddito delle persone
fisiche, all'iscrizione 'nelle anagrafi della popolazione residente'. In
linea di principio deve ritenersi, quindi, in materia fiscale, tale dato
preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione del
soggetto passivo d'imposta, diversamente da quanto avviene ai fini
civilistici ove le risultanze anagrafiche sono invece concordemente
considerate idonee unicamente a dar luogo a presunzioni relative,
superabili, come tali, dalla prova contraria. In altri termini in materia
fiscale, a differenza di quanto avviene ai fini civilistici, la forma e'
destinata a prevalere sulla sostanza nell'ipotesi in cui la residenza venga
collegata al presupposto anagrafico. Una diversa interpretazione dovrebbe
inevitabilmente considerare concorrenti infatti gli altri due presupposti
previsti dall'art. 2 (sede principale degli affari nel territorio dello
Stato o dimora per piu' di sei mesi), contrariamente al dettato normativo
che li prevede invece in via alternativa. La prevalenza sul punto
dell'elemento formale su quello sostanziale costituisce del resto una
costante del sistema fiscale se e' vero che anche il vigente testo unico
delle imposte sui redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) prevede all'art.
2, comma 2, tre ipotesi alternative fra le quali, ancora una volta,
l'iscrizione 'nelle anagrafi della popolazione residente' la cui presenza e'
considerata sufficiente per l'acquisizione della residenza fiscale" (cfr.
Cass. n. 1783/1999). Pertanto e' da ribadire che l'art. 2 del
D.P.R.\u00C3\u0088n.\u00C3\u0088597/1973 prevedeva tre distinti criteri di collegamento, uno di
diritto e due di fatto, reciprocamente alternativi, e che la sussistenza di
uno solo di essi era idonea a sancire la residenza fiscale in Italia fino
alla data di cancellazione dalle anagrafi della popolazione
(Cass.\u00C3\u0088n.\u00C3\u00881215/1998, cit.).
Dunque, risultando dall'impugnata decisione che W.B. nel 1979 era
rimasto iscritto nell'anagrafe del comune di Lucca, deve considerarsi
soggetto passivo di imposta in Italia, e percio' correttamente la
Commissione centrale non ha riconosciuto tale criterio legale formale
superabile da prova contraria.
3. Con il secondo motivo deducono: "Violazione dell'art. 360, n. 5), del
codice di procedura civile per insufficiente, contraddittoria motivazione su
un punto decisivo della controversia".
Il contribuente aveva concluso per la nullita' o annullamento
dell'accertamento perche' generico e non motivato sui criteri di
determinazione dell'imponibile e sull'imputabilita' dei vari titoli,
completamente diversi e indistinti tra capitale e lavoro autonomo, ed
infatti lo stesso ufficio, in appello, non aveva piu' insistito sugli utili
o rimborsi spese, bensi' aveva dedotto proventi di royalties e percio' i
titoli sono stati modificati nel corso del giudizio e dunque il contribuente
non ha potuto difendersi non potendo fornire prove negative.
Il motivo e' inammissibile.
Costituisce infatti ius receptum il principio secondo il quale il
ricorso per cassazione avverso le decisioni della Commissione tributaria
centrale (rese nel regime del processo tributario disciplinato dal D.P.R.\u00C3\u008826
ottobre 1972, n. 636) e' proponibile solo ai sensi dell'art. 111 della
Costituzione, sicche' sono deducibili, con tale rimedio straordinario,
soltanto i vizi di violazione di legge e non anche quelli di omessa
insufficiente o contraddittoria motivazione.
Concludendo il ricorso va respinto e il ricorrente condannato a pagare
le spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di cassazione di cui euro 2.000 per onorari ed euro 100
per spese, oltre spese generali e accessori di legge.
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