Sentenza del 24/07/2023 n. 668 - Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche Sezione/Collegio 3

Testo

La Società "D" con sede in Ancona , alla Via A, in persona del Sig. D.V., nella sua qualità di legale rappresentante e per il tramite dell'avv.to S, con ricorso notificato a mezzo posta con raccomandata AR spedita l'11 gennaio 2016 al Comune di FM, si opponeva al diniego di rimborso della Tassa sui Rifiuti versata per gli anni dal 2010 al 2015 e ritenuta non dovuta nonché alla richiesta di detassazione per l'anno 2016 e successivi di cui alla nota n. 44266 in data 12.11.2015 del Comune di FM.

Il ricorrente deduceva: 1) la insussistenza dell'obbligo di versamento del tributo con riferimento alle aree operative ove si producevano rifiuti speciali al cui smaltimento provvedeva direttamente a proprie spese; 2) la sussistenza del diritto al rimborso della tassa versata negli anni dal 2010 al 2015 e la detassazione delle aree di che trattavasi per gli anni futuri. 3) l'eccesso e sviamento di potere. Illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione. Contrasto con l'art. 1, comma 649, della L. 147/2013 da considerarsi norma prevalente. Sussistenza, in ogni caso di indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ.

Il ricorrente deduceva che la società svolgeva l'attività di assistenza e riparazione di pneumatici per auto, moto ed altri veicoli in diverse unità locali di cui una, quella per cui era controversia, sita nel territorio del Comune di FM lungo la Statale Adriatica al n. 19/A.

Deduceva il ricorrente che in considerazione del fatto che gli pneumatici fuori uso venivano conferiti a specifici consorzi che provvedevano al loro smaltimento e al recupero e le spese relative erano sostenute direttamente dalla società ricorrente questi riteneva che le somme pagate al Comune per il servizio di smaltimento dei rifiuti, costituivano una illegittima duplicazione di costi.

Da ciò sarebbe derivato il suo diritto ad ottenere il rimborso delle somme pagate al Comune dall'anno 2010 all'anno 2015 nonché il diritto a vedersi ritenuto esente dalla tassa per gli anni futuri. All'istanza di rimborso delle somme pagate dal 2010 al 2015 il Comune opponeva il diniego, con la nota del 12.11.2015, impugnata, nel presupposto che sulla base di una precedente verifica lo stesso Comune aveva riconosciuto la esenzione per l'area adibita a lavorazione per mq. 113, confermando l'assoggettamento a tassazione delle aree destinate a deposito. Deduceva inoltre il Comune che, a decorrere dall'anno 2014 e in applicazione della Tari, le esenzioni spettavano solo in determinate e particolari condizioni. La Commissione Tributaria Provinciale di Ancona con sentenza n. 332/2017 pronunciata il 15/11/2016 e pubblicata in data 08/02/2017 ha respinto il ricorso.

Il Giudice di prime cure ha così deliberato: "Il ricorso è risultato infondato per le ragioni di seguito esposte. Il ricorrente chiede che venga riconosciuto il diritto al rimborso delle somme versate negli anni 2010-2015 a titolo di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in relazione ai locali e alle aree in cui svolge la propria attività.

Lo stesso ricorrente afferma però che la tassa sarebbe comunque dovuta per i locali adibiti ad Uffici e a servizi igienici mentre il Comune afferma che l'area adibita alla lavorazione sarebbe già stata esclusa dalla tassazione. In tale situazione deve rilevarsi la totale indeterminatezza circa le superfici tassabili e quelle ritenute esenti nonché degli importi eventualmente dovuti e quelli per i quali potrebbe disporsi il rimborso, se spettante.

Le somme di cui il ricorrente richiede il rimborso, in mancanza di una specifica dimostrazione al riguardo, devono ritenersi comprensive anche di quelle effettivamente dovute sui locali dei quali si ammette l'obbligo di corrispondere la tassa. Nel caso di specie, in sostanza, verrebbe ad essere richiesta una pronuncia sulla sussistenza o meno di un possibile generico diritto senza la concreta dimostrazione dei fatti su cui tale diritto dovrebbe fondarsi. Sotto altro profilo, l'Amministrazione Comunale ha manifestato la disponibilità a riesaminare per gli anni 2014 e seguenti le condizioni di tassabilità dei depositi connessi con le aree di produzione dei rifiuti speciali sulla base dell'art. 1 comma 649 della Legge 147/2013 recepita nell'art. 8 del Regolamento Tari adottato dal Comune. Il ricorrente, che aveva dato la disponibilità al sopralluogo a far data dal gennaio 2016, non ha prodotto in giudizio alcuna documentazione in relazione a tali accertamenti per cui, allo stato, deve ritenersi ancora pendente l'accertamento in questione con conseguente impossibilità di emettere, sul punto, alcuna decisione. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto. Le spese restano a carico della parte che le ha anticipate. P.Q.M. visti gli artt. 15 e 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, La Commissione Respinge il ricorso. Nulla per le spese".

Avverso la predetta decisione ha proposto appello la Società "D.G. S.R.L." (C.F. e partita IVA: 0000000000000) in persona del suo legale rappresentante, , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso in appello, dall'Avv. M.S. presso cui ha eletto domicilio. La società appellante nell'atto di gravame ha criticato la decisione assunta dai primi giudici rappresentando motivi di gravame che qui di seguito vengono analizzati. Ha concluso come in atti. L'appellato Comune di FM, in persona del Sindaco pro-tempore, (C.F.: 000000000000), rappresentato e difeso dal Dott. L.L., presso cui ha eletto domicilio, giusta procura in calce alla memoria di resistenza, si è regolarmente costituito in giudizio con controdeduzioni laddove ha respinto le deduzioni e richieste dell'appellante.

L'appellato ha concluso come in atti. All'udienza del giorno 11 luglio 2023, sentita la parte presente all'udienza medesima la quale ha insistito sulle proprie conclusioni scritte già depositate agli atti ed ha chiesto il rigetto dell'appello, la causa è stata trattenuta a sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte premette, in punto di decisione:

- Che il novellato art. 132 c. 1 n. 4 c.p.c., consente al giudice la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, e che \- per consolidata giurisprudenza della Cassazione- nel motivare la sentenza, secondo i dettami dell'art. 118 disp. att. C.p.c., non è tenuto ad esaminare specificatamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata;

- Che detti principi si applicano al processo tributario ai sensi dell'art. 1 c. 2 D.Lgs. 546/92;

- Che le questioni non trattate, non possono considerarsi omesse, ma semplicemente assorbite o superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudice, di cui ne ha il pieno convincimento per la decisione.

- Tanto premesso, il Collegio, letti gli atti e valutate le prove documentali prodotte in giudizio dalle rispettive parti processuali, ritiene infondate, per quanto concerne il "merito" della controversia, le motivazioni della parte appellante sicché l'appello deve essere respinto in base alle seguenti argomentazioni. La questione verte sulla lamentata mancata detassazione/rimborso, ai fini della tassa sui rifiuti, di aree che, secondo parte contribuente, sarebbero destinate alla lavorazione artigianale e sulle quali assume che si formino in prevalenza rifiuti speciali.

Viceversa, il Comune assume che, a seguito di sopralluogo effettuato, emergerebbe che gran parte delle aree aziendali sarebbero in realtà adibite a deposito di pneumatici e che, non essendo superfici adibite a deposito suscettibili di rifiuti speciali, sarebbero soggetti a tassazione.

Appare, al riguardo opportuno delineare il quadro normativo di riferimento, sia nelle fonti primarie che secondarie, quadro normativo espressamente richiamato anche da entrambe le parti processuali. La legge 147/2013 stabilisce al comma 641 dell'art. 1 che: "Il presupposto della Tari è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla Tari le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all'articolo 1117 del Codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva". Il successivo comma 649 stabilisce: "Nella determinazione della superficie assoggettabile alla Tari non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.

Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della Tari, il comune, con proprio regolamento, può prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantità che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero". Deve essere puntualizzato che l'eventuale produzione di rifiuti speciali (pericolosi o non pericolosi e quindi assimilabili) non esclude la contestuale produzione di rifiuti ordinari conferiti al pubblico servizio comunale; infatti, la presunzione di base su cui si fonda il presupposto impositivo della Tari è (ai sensi del c. 641 L. 147/2013, sopra riportato), la detenzione di "locali/aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti".

Quindi basta la mera suscettibilità (idoneità) alla produzione di rifiuti (di qualsiasi genere) per entrare nel "raggio di imponibilità Tari". Ne deriva da quanto or ora esposto che non può escludersi la tassabilità di superfici destinate a magazzini di stoccaggio, nel caso de-quo, di pneumatici. Relativamente alla questione dei rifiuti speciali, invece, già dalla disciplina di rango primario è dato evincere che sia la produzione di rifiuti speciali assimilati sia la produzione di rifiuti speciali non assimilabili, ovvero di rifiuti tossici, nocivi o pericolosi, non comporta un'automatica detassazione delle superfici, dal momento che la normativa vigente impone al contribuente precisi e specifici oneri di comunicazione/dimostrazione (di natura sia dichiarativa che probatoria), oneri atti a comprovare l'avvenuto trattamento dei rifiuti in conformità al dettato normativo in materia.

Lo stabilire le modalità con le quali i produttori devono adempiere al citato obbligo e come devono dimostrare l'avvenuto trattamento dei rifiuti e quale certificazione/attestazione il contribuente/produttore è tenuto a produrre per ottenere la detassazione delle porzioni di superficie, spetta ai comuni, nell'esercizio della propria autonomia e podestà regolamentare. All'uopo si osserva che già nel regolamento-tipo, pubblicato nel sito del Dipartimento delle Finanze e ripreso nei regolamenti comunali, per l'istituzione e l'applicazione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), sostituita dalla Tari a decorrere dal 1° gennaio 2014, al comma 5 dell'articolo 8, rubricato "Esclusione per produzione di rifiuti non conferibili al pubblico servizio", è espressamente indicato che "per fruire dell'esclusione prevista dai commi precedenti, gli interessati devono: − a) indicare nella denuncia originaria o di variazione il ramo di attività e la sua classificazione (industriale, artigianale, commerciale, di servizio, eccetera), nonché le superfici di formazione dei rifiuti o sostanze, indicandone l'uso e le tipologie di rifiuti prodotti (urbani, assimilati agli urbani, speciali, pericolosi, sostanze escluse dalla normativa sui rifiuti) distinti per codice CER; − b) comunicare entro il 30 del mese di giugno dell'anno successivo a quello di riferimento i quantitativi di rifiuti prodotti nell'anno, distinti per codici CER, allegando la documentazione attestante lo smaltimento presso imprese a ciò abilitate".

Orbene, trattasi di un iter ben definito e non di semplici e facoltativi oneri, che ha quale precipuo obiettivo quello di portare a conoscenza dell'Ente le superfici escluse dal tributo, nonché quello di verificare che lo smaltimento dei rifiuti speciali avvenga conformemente alla normativa vigente. Appare quindi, in tutta evidenza, che l'assolvimento delle suddette prescrizioni sia indispensabile per l'esclusione dalla tassazione delle superfici produttive di rifiuti speciali ed il mancato rispetto delle stesse comporta inevitabilmente la decadenza dal beneficio. Ne consegue che, per fruire dell'esenzione prevista, il contribuente deve presentare specifica denuncia delle superfici esenti onde delimitare le aree ove si producono rifiuti speciali ed al fine di consentire al comune di controllare la sussistenza delle condizione di riduzione del tributo, nonché esibire i formulari e i moduli (Modello Mud; Attestazione e fatture rilasciate dal soggetto che effettua l'attività di recupero; Copia dell'autorizzazione ai sensi di legge dell'impianto di recupero ed altra documentazione prevista dalla normativa di settore).

L'agevolazione, a pena di decadenza del beneficio, potrà essere concessa, solo a posteriori, previa verifica della documentazione presentata. In effetti, in mancanza di tale richiesta annuale, corredata da tutta la specifica documentazione tecnica, l'ufficio preposto non è tecnicamente in grado di verificare: - la categoria, la qualità e la quantità di rifiuti smaltiti e la modalità di smaltimento degli stessi, nonché le autorizzazioni delle ditte incaricate dal contribuente; - i requisiti e le condizioni per la spettanza del beneficio; - la tipologia di agevolazione da applicare (esenzione, riduzione forfettaria).

Con riferimento al caso in esame, questo Collegio osserva quanto appresso. Il ricorrente appellante sostiene che in realtà oggetto della richiesta di rimborso non erano le aree destinate a deposito bensì le aree di lavorazione che comprenderebbero l'intero compendio aziendale esclusi gli uffici e i servizi igienici e che produrrebbero in prevalenza rifiuti speciali non assimilabili agli urbani.

Tuttavia, risulta in atti, in quanto oggetto di specifico deposito, che il Comune di FM abbia effettuato apposito sopralluogo presso la società ricorrente ed abbia provveduto al riconoscimento di detassazione dell'area di lavorazione, ossia al riconoscimento di una superficie complessiva esente (riferisce il Comune con missiva del 12/11/2015 di mq. 113).

Sostiene il Comune, quale motivazione di diniego di rimborso, che "Le aree adibite a deposito non sono state considerate produttive di rifiuti speciali anche se destinate allo stoccaggio di materiale prodotto sulle aree di lavorazione, poiché su di esse non si svolge alcuna attività di lavorazione. Come ripetutamente affermato dalla Corte di Cassazione, infatti, i depositi per loro natura sono suscettibili di rifiuti derivanti dalla presenza dell'uomo" (seguono all'uopo citate alcune sentenze). Conclude il Comune che ai fini della esenzione mancano elementi probatori la cui evidenziazione/produzione è a carico del ricorrente. Orbene, osserva il Collegio che la ricostruzione concettuale e fattuale proposta dal ricorrente appellante si palesa improponibile e, quindi, non accoglibile. In primo luogo, ed in condivisione con quanto dedotto dal Comune resistente, è corretta l'affermazione allorquando afferma che "secondo i canoni della comune esperienza l'attività esercitata da controparte richiede, se non altro, anche l'uso di aree adibite a deposito" (di pneumatici smontati). In ogni caso, osserva sempre il Collegio che la suddetta ricostruzione concettuale e fattuale operata dal ricorrente non è condivisibile in quanto si "scontra" palesemente con quanto dedotto e prodotto dal Comune resistente il quale ha depositato in atti scheda di sopralluogo del 12/10/2004 ove ha descritto, quantificandone la superficie, le aree adibite alla lavorazione, quelle adibite a deposito/stoccaggio e quelle adibite a uffici e servizi igienici.

Peraltro, il Comune afferma che "la società…\� stata già verificata più volte".

Inoltre, e tale circostanza si palesa dirimente, il ricorrente non ha mai presentato all'Ente, per gli anni in questione ed entro i termini previsti dalle disposizioni in materia, tutta la documentazione prevista dalle disposizioni in materia: trattasi di documentazione necessaria nonché indispensabile al fine di attestare e comprovare l'effettivo smaltimento dei rifiuti speciali (non costituendosi quindi il diritto alla agevolazione eventualmente spettante). Pertanto, l'agevolazione non viene verificata nè applicata, tantomeno può essere riconosciuta retroattivamente ed in fase di contenzioso, per l'errato ed infondato convincimento dell'appellante, secondo cui tale agevolazione sarebbe da applicarsi all'intero sito aziendale escluse le aree destinate ad ufficio e servizi igienici. In effetti, osserva il Collegio che nella fattispecie in esame la documentazione allegata, (trattasi soltanto come riferisce parte appellante di "copia dei documenti attestanti i pagamenti eseguiti in favore dei soggetti ai quali è stato affidato lo smaltimento"), risulta alquanto parziale, incompleta e non conforme a quella specificamente richiamata dalla normativa sopra riportata (ossia necessità di deposito dei seguenti documenti: mod. Mud che contiene la denuncia annuale dei rifiuti smaltiti a cura dell'operatore economico, registro carico/scarico, fatture del soggetto che effettua lo smaltimento, relativa autorizzazione dell'impianto di recupero).

In base a quanto sopra esposto, osserva il Collegio che secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione in materia di Tarsu, ma che può estendersi, per analogia, anche alla Tares e alla Tari, per quanto attiene la quantificazione del tributo, grava sull'interessato un onere d'informazione e di prova, al fine di ottenere l'esclusione dalla superficie tassabile delle aree produttive di rifiuti speciali, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. civ. n. 9214 del 2018, Cass. Civ. n. 7647 del 2018, Cass. Civ. n. 3799 del 2018, Cass. Civ. n. 3799 del 2018, Cass. Civ. n. 21250 del 2017 e Cass. civ. n. 5377 del 2012). La stessa Corte ha altresì precisato che "il presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti ordinari solidi urbani, secondo l'art. 62, Dlgs. 15 novembre 1993 n. 507, è, invero, l'occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti e l'esenzione dalla tassazione di una parte delle aree utilizzate perché ivi si producono rifiuti speciali è subordinata all'adeguata delimitazione di tali spazi nonché alla presentazione di documentazione idonea a dimostrare le condizioni dell'esclusione o dell'esenzione; il relativo onere della prova incombe al contribuente". (Cass. civ. n. 9214 del 2018, Cass. Civ. n. 11351 del 2012, Cass. Civ. n. 17703 del 2004).

Pertanto, incombe sull'impresa contribuente, l'onere di fornire all'amministrazione comunale i dati relativi all'esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame - per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale - il principio secondo il quale l'onere della prova dei fatti costituenti fonte dell'obbligazione tributaria spetta all'amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell'interessato (oltre all'obbligo della denuncia, Dlgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l'esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile. In ordine alla sussistenza in capo ai produttori di rifiuti speciali dell'obbligo di dimostrare e delimitare le aree in cui si producono rifiuti speciali non assimilabili agli urbani, al fine di sottrarle alla tassazione, si osserva che, anche alla luce di quanto affermato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 26637 del 10 novembre 2017, la norma stessa pone come condizione, per usufruire di detta agevolazione, che i produttori innanzitutto dimostrino che il trattamento a proprie spese dei rifiuti speciali avvenga in totale conformità alle norme vigenti. In sintesi, si osserva che in ossequio alla normativa innanzi richiamata (comma 649 della Legge 147/2013), sono individuabili specifici obblighi probatori concernenti il corretto smaltimento (formulari, Mud, etc); − nonché obblighi dichiarativi consistenti in apposita richiesta con individuazione e delimitazione della superficie interessate.

Orbene, in base a quanto innanzi argomentato il ricorrente risulta estremamente carente sotto il profilo della prova dell'avvenuta gestione di rifiuti speciali non avendo ottemperato dal punto di vista documentale/ probatorio a quanto richiesto dalle disposizioni in materia. Ai fini di mera completezza espositiva evidenzia altresì il Collegio che relativamente alla tassabilità dei magazzini/depositi, oramai, come acclarato da consolidata giurisprudenza, gli stessi sono da addurre a tassazione. Infatti, la Suprema Corte, ha chiarito che l'esenzione o la riduzione delle superfici tassabili deve essere limitata a quell'area su cui è realizzata l'attività produttiva vera e propria, perché solo in essa si possono produrre rifiuti speciali.

Negli altri locali destinati ad attività diverse, tra cui certamente rientrano i depositi di prodotti, i rifiuti devono considerarsi urbani, salvo che non siano classificati come rifiuti tossici o nocivi, e la relativa superficie tassabile. L'esonero dal pagamento della Tarsu/Tia/Tares/Tari, secondo la Corte, sarebbe legittimato esclusivamente dall'impossibilità di produrre rifiuti, mentre la funzione di magazzino, deposito o ricovero è invece una funzione operativa generica e come tale non rientra nella previsione legislativa. Sul punto la sentenza n. 22130/2017 della Corte di Cassazione ha precisato che: "Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la esenzione o riduzione delle superfici tassabili deve intendersi limitata a quella parte di esse su cui insiste l'opificio vero e proprio, perché solo in tali locali possono formarsi rifiuti speciali, per le specifiche caratteristiche strutturali relative allo svolgimento dell'attività produttiva, mentre in tutti gli altri locali destinati ad attività diverse, i rifiuti devono considerarsi urbani per esclusione, salvo che non siano classificati rifiuti tossici o nocivi, e la superficie di tali locali va ricompresa per interno nell'ambito della superficie tassabile (uffici, depositi, servizi ecc.), inoltre tale classificazione costituisce accertamento di fatto, riservato al giudice del merito" (Cass. n. 26725 del 2016).

Con successiva sentenza (Cass. civ. del 10 novembre 2017 n. 26637), i Giudici di legittimità hanno evidenziato che i residui prodotti in un magazzino o in un deposito non possono essere considerati residui del ciclo di lavorazione. Per concludere sul punto, oramai è pacifico che, nello specifico, i magazzini di prodotti (come nel caso di specie) non possono in alcun modo beneficiare di esclusione o riduzione dell'imposta. In definitiva, il ricorrente chiede la detassazione per rifiuti speciali senza adempiere agli oneri/obblighi all'uopo richiamati nella superiore premessa, ossia senza dimostrare esaustivamente le quantità e tipologie dei rifiuti speciali prodotti e le modalità di gestione degli stessi.

Di certo l'onere della prova ricade sul contribuente/ricorrente, il quale poteva anche impugnare le delibere regolamentari de quibus, ovvero avvalersi di una perizia tecnica a confutazione del rapporto dei tecnici comunali che hanno effettuato il sopralluogo nell'azienda.

Ne deriva che in mancanza di prova certa ed incontestabile la Corte non può che ritenere infondata la domanda dell'appellante non potendo, tra l'altro, disapplicare i regolamenti comunali ritenuti illegittimi dall'appellante, solo su considerazioni esposte in questa sede da quest'ultimo. Diretta conseguenza di quanto innanzi esposto è che gli assunti addotti dall'Appellante nei propri scritti difensivi non sono condivisibili.

In conclusione, l'appello merita di essere respinto e la sentenza di primo grado deve essere confermata. Restano assorbite le altre questioni, argomentazioni ed eccezioni, le quali vengono ritenute non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonee a sostenere una conclusione di tipo diverso. La particolare complessità della materia di causa, che è stata anche oggetto di plurimi interventi normativi, giustifica la integrale compensazione delle spese di causa.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado delle Marche respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la impugnata sentenza. Spese compensate

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