Sentenza del 30/12/2004 n. 24235 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

                                Fatto  

 La R===  S.p.A.,  quale  proprietaria di un complesso immobiliare, sito in  

Milano, composto di due piani entro terra e dodici piani fuori terra con
sovrastante piattaforma ad uso eliporto, con istanze del 2 dicembre 1997 e
del 29 aprile 1998 dirette al Comune di Milano, chiedeva il rimborso
dell'Ici versata per il 1994. La societa' istante affermava di aver
liquidato l'imposta, relativa agli immobili venduti alla L=== S.p.A. in data
3 giugno 1994, per la frazione di anno di propria pertinenza, sulla base del
costo contabile dell'immobile, come previsto dall'art. 7, D.Lgs. (recte:,
D.L., n.d.r.) 11 luglio 1992, n. 333. La R. fondava la domanda sul fatto
che, nel febbraio 1998, era stato notificato il provvedimento dell'Ufficio
del Territorio di Milano che, in sede di attribuzione definitiva, aveva
modificato la rendita catastale, con la conseguenza che, moltiplicando tale
rendita per il coefficiente 50 e determinando cosi' la base imponibile in L.
34.064.000.000, l'imposta dovuta sarebbe di L. 70.967.000, da cui
conseguirebbe il diritto al rimborso di L.\u00C3\u008893.393.000, pari alla differenza
tra L. 164.362.000 versate e L.\u00C3\u008870.967.000 dovute.
Formatosi il silenzio-rifiuto, la R=== proponeva opposizione, chiedendo
il riconoscimneto del diritto al rimborso di detta somma, con gli interessi
dalla data del pagamento.
Il Comune di Milano si costituiva e resisteva al ricorso; eccepiva la
prescrizione del diritto al rimborso; nel merito, contestava l'esistenza di
tale diritto, in quanto il D.Lgs. n. 504/1992 istitutivo dell'Ici non
prevedeva che l'attribuzione della rendita catastale, successivamente al
pagamento dell'imposta, avesse natura dichiarativa, tale da retroagire,
comportando il diritto al rimborso; invocava, a sostegno del proprio
assunto, la Risoluzione Ministeriale n. 27/E del 9 aprile 1998.
Contemporaneamente, la L=== S.p.A. presentava al Comune di Milano
istanze rivolte ad ottenere il rimborso dell'Ici versata, per lo stesso
immobile, rispettivamente per gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997. La societa'
affermava di aver liquidato l'imposta sulla base del costo contabile
dell'immobile, previsto dall'art. 5, D.L. 11 luglio 1992, n. 333 e fondava,
ancora, le domande sul fatto che, nel febbraio 1998, era stato notificato il
menzionato provvedimento dell'Ufficio del Territorio di Milano, che aveva
modificato la rendita catastale, con la conseguenza che l'imposta dovuta era
sensibilmente inferiore a quella versata.
Formatosi il silenzio-rifiuto, la L=== proponeva opposizioni, chiedendo
il riconoscimento del diritto al rimborso, con gli interessi dalla data di
pagamento.
Il Comune di Milano si costituiva e resisteva ai ricorsi; eccepiva,
anche in questa sede, la prescrizione del diritto al rimborso; nel merito,
contestava la esistenza di tale diritto, per le medesime ragioni svolte
nelle difese avverso detto ricorso proposto dalla R===.
Previa riunione dei due ricorsi proposti dalla L===, la Commissione
tributaria provinciale di Milano, con la sentenza n. 357 del 17 gennaio
2001, disattendeva l'eccezione di prescrizione formulata dal Comune di
Milano ed accoglieva le domande nel merito, motivando che l'art. 11 D.Lgs. n. 504/1992 prevedeva che il Comune deve procedere alla riliquidazione
dell'imposta, a favore o a danno del contribuente, in tutti i casi di
definitiva attribuzione di una rendita diversa da quella che e' stata posta
a base della liquidazione provvisoria.
Analoga decisione veniva adottata dalla stessa Commissione, con la
sentenza n. 358 in pari data.
Avverso entrambe le decisioni proponeva gravame il Comune di Milano, che
riproponeva le medesime argomentazioni svolte in primo grado.
Si costituiva la R===, eccependo in entrambe le controversie
l'inammissibilita' dell'appello per indeterminatezza ed erroneita' della
domanda ed insistendo, in via subordinata nel merito, sugli argomenti svolti
in prime cure.
La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in epigrafe, previa
riunione dei due procedimenti, confermava le due decisioni impugnate. Veniva
cosi' motivato: non sussisteva l'erroneita' della domanda, in quanto era
evidente l'errore materiale in cui era incorso il Comune appellante nel
richiedere il rigetto del proprio appello; non ricorreva l'inammissibilita'
dell'appello per indeterminatezza della domanda del Comune, perche' negli
atti di appello vi era una effettiva censura delle sentenze impugnate;
l'eccezione di prescrizione, sollevata dal Comune in primo grado, era
infondata, perche', secondo il principio sancito dall'art.\u00C3\u00882935 del codice civile, la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto puo'
essere fatto valere e, nella specie, era stato documentato che la notifica
del provvedimento, in forza del quale era sorto il diritto al rimborso, era
avvenuta il 12 febbraio 1998; la pretesa avanzata dalle due societa' era
fondata alla luce dell'art. 11 D.Lgs. n.\u00C3\u0088504/1992 che prevede che il Comune
proceda alla riliquidazione dell'imposta, a favore o a danno del
contribuente, in tutti i casi di attribuzione definitiva di una rendita
diversa da quella che era stata posta a base della liquidazione provvisoria;
d'altra parte, costituirebbe una ingiustificata ed illogica discriminazione
non consentire una rettifica a favore del contribuente, del valore
imponibile dell'immobile, per il quale ha precedentemente versato il tributo
secondo criteri di calcolo imposti dalle lungaggini dell'amministrazione
nell'attribuzione della rendita definitiva; risultando il fabbricato de quo
iscritto in catasto fin dal 1990 sia pure senza rendita, non era applicabile
il comma 3 dell'art. 5 D.Lgs. n. 504/1992, bensi' il comma 4 che si
riferisce ad altri fabbricati soggetti a variazione; non vi era motivo per
ritenere che il legislatore abbia inteso far gravare sul contribuente i
ritardi dell'amministrazione nella attribuzione della rendita catastale
definitiva, con la conseguenza che immobili di uguale valore, ma di diversa
rendita catastale definitiva, finirebbero per essere tassati, per il
medesimo periodo di imposta, in misura disuguale, creandosi una disparita'
di trattamento tra i contribuenti, priva di qualsiasi giustificazione logica.
Per la cassazione di questa decisione il Comune di Milano ha proposto
ricorso, notificato il 20 giugno 2003, con l'articolazione di tre motivi ed
ha depositato ulteriore memoria.
La L=== ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, notificato
il 29 luglio 2003. E' stata depositata ulteriore memoria nell'interesse di
entrambe le societa'.
Il Comune di Milano ha proposto controricorso ai ricorsi incidentali,
notificato il 22 ottobre 2003.

                                  Diritto  

 1. Preliminarmente,  i  ricorsi  devono essere riuniti d'ufficio, ai sensi  

degli artt. 62, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 e 335 del codice di procedura
civile, in quanto proposti contro la stessa sentenza, stanti evidenti
ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva.
2. Con il primo mezzo il Comune ricorrente ha rilevato la violazione e
falsa applicazione dell'art. 5, commi 3 e 4, e dell'art. 11, comma 1, D.Lgs. n.\u00C3\u0088504/1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), del codice di
procedura civile. Si deduce, specificamente, che la legge istitutiva
dell'Ici dispone all'art. 5, comma 1, che la base imponibile dell'imposta e'
il valore degli immobile ed ai commi 2, 3 e 4 prevede criteri differenti per
la determinazione della base imponibile degli immobili stessi; il caso che
ci occupa riguarda un immobile classificabile e successivamente classificato
nella categoria D, a destinazione industriale, strumentale all'attivita'
aziendale, interamente posseduto dall'azienda e distintamente
contabilizzato, privo di rendita; questa fattispecie e' puntualmente
disciplinata dal comma 3 dell'art. 5 D.Lgs. n. 504/1992 e non dal comma 4,
che regola una ipotesi diversa, espressamente ritenuta non compresa
nell'ipotesi precedente; per gli immobili di cui al gruppo D, il criterio di
determinazione del valore sulla base dei costi contabili e' inderogabile e
vincolante e deve essere applicato fino alla fine dell'anno di imposizione
nel corso del quale viene attribuita la rendita catastale oppure viene
annotata negli atti catastali la rendita "proposta" a seguito della prevista
procedura; per fabbricati "non iscritti in catasto" devono logicamente
intendersi sia i nuovi fabbricati non ancora iscritti, sia quelli che, pur
censiti, non hanno ancora avuto assegnata la rendita catastale; per tali
immobili il valore, determinato in base a dichiarazione della stessa
societa', corrisponde al valore contabile in maniera coerente con il sistema
fiscale societario ed, in particolare, con il valore dichiarato ai fini
dell'Iva e della procedura di ammortamento; in assenza di determinazione di
rendita catastale, tale valore rappresenta l'unico parametro certo, valido,
efficace e definitivo ai fini dell'Ici; in ogni caso, la norma di cui al
comma 3 dell'art. 5 e' imperativa e cogente e non puo' essere disapplicata
nemmeno sulla base di una inesistente disparita' di trattamento.
Con il secondo motivo e' stata dedotta la violazione e falsa
applicazione dell'art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 504/1992 e dell'art. 74, commi
1 e 2, L. n. 342/2000, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), del codice
di procedura civile. In particolare, viene rilevato che: la voluntas legis
non era affatto quella individuata dal giudice d'appello, in quanto il
legislatore, al fine di uniformare la disciplina al medesimo principio,
aveva fatto prevalere quello dell'efficacia costitutiva dell'attribuzione
della rendita gia' esistente per le ipotesi di cui al comma 3 dell'art. 5,
non modificato, estendendolo, in materia di Ici, a tutte le ipotesi previste
dall'art.5; inoltre, la norma del comma 2 dell'art. 74 disponeva che non si
fa luogo in alcun caso al rimborso di importi comunque pagati, per cui con
questa norma di chiusura la legge ha definito le posizioni pendenti in
relazione all'attribuzione della rendita catastale, escludendo il diritto al
rimborso anche nelle ipotesi in cui questo fosse dovuto.
Con la terza doglianza e' stata eccepita la parziale nullita' della
sentenza o del procedimento in ordine all'acconto dell'imposta per l'anno
1994, la violazione e falsa applicazione dell'art. 13, comma 1, D.Lgs. n.\u00C3\u0088504/1992 e dell'art. 2935 del codice civile, in relazione all'art. 360,
comma 1, nn. 3 e 4, del codice di procedura civile; nonche' la violazione e
falsa applicazione dell'art. 14 D.Lgs. n. 504/1992, in relazione
all'art.\u00C3\u0088360, comma 1, nn. 3 e 4, del codice di procedura civile.
Specificamente, viene articolato che: la domanda di rimborso per l'acconto
1994 era improcedibile perche' l'art. 13 D.Lgs. n. 504/1992 prescrive che il
diritto al rimborso debba essere richiesto nel termine di tre anni dal
pagamento, termine da intendersi come termine di decadenza e non di
prescrizione; la previsione alternativa della decorrenza da quando sia
definitivamente accertato il diritto non riguarda la conclusione di un
procedimento amministrativo di attribuzione della rendita catastale, bensi'
la conclusione di un procedimento di tipo giudiziale che disponga il
rimborso; conseguiva la nullita' della decisione impugnata nella parte in
cui aveva disposto il rimborso delle somme versate a titolo di acconto per
l'anno 1994 dalla R. e dalla L===, non solo per l'insussistenza del diritto
al rimborso, ma altresi' per decadenza dall'azione relativa a tali
pagamenti; l'avere disposto il pagamento degli interessi dalla data di
pagamento e non dalla data della domanda di rimborso violava le disposizioni
di cui agli artt. 13 e 14 D.Lgs. n. 504/1992 che devono intendersi nel senso
che gli interessi decorrono dalla data della domanda di rimborso.
3. La L===, oltre a contrastare il ricorso, in via di ricorso
incidentale evidenziava che: nell'atto di appello del Comune di Milano non
compaiono i motivi del gravame della sentenza impugnata, ma vengono
riproposte le argomentazioni svolte davanti alla Commissione tributaria
provinciale, per cui non esisteva una valida domanda rivolta al giudice di
appello, salvo quella errata di "respingere il gravame"; quindi,
l'indeterminatezza della domanda e dei motivi di gravame rendevano l'appello
improcedibile, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione tributaria
regionale.
4. Il Comune di Milano, con il controricorso ai ricorsi incidentali,
replicava in ordine alla dedotta improcedibilita' dell'appello, assumendo la
inammissibilita' e la infondatezza dei ricorsi incidentali. Precisava, al
riguardo, che e' consolidato il principio secondo cui il giudice di merito
non e' condizionato dalla formula adottata dalla parte, ma ha il
potere-dovere di interpretare e qualificare la domanda, accertando e
valutando il contenuto sostanziale della pretesa; a questo principio si era
attenuto il giudice di appello, allorche' aveva evidenziato che l'erroneita'
delle conclusioni derivavano da un mero errore materiale, facilmente
riconoscibile; inoltre, l'interpretazione della domanda si risolveva in un
giudizio di fatto, riservato al giudice di merito; da tanto derivava
l'inammissibilita' del ricorso per cassazione in cui, senza prospettare vizi
motivazionali, si censurava l'errore che sarebbe stato compiuto dal giudice
di merito in tale operazione ermeneutica.
5. Il ricorso del Comune deve ritenersi fondato in relazione alle
doglianze formulate con precipuo riferimento alla errata esegesi della
normativa di riferimento.
Attesa la natura speciale della disciplina si impone un'interpretazione
letterale delle disposizioni richiamate ed, in particolare, dell'art. 5 D.Lgs. n. 504/1992.
Questa norma, dopo aver ancorato la base imponibile dell'Ici al "valore"
dell'immobile (comma 1) - il cui presupposto e', nella specie, il possesso
del fabbricato de quo (art. 1, comma 2) - passa alla specifica
individuazione di detto "valore": rispettivamente, il "valore catastale"
(comma 2) ed il "valore contabilizzato" (comma 3).
In particolare, al comma 2, si prevede che per i fabbricati iscritti in
catasto il valore (catastale) "e' costituito da quello che risulta
applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1
gennaio dell'anno di imposizione" i "moltiplicatori", nel medesimo contesto
dettagliatamente specificati.
Ai sensi del comma 3, il valore "contabilizzato" per gli immobili del
gruppo D - come, appunto, quello in oggetto, avente una destinazione
industriale, strumentale all'attivita' aziendale - viene cosi' testualmente
individuato "Per i fabbricati classificabili nel gruppo D, non iscritti in
catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati,
fino all'anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione
di rendita, il valore e' determinato alla data di inizio di ciascun anno
solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione" secondo i criteri
specificamente richiamati e con l'applicazione dei coefficienti
contestualmente determinati per ogni anno, a partire dal 1993.
Quella da ultimo esaminata e' la norma che - anche in ragione della sua
specialita' ulteriore - si attaglia al caso che ci occupa.
Infatti, il successivo comma 4 individua, invece, un criterio
"parametrico" ("il valore e' determinato con riferimento alla rendita dei
fabbricati similari gia' iscritti") riferito a situazioni, che non
interessano ai fini della presente decisione, atteso che l'immobile de quo
e' classificabile nel gruppo catastale D, categoria disciplinata in modo
speciale e cogente dai riportato comma 3.
Pertanto, va opportunamente sottolineato che fondata, quindi, risulta la
tesi del Comune, allorche' insiste nel sostenere che la specie in esame e'
puntualmente disciplinata dal comma 3 dell'art. 5 e non dal comma 4, che
regola un'ipotesi diversa, che non puo' farsi rientrare nella precedente.
La formulazione delle richiamate disposizioni non offre argomenti per
attribuire al provvedimento di attribuzione di rendita la natura
dichiarativa e, quindi, la efficacia retroattiva.
6. In fase di esegesi applicativa dell'esaminato comma 3, va
puntualizzato che il criterio del "valore contabilizzato" era operante fino
all'anno nel quale il fabbricato, classificabile e,- poi, effettivamente,
classificato nel gruppo catastale D (fatto questo pacifico in causa), non
venne iscritto in catasto con attribuzione di rendita, in quanto cio' che
rileva ai fini del regime fiscale Ici applicabile e', non la semplice
iscrizione in catasto, bensi' l'iscrizione con attribuzione di rendita. A
seguito dell'emissione di questo provvedimento, avente chiara natura
costitutiva (come sostenuto dal Comune), si rende pienamente operante il
criterio del "valore catastale", essendo irrilevante che l'immobile fosse
gia' censito in catasto.
In sintesi, non potendo l'attribuzione di rendita retroagire, il
provvedimento di attribuzione aveva efficacia dalla data di notifica,
intervenuta il 12 febbraio 1998.
Per i precedenti anni in contestazione operava il criterio del "valore
contabilizzato" (fissato sulla base dei costi contabili) per i periodi di
imposta di rispettiva competenza della R=== S.p.A. (atto di vendita del 3
giugno 1994) e della L===.
Tale criterio, inderogabile e vincolante, doveva essere applicato fino
all'anno di imposizione, nel corso del quale si era provveduto alla
attribuzione della rendita catastale da parte dell'Ufficio del Territorio.
7. Il prospettato accoglimento consente di ritenere assorbite tutte le
altre questioni, da delibare solo se fosse stato riconosciuto il diritto al
rimborso in favore delle societa' istanti (decorrenza del termine triennale;
decorrenza degli interessi; operativita' della preclusione al rimborso ex
art. 74, commi 1 e 2, L. 21 novembre 2000, n. 342).
8. Il ricorso incidentale della L===, attinente alla improcedibilita'
dell'appello, deve essere disatteso.
Come correttamente motivato nella impugnata decisione della Commissione
Tributaria Regionale - nell'ottica di una razionale interpretazione del
contenuto sostanziale della domanda, certamente devoluta al giudice di
merito - la richiesta conclusiva ("In principalita', la reiezione del
gravame") non poteva che ascriversi a mero errore materiale. Tenuto conto
delle argomentazioni svolte nell'atto - tutte di censura dell'esegesi
seguita dalla Commissione tributaria provinciale - non aveva senso logico la
richiesta di rigetto del proprio gravame.
Inoltre, non ricorre una ipotesi di indeterminatezza della domanda. In
particolare, nel ricorso in appello veniva dedotto specificamente che
"l'impostazione adottata dai giudici della Commissione tributaria
provinciale di Milano nella sentenza impugnata e' inficiata ab origine…".
E tutte le argomentazioni giuridiche venivano svolte per sostenere
l'erroneita' della interpretazione contestata.
Orbene, la valutazione circa la necessaria specificita' dei motivi di
appello non puo' essere astratta, ma deve essere concretamente correlata con
la motivazione della sentenza gravata. E tale specificita' sussiste quando
alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengono contrapposte
quelle dell'appellante in modo da contestare il fondamento logico-giuridico
delle prime. Non e', quindi, necessario l'esame dei singoli passaggi della
motivazione ove l'appellante, pur non procedendo all'esplicito esame dei
passaggi argomentativi della sentenza, svolga il motivo di appello in modo
incompatibile con la complessiva argomentazione della decisione (Cass., Sez.
tributaria, 23 ottobre 2003, n. 15936).
9. Per le ragioni svolte il ricorso principale del Comune di Milano deve
essere accolto.
Il ricorso incidentale della L=== deve essere disatteso.
Conseguentemente, l'impugnata decisione deve essere annullata con rinvio
ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.
Il giudice di rinvio - che provvedera' anche in ordine alle spese della
presente fase di legittimita' - si atterra' al seguente principio di diritto:
"Ai fini Ici, per gli immobili classificabili e successivamente classificati
nel gruppo catastale D (a destinazione industriale, strumentale
all'attivita' aziendale, posseduto dall'azienda e distintamente
contabilizzato, coerentemente al sistema fiscale societario) e' operante il
criterio di determinazione del valore sulla base dei costi contabili
("valore contabilizzato") fino all'anno di imposizione in cui viene
provveduto alla formale attribuzione di rendita, per cui si rende operante,
a decorrere da tale epoca, il criterio del valore "catastale", parametro
unico ed inderogabile con efficacia costitutiva, non retroattiva".

                                   P.Q.M.  

 La corte riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso 17048/03.  

Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata. Rinvia, anche
per le spese del presente grado, ad altra Sezione della Commissione
tributaria regionale della Lombardia.

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