Sentenza del 18/12/2006 n. 27095 - Corte di Cassazione

Testo

                                Fatto  

 L'Ispettorato compartimentale  imposte  dirette  di  Venezia sottoponeva a  

verifica fiscale la societa' Z. S.p.a. e, in data 30 dicembre 1993, le
notificava il relativo verbale di constatazione.
Sulla base di tale atto l'Ufficio imposte dirette di Badia Polesine
notificava avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 1992 con il
quale elevava il reddito dichiarato da lire 211.300.000 a lire 456.306.000
ai fini Irpeg ed Ilor.
Avverso tale accertamento la societa' adiva la Commissione tributaria
provinciale di Rovigo che accoglieva il ricorso, mentre la Commissione
tributaria regionale del Veneto, su gravame dell'ufficio, modificava
parzialmente la sentenza di primo grado.
Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione la societa',
impugnando quelle parti della sentenza che avevano riformato la sentenza di
primo grado. Resistono con controricorso il Ministero dell'economia e delle
finanze e l'Agenzia delle Entrate. La societa' ha anche presentato memoria
ex art. 287 del codice di procedura civile.

                                Diritto  

 Con il   primo   motivo   la  societa'  denuncia  la  violazione  e  falsa  

applicazione degli artt. 62 e 75 del D.P.R. n. 917/1986 in relazione alla
ripresa indicata con il rilievo 2g), relativo alla non riconosciuta
deduzione delle spese di viaggio sostenute dalla societa' sia per alcuni
dipendenti che per persone estranee alla struttura societaria. Lamenta
inoltre anche l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul
punto.
Sostanzialmente la societa' si duole del fatto che la Commissione
tributaria regionale abbia ritenuto necessaria per la deduzione di tali
spese sostenute per viaggi dei dipendenti l'esistenza di preventiva lettera
di incarico, non sussistente nella specie, quando tale documento non e'
richiesto da nessuna norma in modo specifico, e senza tenere in nessun conto
l'eventuale riscontro dell'inerenza e sussistenza di dette spese da altra
idonea documentazione, valenza probatoria, peraltro, successivamente
riconosciuta anche dall'Amministrazione finanziaria con la circolare n.
188/E del 16 luglio 1998, punto n. 7. Quanto ai costi sostenuti per viaggi
di altro personale finalizzati alla penetrazione commerciale all'estero ed
in particolare in Giappone, sostiene che la sentenza anziche' ispirarsi ad
una visione di maggior larghezza rispetto al precedente sistema e piu'
aderente alle nuove esigenze si sia limitata ad argomentare la non
deducibilita' di tali costi solo sulla base del fatto che i fruitori non
erano iscritti nel libro matricola o che comunque non facevano parte della
societa'.
Con la seconda censura la societa' lamenta la violazione e falsa
applicazione dell'art. 2389 del codice civile e del combinato disposto di
cui agli artt. 95 e 62 del D.P.R. n. 917/1986, nonche' l'omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto 2i) per avere la
Commissione tributaria regionale ritenuto non deducibile il costo di lire
6.000.000 per compenso agli amministratori, sostenendo che tale spesa, anche
se contenuta nell'ordine del giorno, non era stata deliberata
dall'assemblea, in quanto non riportata nel riepilogo finale del verbale
assembleare.
Sostiene la societa' che tale spesa era stata regolarmente deliberata e
verbalizzata, anche se per mero errore non era stata riportata in chiusura
di verbale; ne' peraltro da alcuna norma e' dato dedurre l'obbligatorieta'
di tale formalita', richiedendo il dettato dell'art. 2389 unicamente che dal
verbale dell'assemblea risultino le deliberazioni prese senza richiedere che
siano necessariamente riportate nel riepilogo finale, eventualmente
rideliberato o che siano convalidate da una successiva assemblea.
Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli
artt. 41 e 42 del D.P.R. n. 917/1986 e dei principi riguardanti la
deducibilita' delle spese relative alle autovetture sociali, nonche' difetto
di motivazione e di prova in ordine al non uso delle stesse per attivita'
estranee a quella sociale.
Sostiene la societa' che e' insufficiente la motivazione addotta dalla
Commissione tributaria regionale che ha ritenuto l'indeducibilita' di tali
costi relativi all'uso di cinque autovetture sulla base del solo numero
degli amministratori, quattro, senza valutare il fatto che oltre ad essi la
compagine sociale era composta anche da piu' di trenta dipendenti, ne'
peraltro aveva rilevato che l'eventuale uso extraziendale delle stesse
avrebbe dovuto essere provato dall'Amministrazione finanziaria.
Con l'ultima, piu' articolata, censura la societa' lamenta, oltre alla
contraddittorieta' della motivazione, che l'iniziale iscrizione nel
"conto/Partecipazioni" della somma di lire 57.035.329 poi stornata nel corso
dell'anno e girata nel "conto Finanziamenti collegata" sia stato
interpretata dall'ufficio imposte dirette e dalla Commissione tributaria
regionale come una cessione in nero di quote di partecipazione alla societa'
collegata D.P., anziche' di un finanziamento a tasso agevolato (8 per cento
anziche' 17 per cento). Tale iscrizione, sostiene parte ricorrente, era un
mero errore contabile corretto nei mesi successivi mediante la successiva
iscrizione nel "Conto finanziamenti collegata", ed era rilevabile dall'esame
dei documenti allegati al processo verbale di constatazione e prodotti
dall'ufficio in giudizio anche se non legati ne' numerati e percio' di
difficile interpretazione.
Sostiene la societa' che l'Amministrazione finanziaria non puo'
pretendere la prova di un fatto negativo (non cessione), ma che compete,
invece, alla stessa l'onere della prova trattandosi di una componente
positiva di reddito.
Peraltro, riferisce parte ricorrente, i verificatori avevano esattamente
interpretato detto movimento contabile, a differenza dell'ufficio che aveva
emesso l'avviso di accertamento, rilevando soltanto la differenza di tasso
di interesse tra quello richiesto alla collegata (8 per cento) e quello
corrente (17 per cento) e recuperando tale differenza quale reddito per la
societa' verificata; mentre l'ufficio pretendeva non solo di conservare
detta ripresa, ma a questa di aggiungere anche la supposta cessione in nero
anziche', come logica contabile suggerirebbe, optare per l'una o l'altra
soluzione.
Il ricorso e' fondato e merita di essere accolto.
Come giustamente lamentato da parte ricorrente, la Commissione
tributaria regionale ha fondato la propria decisione sul punto sottoposto a
gravame con il primo motivo sopra ricordato, recependo la tesi avanzata
dall'ufficio, affermando che solo una specifica lettera d'incarico poteva
essere considerata prova idonea per l'accertamento dell'inerenza o della
riferibilita' delle spese di viaggio, omettendo completamente di considerare
che tali requisiti, specialmente nel caso di viaggi fatti da dipendenti
della stessa societa', potevano essere rilevati anche da altra
documentazione, assolutamente non presa in considerazione dalla Commissione,
pur in assenza di una qualunque norma che statuisse l'obbligatorieta' della
previa lettera di incarico, ed in contraddizione con la corretta
interpretazione della norma di riferimento, interpretazione risultante anche
dalla giurisprudenza richiamata in ricorso.
Piu' delicata appare la questione relativa alla pretesa deducibilita'
delle spese di viaggio fatte da persone estranee alla compagine societaria
ed in particolare delle trasferte compiute in Giappone. Anche per queste,
pur se provate da documentazione contabile (biglietti aerei, fatture di
albergo eccetera) la prova dell'inerenza o della riferibilita' ad una
societa' che opera nel campo del commercio di articoli dentali poteva e
doveva essere accertata attraverso l'esame globale della contabilita',
accertando, in particolare, tra l'altro, se la societa' aveva partecipato ad
incontri commerciali, meeting espositivi e pubblicitari o, se a seguito di
tali viaggi, la societa' aveva intrapreso dei rapporti commerciali con ditte
di quello Stato. Solo in completa assenza di tali elementi la Commissione
avrebbe dovuto escludere la riferibilita' di tali costi all'attivita'
d'impresa. Tali indagini non risulta dalla lettura della sentenza che siano
state compiute.
Anche la seconda censura, relativa alla negata detrazione del compenso
degli amministratori, e' fondata.
La sentenza da' atto che la delibera dell'assemblea della societa' del
14 febbraio 1992 aveva approvato e deliberato il compenso di lire 6.000.000
per anno al consigliere, confermata in parte qua dalla trascrizione del
passo della delibera contenuta nel ricorso, ma, poi, per il solo fatto che
detta deliberazione non era stata riportata nel riepilogo finale del
verbale, esclude la legittimita' della detrazione con un ragionamento
formalistico che non puo' essere condiviso in quanto attribuisce un rilievo
decisivo ad un mero dato formale in palese violazione dell'art. 2389 del codice civile che non lo richiede.
Il terzo motivo relativo alle spese per le auto aziendali e' anche esso
da accogliere.
L'esclusione di dette spese risulta motivata in sentenza soltanto con la
comparazione tra il numero di quest'ultime (5) e quello dei soci (4),
criterio contrario alla logica comune, tenuto anche conto che la societa'
aveva numerosi dipendenti (30); peraltro la giurisprudenza di questa Corte,
richiamata anche in ricorso, si e' espressa nel senso che "in tema di
determinazione del reddito d'impresa, l'inerenza all'impresa dei costi per
le autovetture va valutata in concreto, con riferimento alla natura ed
all'uso dei mezzi nell'ambito dell'impresa stessa, sicche' un'esclusione
collegata in astratto al numero dei soci si appalesa illegittima,
soprattutto perche' non vi e' un riscontro normativo in tal senso" (cfr.,
Cass. civ., sent. n. 14775 del 2000).
Anche l'ultimo motivo relativo all'asserita cessione di quote e' fondato.
Infatti non e' coerente basare una decisione sulla mancata offerta di prova
negativa a carico della parte privata, tanto piu' che dall'esame dell'intera
documentazione della societa' i verificatori avevano esattamente
interpretato detto movimento contabile, a differenza dell'ufficio che aveva
emesso l'avviso di accertamento, rilevando soltanto la differenza di tasso
di interesse tra quello richiesto alla collegata (8 per cento) e quello
corrente (17 per cento) e recuperando tale differenza quale reddito per la
societa' verificata.
Trattandosi, quindi, di aggiunta di una posta positiva la relativa prova
incombeva sull'ufficio tributario e non sulla parte contribuente.
Tutto cio' premesso, la Corte, dichiarata assorbita ogni altra censura,
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra
Sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto perche' riesamini
la controversia alla luce dei principi di diritto sopraenunciati.
La stessa Commissione provvedera' al governo delle spese di questa fase
di legittimita'.

                                 P.Q.M.  

 La Corte  accoglie  il  ricorso,  cassa  la sentenza impugnata e rinvia la  

causa, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria
regionale del Veneto.

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