Sentenza del 05/03/2007 n. 5006 - Corte di Cassazione

Testo

                      Svolgimento del processo  

 Sulla base  del  processo  verbale  di constatazione redatto dalla Guardia  

di finanza di Bologna dal quale era emerso che la I. S.p.a. aveva effettuato
nel corso dell'esercizio 1992 indebite detrazioni Iva (premi di fine anno
con note di accredito ai propri clienti; fatture passive registrate oltre i
termini ed inerenti l'anno 1991; prestazioni di servizio inerenti a prestito
di personale dipendente; operazioni non inerenti all'esercizio di impresa
afferenti l'acquisto di omaggi per il personale dipendente) veniva emesso
dall'Ufficio Iva di Modena avviso di rettifica impugnato dalla societa'
contribuente con ricorso che veniva rigettato dalla Commissione tributaria
provinciale di Modena.
La sentenza veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale di
Bologna che - respingendo l'appello della societa' contribuente - rilevava
che l'operato posto in essere non legittimava le operazioni effettuate cosi'
come descritte nei documenti contabili ne' erano state fornite prove utili
per confutare i rilievi dell'ufficio fondati sulle annotazioni di bilancio.
In particolare assumeva - per quanto interessa il presente giudizio -
che dalle fatture e dai contratti non emergeva alcuna natura di sconto ma
solo di premio di fine anno per cui - non risultando direttamente inciso il
prezzo delle merci - le corrispondenti cessioni monetarie rimanevano
estranee al campo di applicazione dell'Iva cosi' come per gli omaggi vari
non vi era inerenza tra il materiale promozionale acquistato e la clientela,
essendo stati elargiti unicamente al personale dipendente.
Su questi due punti propone ricorso per la cassazione della sentenza la
S.p.a. C. (incorporante la S.p.a. Ca., nuova ragione sociale della I.
S.p.a.) denunziando - con il primo motivo - violazione degli artt. 26, comma
2, e 19, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 avendo fornito ampia prova
documentale che le detrazioni operate afferivano sconti commerciali
contrattualmente previsti per aumentare il volume degli affari mentre
irrilevante era la classificazione commerciale di premio di fine anno anche
in considerazione del fatto che portare in detrazione l'Iva assolta su di
un'operazione non soggetta non precludeva il diritto di detrarla comunque.
Lamenta, con il secondo motivo, violazione dell'art. 56, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 in relazione all'art. 2697 del codice civile oltre ad
omessa o insufficiente motivazione essendo stata abusivamente modificata la
destinazione degli omaggi in assenza di qualsiasi prova in tal senso fornita
dall'ufficio, nulla in atti attestando (ne' parlandone il verbale della
polizia tributaria) circa la devoluzione degli articoli in questione al
personale dipendente.
Resiste con controricorso l'Amministrazione finanziaria.

                         Motivi della decisione  

 1. Il primo motivo di ricorso e' infondato.  
 Ai sensi  dell'[art.  26,  comma  2,  del D.P.R. n. 633/1972](decodeurn?urn=urn:doctrib::DPR:1972;633_art26-com2) il cedente del  

bene od il prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l'Iva
a sensi dell'art. 19, comma 1, registrando la corrispondente variazione di
imposta quando l'operazione commerciale per la quale sia stata emessa
fattura veda ridotto il suo ammontare in conseguenza di abbuoni o sconti
commerciali contrattualmente previsti.
Due sono quindi le condizioni previste dalla legge per fruire
dell'agevolazione: a) che venga praticato dall'azienda uno sconto sul prezzo
della vendita; b) che la riduzione del corrispettivo al cliente sia il
frutto di un accordo (sia esso documentale, verbale e financo successivo non
operando la norma distinzioni di sorta).
Ora la Commissione regionale ha preso atto - con insindacabile giudizio
di fatto - che dalle fatture, dalle note di accredito e dai contratti
sottoscritti non emergeva nelle operate riduzioni la natura di sconto bensi'
solo quella di premio di fine anno come formalmente richiamato nelle
relative diciture.
Per cui - quand'anche si volesse ritenere per provata una fattispecie
negoziale sottostante comunque desunta dall'acquisita documentazione - non
vi sono elementi certi - che era onere della parte ricorrente fornire, come
sottolineato dai giudici di appello - che oggetto della pattuizione fossero
degli sconti e non un premio di fine anno - cosi' come letteralmente
indicato - che non da' diritto ad alcuna detrazione.
E' nota infatti la differenza tipologica dei due concetti.
Lo sconto e' una componente che incide direttamente sul prezzo della
merce compravenduta o del servizio scambiato riducendone l'ammontare dovuto
per le singole operazioni compiute.
Il premio di fine anno e' un contributo autonomo riconosciuto
indistintamente a fine esercizio al cliente al raggiungimento di un
determinato fatturato o comunque per incentivarlo a futuri acquisti.
E l'inequivoca terminologia adottata sul punto - in mancanza di
ulteriori dati che consentissero di ricostruire diversamente la natura del
titolo evincendola da elementi collaterali inducenti a pervenire
plausibilmente alla soluzione propugnata dal contribuente - non poteva che
far propendere per la ricorrenza di una corresponsione in funzione liberale
senza alcun collegamento causale con singole e determinate cessioni
imponibili come - con congrua e sufficiente motivazione - ha statuito la
Commissione regionale.
Fuori luogo e' poi il richiamo della societa' al principio formatosi
sull'art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 secondo cui l'Iva addebitata
in rivalsa sarebbe sempre detraibile dal cessionario nonostante l'erroneo
assoggettamento ad imposta dell'operazione da parte del cedente posto che
non rientrerebbe nei compiti del primo l'apprezzamento critico su quanto
dichiari l'emittente della fattura presupponendo l'indebita detrazione un
esercizio fraudolento del diritto da provare da parte dell'Amministrazione.
Infatti il caso in discussione non riguarda un'errata applicazione
dell'imposta da parte del terzo ma la pretesa del medesimo soggetto di
utilizzare le dazioni in funzione di quanto da lui stesso prefigurato per
ridurre l'Iva sulle proprie operazioni imponibili.
2. Anche il secondo motivo di ricorso - che si incentra sull'art. 56, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 - non merita accoglimento, spettando
chiaramente al contribuente che vanti il diritto alla detrazione la prova
dell'inerenza del materiale promozionale acquistato all'attivita' di impresa
che nella specie i verificatori prima e la Commissione dopo hanno appurato
difettare non consentendo la documentazione reperita di individuare la
destinazione degli omaggi alla clientela.
Sostiene la societa' ricorrente che agli atti di causa non vi sarebbe
mai stato alcun documento attestante la devoluzione di beni voluttuari ai
propri dipendenti come invece rilevato sulla scorta delle fatture dai
giudici di appello.
Per smentire tale valutazione di fatto sarebbe stato peraltro onere
della societa' contribuente indicare specificamente quali documenti aveva
allegato, in quale stadio processuale ed il loro contenuto asseritamente
travisato contra tabulas al fine di dar concreto spessore ai dedotti vizi
motivazionali e probatori riferiti - tra l'altro - ad un avviso di rettifica
che non puo' formare oggetto di autonoma impugnazione per profili che non
siano stati gia' delibati e sussunti dai giudici di merito contro il cui
iter logico-giuridico possono solo appuntarsi le pertinenti censure.
Le generiche enunciazioni svolte al riguardo che rendono il gravame
altresi' privo della necessaria autosufficienza vanno pertanto disattese.
3. Il ricorso va in conclusione rigettato e la societa' ricorrente
condannata a rifondere le spese del presente giudizio che si liquidano come
da dispositivo.

                                 P.Q.M.  

 La Suprema  Corte  rigetta  il  ricorso. Condanna la societa' ricorrente a  

pagare le spese del presente giudizio che liquida in euro 1.100 (di cui
1.000 per onorario) oltre accessori di legge.

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