Sentenza del 03/03/2000 n. 2390 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

                  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO  

L'ufficio delle imposte dirette di Bassano recuperava a
tassazione, nei confronti della ====== ======== s.p.a., redditi
esteri non dichiarati per 499.846 dollari U.S.A. (oltre 600
milioni di lire al cambio vigente nel 1988), che sarebbero stati
pagati, come risultava da segnalazione pervenuta dal Dipartimento
del Tesoro americano, a titolo di interest, dalla ====== =======
LTD di New York.
In risposta al questionario dell'ufficio la ====== s.p.a.
contestava di aver ricevuto nel 1988 tale somma, dichiarando di
avere riscosso, all'inizio del 1989, una somma di pari importo a
fronte di tre fatture emesse a carico della consociata americana
per forniture di preziosi.
Contro l'accertamento la societa' proponeva ricorso alla
commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, la
quale lo accoglieva, soprattutto in considerazione dell'inidoneita'
probatoria del documento posto a base dell'accertamento, privo di
sottoscrizione e d'indicazioni specifiche, e per non avere
l'ufficio fornito elementi concreti per far ritenere il pagamento
collegato a presupposti diversi da quelli affermati dalla societa'.
La decisione veniva impugnata dall'ufficio con ricorso alla
Commissione regionale del Veneto.
Successivamente, sulla base del predetto accertamento, l'ufficio
emetteva altro avviso con il quale accertava che non era stata
operata a carico della societa', e quindi versata, la ritenuta
d'acconto del 10% ex art. 27 d.P.R. n.600/73 sulle somme
recuperate a tassazione col precedente atto, per le quali doveva
presumersi la distribuzione ai soci in misura proporzionale alle
quote di partecipazione, trattandosi di s.p.a. a ristretta base
azionaria, rappresentata dai familiari del socio legale
rappresentante della societa'.
Quest'ultima impugnava tale accertamento e la commissione di primo
grado accoglieva il ricorso, annullando l'atto per difetto di
motivazione, osservando che l'ufficio non aveva fornito prova
dell'esistenza di maggiori utili in capo alla societa', nonche'
dell'effettiva distribuzione al socio di tale presunto maggior
reddito, non essendo applicabile alle societa' di capitali la
presunzione prevista dall'art.5 del d.P.R. 917/86 per le societa' di
persone.
L'appello dell'ufficio veniva respinto dalla Commissione
tributaria regionale del Veneto con sentenza 9 maggio - 6 giugno
1997, con la seguente motivazione:

  • doveva essere condivisa la motivazione dei primi giudici circa
    l'inidoneita' probatoria della comunicazione del Dipartimento del
    Tesoro U.S.A., priva di indicazioni circa la sua attribuzione ad
    un funzionario responsabile e, comunque, non confermata da altri
    elementi; la societa' aveva, inoltre, fornito la prova documentale
    circa la riferibilita' del trasferimento di somme, non alla causale
    di cui all'accertamento, ma ad una normale transazione commerciale
    avenuta nel 1989;
  • era illegittimo il ricorso alla presunzione prevista dall'art.5 del d.P.R. 917/86 per le societa' di capitali;
  • in conformita' a quanto ritenuto dalla stessa Commissione
    regionale con precedente sentenza, confermativa della decisione di
    primo grado, la quale aveva annullato gli accertamenti in capo
    alla societa' per il maggior reddito, doveva essere annullato anche
    l'accertamento concernente il mancato versamento della ritenuta
    d'acconto.
    Avverso tale sentenza il Ministero delle Finanze ha proposto
    ricorso per cassazione, sulla base di due mezzi d'annullamento.
    Resiste la ===== ===== s.p.a. con controricorso.
  1. I motivi di ricorso e le questioni svolte dalla controricorrente.
    2.1. Col primo motivo l'Amministrazione denuncia violazione e
    falsa applicazione dell'art. 39 d.P.R. n.600/73, in relazione
    all'art.26 della Convenzione tra la Repubblica italiana e gli
    Stati Uniti d'America, firmata il 17 aprile 1984 e ratificata con
    legge 11 dicembre 1985, n.763; omessa o comunque insufficiente
    motivazione su un punto decisivo della controversia; in relazione
    all'art. 360, n. 3 e 5, cod. proc. civ..
    Lamenta che erroneamente sia stata ritenuta l'inidoneita'
    probatoria del documento proveniente dal Dipartimento del Tesoro
    U.S.A. L'art.26 della Convenzione prevede che le autorita' dei due
    Stati si scambino le informazioni necessarie in materia di imposte
    sul reddito, mantenendole segrete e con possibilita' di comunicarle
    alle autorita' incaricate dell'accertamento, ovvero nel corso di
    giudizi. Stante la prevista utilizzabilita' non pare contestabile
    che tali informazioni possano avere la funzione probatoria
    stabilita dall'art.39, lett. c), del d.P.R. n.600/73, che menziona
    genericamente gli "altri atti e documenti in possesso dell'ufficio".
    Non sussiste, inoltre, che si tratti di documento anonimo,
    essendone incontrastata la provenienza.
    Quanto all'assenza di sottoscrizione, non e' possibile ritenere che
    i documenti di provenienza estera abbiano gli stessi requisiti
    formali di quelli formati in Italia.
    La ricorrente censura, inoltre, la motivazione della sentenza
    impugnata, la' dove ha ritenuto l'inesistenza di accertamenti sulla
    natura delle operazioni compiute, in quanto non avrebbe tenuto
    conto degli accertamenti bancari e della verifica compiuta sulle
    fatture e sui documenti contabili, i quali non risultavano idonei
    a giustificare l'importo riscosso.
    Del pari insufficiente sarebbe la motivazione circa le
    giustificazioni date dalla societa' sul movimento di cifra
    d'identico importo di quello in contestazione, avvenuta nel 1989.
    In proposito, l'Amministrazione rileva di avere dedotto, nel
    ricorso avverso la decisione di primo grado: a) che i pagamenti
    effettuati da una societa' ad un'altra per acquisto o vendita di
    merci non sono soggetti a ritenute da parte dello Stato italiano o
    americano; b) la segnalazione proviene dal Ministero del Tesoro
    americano ed e' indirizzata allo Schedario generale dei titoli
    azionari, dove confluiscono tutte le indicazioni circa i modelli
    RAD ed i redditi di varia classificazione percepiti all'estero,
    non certo le segnalazioni relative ad acquisto e vendita di merci;
    c) essendo la segnalazione del 1988, non possono essere addotte
    come giustificativi fatture del 1989, che oltre tutto, risultano
    pagate nel mese di marzo; d) l'importo complessivo delle fatture
    (dollari 631.276,99 ) e' diverso da quello del pagamento in
    contestazione; e) infine, la tesi della societa', secondo cui vi
    sarebbero stati degli acconti e dei saldi, non risulta in alcun
    modo dimostrata.
    Su tali rilievi la sentenza impugnata non contiene alcuna
    motivazione.
    2.2. Col secondo mezzo l'Amministrazione denuncia violazione e
    falsa applicazione dell'art.5 del d.P.R. n.917/86, nonche' omessa
    motivazione su altro punto decisivo della controversia, in
    relazione all'art.360, n.3 e n.5, cod. proc. civ..
    Secondo la ricorrente, limitandosi a rilevare l'inapplicabilita'
    alle societa' di capitali dell'art.5 del d.P.R. 917/86, la sentenza
    avrebbe adottato un sistema, non consentito, di motivazione per
    relationem nei confronti della decisione di primo grado, in quanto
    avrebbe totalmente ignorato la problematica posta dall'ufficio,
    che di seguito ripropone.
    Essendo la ====== s.p.a. a ristretta base azionaria, con
    un'organizzazione aziendale prevalentemente familiare (======
    =====, padre e socio legale rappresentante; ====== ========,
    madre; ======= =======, =======, =======, ======== e ========, soci
    e figli), trova applicazione il principio di trasparenza, tipico
    delle societa' di persone, in forza del quale i redditi prodotti
    dalla societa' vengono imputati ai soci indipendentemente dalla
    effettiva percezione. La rigorosa separazione tra la posizione
    della societa' di capitali e quella dei soci non puo', quindi,
    costituire uno schermo invalicabile, tale da sottrarre i soci
    dall'obbligo di corrispondere i tributi dovuti, quando risulti
    l'esistenza di maggiori utili percepiti extra bilancio.
    In tal caso soccorre la prova presuntiva, la quale porta a
    ritenere che gli utili sociali non contabilizzati siano entrati
    nella disponibilita' dei soci. Secondo la giurisprudenza di
    legittimita', la ristretta base familiare della societa' puo' essere
    elemento atto a far presumere che il maggior utile non
    contabilizzato sia stato distribuito ai soci.
    Incorrerebbe, infine, in difetto di motivazione il mero rinvio ad
    altra sentenza della stessa commissione regionale.
    2.4. Nel controricorso si ribadisce la validita' delle
    argomentazioni della sentenza impugnata e si deduce inoltre:
    a) anche ammessa l'esistenza della distribuzione di utili non
    contabilizzati, l'Erario non avrebbe diritto di pretendere il
    pagamento dell'imposta da parte del sostituto (la societa') in
    caso di omessa effettuazione delle ritenute d'acconto: vi sarebbe
    altrimenti duplicazione della pretesa fiscale nei confronti del
    sostituto e del sostituito. Poiche' nel caso di ritenuta d'acconto
    su redditi presunti il sostituto non e' soggetto passivo
    dell'obbligazione tributaria (che fa capo soltanto a chi dovrebbe
    subire la ritenuta) alla societa' non poteva certamente essere
    richiesto il pagamento dell'imposta.
    La violazione dell'obbligo di effettuare la ritenuta avrebbe
    comportato soltanto l'applicazione delle sanzioni amministrative
    che vi sono connesse;
    b) illegittimamente l'ufficio avrebbe irrogato, oltre alla
    sanzione per l'infedele dichiarazione dei sostituti d'imposta, le
    soprattasse indicate dagli articoli 92 e 95 del d.P.R. n.602/1973,
    rispettivamente previste per l'omesso versamento e l'omessa
    effettuazione delle ritenute da parte del sostituto d'imposta.
    Tale cumulo di sanzioni sarebbe illegittimo, come riconosciuto
    dalla giurisprudenza di legittimita' (sent. 94/10568), non essendo
    ipotizzabile una duplicazione di soprattassa a carico del
    sostituto che, non avendo operato la ritenuta, non abbia neppure
    provveduto al versamento diretto in esattoria.
    MOTIVI DELLA DECISIONE
    3.1. Il primo motivo merita accoglimento.
    Il documento che costituisce base dell'accertamento nei confronti
    della societa' non puo' essere, infatti, considerato alla stregua di
    un'informazione anonima.
    Costituisce principio ormai comunemente accettato che la
    documentazione dell'attivita' amministrativa, soprattutto quando la
    stessa consiste in certificazioni o accertamenti di fatto, o nella
    riproduzione del contenuto di altri atti, non richiede, ad
    substantiam, l'indicazione della persona fisica titolare
    dell'organo o addirittura la sottoscrizione della stessa, essendo
    sufficiente la sicura riconducibilita' del documento (e quindi
    dell'atto di cui viene riprodotto il contenuto)
    all'amministrazione (si vedano, fra le altre, le sentenze 20
    gennaio 1994, n.522; 11 ottobre 1996, n.8881; 6 marzo 1999,
    n.1923; 7 maggio 1999, n.4567).
    Nella specie non veniva neppure contestata la provenienza del
    documento dall'Amministrazione finanziaria federale U.S.A., per
    cui sussisteva il dovere del giudice di merito di prendere in
    esame e valutare la natura ed il contenuto del documento stesso,
    inviato all'Amministrazione finanziaria italiana nell'ambito dei
    rapporti di collaborazione stabiliti dall'art. 26 della
    Convenzione Italia - U.S.A. del 27 aprile 1984.
    Devesi, inoltre, osservare che, come ha esattamente rilevato la
    difesa erariale, i requisiti di validita' formale del documento
    sono stabiliti dall'ordinamento di origine.
    Pertanto, il rifiuto dei giudici di merito di valutare la natura e
    il contenuto del documento costituisce, oltre che violazione di
    legge sotto i diversi profili denunciati dall'Amministrazione
    ricorrente, anche omessa motivazione ai sensi dell'art.360, n.5,
    cod. proc. civ.
    Sono altresi' da condividere le censure circa l'omesso esame
    delle questioni svolte dall'ufficio (e riproposte nel motivo di
    ricorso) sulle ragioni che renderebbero non verosimile il
    riferimento dell'informazione del Dipartimento del Tesoro, non ad
    un trasferimento di capitali per interest nel 1988, ma a
    pagamenti di merci nel 1989.
    E' evidente che tali rilievi dovevano essere considerati nel loro
    valore indiziario nel complessivo giudizio sulla prova della
    pretesa fiscale.
    Anche sul predetto punto, quindi, la sentenza non ha adempiuto al
    dovere di motivazione, non essendo, ovviamente, sufficiente la
    mera e generica constatazione che la societa' aveva, attraverso la
    produzione di documentazione contabile " fornito giustificazione
    … circa il movimento di una cifra esattamente corrispondente a
    quella qui in esame, avvenuto nei primi mesi del 1989, a seguito
    di normale transazione commerciale" . Appare evidente come tale
    frase non spieghi in alcun modo perche' i documenti prodotti (di
    cui non viene neppure indicata la natura) forniscano la prova
    dell'assunto difensivo della societa', ne' si dia carico dei rilievi
    formulati in merito dall'ufficio.
    3.2. Anche il secondo mezzo deve essere accolto, nei limiti che
    saranno di seguito precisati.
    Una volta stabilito che la titolarita' delle azioni e
    l'organizzazione aziendale erano concentrate in una stretta
    cerchia familiare i giudici di merito non potevano escludere la
    distribuzione ai soci di utili non contabilizzati limitandosi ad
    enunciare l'inapplicabilita' dell'art.5 del d.P.R. n.917/86.
    Nel caso di societa' di capitali, pur non sussistendo - a
    differenza delle societa' di persone - una presunzione legale di
    distribuzione degli utili ai soci, viene generalmente ammesso che
    l'appartenenza della societa' ad una stretta cerchia familiare
    possa costituire, sul piano degli indizi, prova dell'avvenuta
    distribuzione.
    La correttezza logico - giuridica di tale criterio d'imputazione
    ai soci degli utili extracontabili di una societa' di capitali e'
    stata ripetutamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa
    Corte, sulla considerazione della "complicita'" che normalmente
    avvince i membri di una ristretta compagine sociale. Si vedano,
    fra le altre, le sentenze 17 febbraio 1986, n.941 e 25 maggio
    1995, n.5729.
    Pertanto la censura dell'amministrazione, mentre e' infondata per
    quanto concerne l'affermata violazione dell'art. 5 del d.P.R. 917/
    /86, la cui regola non e' suscettibile di applicazione analogica,
    deve essere accolta con riguardo all'omesso esame del valore
    indiziario della ristrettezza della base azionaria.
    3.3. L'accoglimento dei motivi di ricorso, nel senso sopra
    precisato, comporta la cassazione con rinvio della sentenza
    impugnata.
    Per quanto concerne la censure, dedotte dal resistente e
    dichiarate assorbite dalla Commissione regionale, le stesse non
    possono essere esaminate in questa sede, non costituendo ratio
    decidendi della sentenza impugnata, mentre potranno essere
    riproposte nel giudizio di rinvio.
    3.4. I giudici di rinvio dovranno quindi, uniformandosi ai
    principi di diritto sopra enunciati:
    a) esaminare il contenuto della nota trasmessa dalle autorita'
    statunitensi e allegata all'accertamento e valutarne il rilievo
    probatorio, anche in riferimento alle questioni svolte dalla
    difesa dell'Amministrazione finanziaria circa i trasferimenti di
    somme secondo le modalita' dedotte dalla societa';
    b) ad esito del predetto esame, ed in caso di confermata esistenza
    degli utili non contabilizzati di cui all'accertamento
    dell'ufficio, valutare le circostanze della ristretta base
    azionaria e della organizzazione aziendale a prevalente
    partecipazione familiare quali indizi dell'avvenuta distribuzione
    ai soci di tali utili;
    c) dare conto di tali accertamenti e valutazioni con adeguata
    motivazione;
    d) decidere sulle spese del presente giudizio di legittimita'.
    P.Q.M.
    La Corte di Cassazione;
    accoglie il ricorso; cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra
    sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto.

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