Sentenza del 21/05/1998 n. 5075 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 1
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso alla Commissione Tributaria di primo grado di Prato,
presentato il 30 maggio 1986, ___ impugnava il silenzio-rifiuto
dell'Ufficio del Registro di Prato formatosi su una istanza di
rimborso, presentata il 16 aprile 1985.
Tale istanza riguardava la imposta di L. 3.102.500, pagata sul valore
dichiarato di L. 31.000.000 in sede di registrazione di un atto, datato
24 gennaio 1985, riguardante un "quartiere" per civile abitazione da lei
acquistato dal Seminario Vescovile di Prato (nudo proprietario) e da
___ (usufruttuario).
La ricorrente esponeva di non essere stata in grado di pagare la somma
di L. 23.000.000 prevista a saldo della vendita con riserva di proprieta'
dell'immobile summenzionato e che detto atto conteneva la risoluzione
della compravendita, per la quale erano state pagate le dovute imposte
in misura proporzionale.
Assumeva, pertanto, che, non essendosi verificati trasferimenti di
diritti, l'atto doveva essere assoggettato all'imposta di registro in
misura fissa, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634.
La Commissione adita accoglieva il ricorso.
Avverso tale decisione l'Ufficio proponeva appello alla Commissione
Tributaria di secondo grado che accoglieva l'impugnazione.
La contribuente impugnava tale decisione di fronte alla Commissione
Tributaria Centrale, che accoglieva il ricorso, osservando che, qualora
il contratto di compravendita con riserva di proprieta' venga risolto per
mancato pagamento del prezzo, "tale risoluzione deve ascriversi
all'efficacia di una clausola risolutiva e, quindi, e' tassabile con
imposta fissa, a norma dell'art. 28 d.P.R. n. 131/86".
Avverso detta decisione l'Amministrazione Finanziaria dello Stato ha
proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo. La contribuente
non ha spiegato difese in questo grado di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso l'amministrazione finanziaria denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 27 d.P.R. n. 634/72;
degli artt. 27 e 28 T.U. n. 131/86; degli artt. 1353 e segg., 1523,
1525, 1526 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ..
Secondo la sentenza impugnata la circostanza del mancato pagamento del
prezzo da parte dell'acquirente sarebbe definibile alla stregua di una
clausola risolutiva con conseguente tassazione dell'atto risolutivo del
negozio ad imposta fissa ex art. 28 T.U. n. 131/86.
Tale sentenza sarebbe errata per essere addivenuto il giudicante ad una
non consentita assimilazione dell'istituto della vendita con riserva di
proprieta' allo istituto della condizione risolutiva espressa senza
tenere nella debita considerazione l'oggettiva diversita' dei due
istituti sia dal punto di vista della disciplina civilistica che da
quello fiscale.
Il ricorso e' fondato.
L'art. 1523 cod. civ. dispone che nella vendita a rate con riserva della
proprieta' il compratore acquista la proprieta' della cosa col pagamento
dell'ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della
consegna.
Da tale disposizione si evince che il pagamento del prezzo e' tipicamente
assunto quale fatto condizionante il trasferimento.
In tal senso e' l'orientamento di questa Corte che ha costantemente
affermato che nella vendita con riserva della proprieta' questa si
trasferisce al compratore solo con il pagamento dell'ultima rata di
prezzo (cfr. cass. n. 1597/66; cass. n. 1981/66; cass. n. 2179/66; cass.
n. 2167/80; cass. n. 723/86).
Secondo certa dottrina nella vendita con riserva di proprieta' si avrebbe
il passaggio immediato della proprieta' al compratore, destinato a
consolidarsi con il pagamento integrale del prezzo; il mancato pagamento
costituirebbe, pertanto, condizione risolutiva della compravendita.
A tale dottrina si e' giustamente obiettato che, se il mancato pagamento
del prezzo fosse una vera e propria condizione risolutiva, non vi
sarebbe bisogno di instaurare un giudizio di risoluzione per
inadempimento, quale e' invece esplicitamente postulato dagli artt. 1525
e 1526 cod. civ, ed in cui il giudice e' tenuto a valutare l'importanza
dell'inadempimento.
Pertanto la disciplina civilistica non consente di ascrivere la
risoluzione della vendita con riserva della proprieta' per mancato
pagamento del prezzo, come invece ritenuto alla decisione impugnata,
all'efficacia di una clausola risolutiva.
Tanto meno cio' e' possibile secondo la legge di registro.
L'art. 26 del d.P.R. n. 634/72 (ora 27 del d.P.R. n. 131/86) dispone che
le vendite con riserva di proprieta' non sono considerate sottoposte a
condizione sospensiva, il che significa che ai fini della legge di
registro, diversamente dalla disciplina civilistica, il contratto in
questione produce l'immediato trasferimento della proprieta' all'acquirente.
Se la legge di registro non consente di considerare la vendita con
riserva di proprieta' come contratto condizionato, anche per la legge di
registro si palesa del tutto arbitraria la assimilazione degli effetti
del mancato pagamento del prezzo a quelli di una clausola risolutiva
espressa.
Pertanto il contratto, con il quale le parti sciolgono una vendita con
riserva di proprieta' in conseguenza del mancato pagamento del prezzo,
non costituisce per la legge di registro un negozio ricognitivo di un
effetto gia' verificatosi in conseguenza di detto inadempimento, ma
produce esso stesso l'effetto di risolvere il precedente contratto,
ponendone nel nulla gli effetti con conseguente retrocessione del bene
all'originario proprietario.
Ne deriva che nel caso di specie non puo' trovare applicazione il primo
comma dell'art. 27 del d.P.R. n. 634/72, il quale dispone che la
risoluzione del contratto e' soggetta all'imposta in misura fissa se
dipende da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto o
posta in essere mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata
entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui e' stato
concluso il contratto.
Il secondo comma dell'art. 27 dispone, poi, che " in ogni altro caso
l'imposta e' dovuta in misura fissa se la risoluzione e' gratuita e in
misura proporzionale quando e' pattuito un corrispettivo. Agli effetti
della determinazione dell'imposta proporzionale il corrispettivo della
risoluzione e gli effetti da questa derivanti si considerano
disposizioni necessariamente connesse".
Dall'esame congiunto del primo e del secondo comma del citato art. 27 si
ricava che la risoluzione del contratto e' soggetta all'imposta in misura
fissa in due casi: 1) se dipende da condizione risolutiva espressa; 2)
se e' gratuita, cioe' se produce unicamente la estinzione del vincolo e la
liberazione delle parti contraenti.
In ogni altro caso la imposta e' dovuta in misura proporzionale e va
determinata con riferimento al corrispettivo della risoluzione ed agli
effetti da questa prodotti.
Pertanto nel caso di risoluzione di un contratto di vendita con riserva
di proprieta', il contratto con il quale viene convenuta la risoluzione
di detta vendita, comportando la retrocessione del bene oggetto del
contratto risolto (cosa che per la legge di registro si verifica anche
nella ipotesi di vendita con riserva di proprieta', dato che tale
normativa considera detta vendita immediatamente produttiva dell'effetto
traslativo), deve essere assoggettato alla imposta proporzionale di
registro da applicarsi con la aliquota prevista per i trasferimenti
immobiliari.
Per quanto precede il ricorso deve essere accolto e la decisione
impugnata cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo'
essere decisa nel merito ai sensi del primo comma dell'art. 384 cod.
proc. civ., rigettando la domanda della contribuente, apparendo
legittimo l'operato dell'amministrazione finanziaria.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese giudiziali.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo
nel merito ex art. 384, comma primo, cod. proc. civ., rigetta al domanda
della contribuente. Compensa le spese.
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