Sentenza del 24/05/2005 n. 10952 - Corte di Cassazione
Svolgimento del processo
Con tempestivo ricorso la societa' C.S.B. S.p.A. (oggi B. S.p.A.)
impugnava innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Milano
l'avviso di accertamento con il quale l'Ufficio distrettuale delle imposte
dirette rettificava la dichiarazione dei redditi per l'anno 1987, mediante
la ripresa a tassazione di vari costi ritenuti non deducibili ed il mancato
riconoscimento in compensazione di perdite pregresse.
La Commissione adita con sentenza n. 340/17/95 accoglieva solo
parzialmente il ricorso della societa' contribuente. La decisione era
impugnata tanto dall'Ufficio, quanto dalla stessa societa' contribuente: la
Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza in
epigrafe, accoglieva l'appello della societa' contribuente e rigettava
l'appello dell'Ufficio, annullando l'avviso di accertamento impugnato.
Avverso tale sentenza, con atto notificato a mezzo del servizio postale
il 25-28 marzo 1998, il Ministero dell'economia e delle finanze propone
ricorso per cassazione con sei motivi. Resiste la societa' contribuente con
controricorso notificato il 7 maggio 1998.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, l'amministrazione ricorrente denuncia l'omessa
pronuncia del giudice tributario sulla asserita eccezione dell'Ufficio circa
la supposta inammissibilita' dell'appello della societa' contribuente per
non aver questa conferito al proprio difensore l'incarico "nei modi
prescritti dall'art. 12 del decreto sul nuovo contenzioso tributario".
Il motivo non e' fondato. E' pur vero che dalla lettura della sentenza
impugnata non emerge alcun riferimento all'eccezione che l'amministrazione
afferma di aver dedotto: tuttavia, l'insegnamento di questa Suprema Corte e'
nel senso che "il mancato esame da parte del giudice di una questione
puramente processuale", come e' quella relativa alla (supposta)
inammissibilita' dell'appello, "non e' suscettibile di dar luogo a vizio di
omissione di pronuncia, questo configurandosi esclusivamente nel caso di
mancato esame di domande e/o eccezioni di merito, e non puo' assurgere,
percio', a causa autonoma di nullita' della sentenza, potendo profilarsi, al
riguardo, soltanto un vizio della decisione per violazione di norme diverse
dall'art. 112 del codice di procedura civile se, ed in quanto, si riveli
erronea e censurabile - oltre che utilmente censurata - la soluzione
implicitamente data dal detto giudice alla problematica prospettata dalla
parte" (Cass. n. 3927/2002; sul fatto che non sia viziata per omessa
pronuncia la sentenza che ometta l'esame di una eccezione rilevabile
d'ufficio, come e' quella che qui ci occupa, cfr. anche Cass. n. 8220/2002).
Pertanto, deve intendersi che l'impugnata sentenza ha implicitamente
rigettato l'eccezione che l'Ufficio afferma di aver dedotto circa il mancato
rispetto dei modi di conferimento da parte della societa' appellante
dell'incarico al proprio difensore. Tale implicita pronuncia non appare
utilmente censurata nel motivo di ricorso in esame, che, sul punto, e' del
tutto generico e non autosufficiente, nemmeno individuando, peraltro, quale
sia stata, tra le varie modalita' che la norma processuale invocata prevede
per il conferimento dell'incarico al difensore, la specifica violazione di
legge che si contesta essere avvenuta. Sicche' il motivo stesso deve essere
rigettato.
Con il secondo motivo di ricorso, l'amministrazione ricorrente denuncia
violazione dell'art. 61 del D.P.R. n. 597/1973, per aver il giudice
tributario riconosciuto la deducibilita' delle spese sopportate dalla
contribuente per il condono edilizio "sul rilievo che si tratterebbe di
spesa per rendere completamente utilizzabile un immobile che fa parte del
complesso produttivo che genera ricavi pera societa'". Ad avviso della
ricorrente, invece, quelli relativi al condono edilizio sono "oneri di
carattere sanzionatorio" privi di "quella stretta e necessaria correlazione
con i ricavi" che sarebbe richiesta dalla disposizione di cui si eccepisce
il malgoverno.
In verita' ridurre a sanzione il costo del condono edilizio sembra
frutto di una eccessiva semplificazione, dato che nella formazione di detto
costo concorrono anche oneri che non possono definirsi tout court
"sanzionatori" (ad esempio, gli oneri di urbanizzazione). In questa
prospettiva, poiche' la sentenza impugnata fa sul punto affermazioni che
sembrano frutto di un accertamento di fatto sulla "inerenza" delle spese
analizzate, il motivo di ricorso in esame si presenta generico e non
autosufficiente, non precisando quali oneri relativi al condono edilizio
siano stati oggetto della specifica analisi condotta dal giudice di merito,
ne' censurando, come, invece, sarebbe stato necessario, la soluzione
adottata dallo stesso giudice sotto il profilo del vizio di motivazione.
Sicche' anche il secondo motivo di ricorso deve essere rigettato.
Con il terzo motivo di ricorso, l'amministrazione ricorrente denuncia
violazione dell'art. 61 del D.P.R. n. 597/1973, nonche' falsa applicazione
dell'art. 71 del medesimo decreto e dell'art. 74, comma 2, del D.P.R. n.
917/1986, perche' il giudice tributario avrebbe "ritenuto interamente
deducibili le spese di rappresentanza denunciate dalla contribuente perche'
sarebbe mancata ogni attivita' istruttoria da parte dell'ufficio volta a
determinare l'esatta natura e finalita' di tali spese".
A prescindere dalla inapplicabilita' nella fattispecie della
disposizione di cui all'art. 74, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986, in quanto
destinata a regolare le dichiarazioni dei redditi di impresa per annualita'
successive a quella qui in contestazione, va rilevato che la sentenza
impugnata, in base ad un accertamento di fatto, ha qualificato le spese in
questione come spese di pubblicita' rientranti nella previsione di
deducibilita' ai sensi dell'art. 71 del D.P.R. n. 597/1973. In proposito,
ancora una volta, nessuna utile censura e' svolta nel ricorso per consentire
un sindacato di legittimita' sul percorso logico tracciato del giudice di
merito. Sicche' anche il terzo motivo di ricorso deve essere rigettato.
Con il quarto motivo di ricorso, l'amministrazione ricorrente denuncia
violazione dell'art. 68 del D.P.R. n. 597/1973, in quanto il giudice
tributario avrebbe ritenuto riferibile all'intero anno le quote di
ammortamento che invece avrebbero dovuto essere riferite solo a nove mesi,
poiche' in data primo ottobre 1987 la societa' contribuente aveva ceduto il
ramo d'azienda E.P..
La censura non e' fondata. A prescindere dalla circostanza che il motivo
in esame appare non autosufficiente - in quanto tanto la cessione del ramo
d'azienda di cui si parla nel ricorso, tanto la data nella quale tale
cessione sarebbe avvenuta, sono fatti che non emergono dalla sentenza
impugnata -, la norma di cui viene denunciato il malgoverno non rapporta
l'ammortamento delle immobilizzazioni ai mesi di possesso, bensi' fa
riferimento al "periodo d'imposta" - che e', indubbiamente, ragguagliato ad
anno - nel quale il bene e' stato utilizzato o avrebbe potuto essere
utilizzato, definendo espressamente irrilevante (con le parole "quale che
sia") il momento di tale periodo in cui l'utilizzo del bene sia iniziato (o
avrebbe potuto iniziare). Pertanto il quarto motivo di ricorso deve essere
rigettato.
Con il quinto motivo di ricorso, l'amministrazione ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 57 e 66 del D.P.R. n. 597/1973,
in quanto il giudice tributario avrebbe annullato il rilievo dell'Ufficio
relativo alla perdita su crediti, motivando che tale posizione era
improntata ad un eccessivo formalismo, mentre, ad avviso della parte
ricorrente, "non e' formalismo eccessivo, bensi' rispetto della legge
pretendere che sia portata come perdita soltanto la parte dei crediti
insoluti che supera l'importo del relativo fondo".
Il motivo non e' fondato. La sentenza impugnata afferma che, nel caso di
specie, accertato che la "perdita su crediti e' transitata dal conto
profitti e perdite", occorreva "soltanto verificare se tale perdita (fosse)
superiore al fondo accantonato nell'importo che diventa in sospensione di
imposta nei limiti ammessi per il bilancio in cui tale operazione (era)
stata effettuata": che sembra cosa non diversa da quanto afferma la parte
ricorrente nel motivo in esame, sicche' la censura proposta, almeno cosi'
come e' formulata, non sembra davvero aver ragion d'essere, non essendo
chiaro quale sia l'errore che si vorrebbe imputare al giudice di merito. Ne
consegue il rigetto del quinto motivo.
Con il sesto motivo di ricorso, l'amministrazione ricorrente denuncia
violazione degli artt. 57 e 74 del D.P.R. n. 597/1973, nonche' insufficiente
motivazione su un punto decisivo, in quanto il giudice tributario avrebbe
affermato la necessita' che l'accertamento in rettifica tenesse conto delle
perdite degli esercizi precedenti, per compensare con esse i maggiori
redditi accertati. L'amministrazione ricorrente afferma, da un lato, che il
riporto delle perdite pregresse appartiene esclusivamente alle scelte
discrezionali del contribuente e, dall'altro, che essa amministrazione aveva
precisato che, "all'epoca dell'accertamento in questione, la contribuente
aveva gia' provveduto a impiegare parte delle perdite pregresse non
utilizzata nel 1987 per compensare i redditi del 1988".
In verita' la circostanza relativa all'utilizzo delle perdite pregresse
per una compensazione dei redditi del 1988 appare manifestamente una
questione nuova, in quanto (della proposizione) di una siffatta eccezione
non vi e' traccia nella sentenza impugnata, mentre sul punto il motivo di
ricorso non e' affatto autosufficiente. Quanto alla discrezionalita' delle
scelte del contribuente, la sentenza impugnata evidenzia come nel caso di
specie l'intenzione della societa' fosse inequivoca: utilizzare (delle
perdite pregresse) "l'importo corrispondente all'utile o ripresa da
pareggiare", sicche' non poteva dubitarsi del fatto che la societa'
contribuente non intendesse "pagare imposte lasciando scorrere le perdite a
nuovo" che le evitassero un tale esborso. Sicche' anche il sesto motivo di
ricorso deve essere rigettato.
In definitiva, quindi, il ricorso deve essere rigettato, mentre
sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese della presente
fase del giudizio.
P.Q.M.
La Corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese.
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