Ordinanza del 05/10/2023 n. 28131 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

Rilevato che:

1. In controversia avente ad oggetto l'impugnazione di una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato del Mod. Unico 2011 redatto dalla Medical Service Srl per recupero dell'IVA non versata con riferimento all'anno d'imposta (------), con la sentenza in epigrafe indicata la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Campania, Sezione staccata di Salerno, dichiarava inammissibile l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate in quanto priva di legittimazione processuale non essendo stata parte del giudizio di primo grado ed accoglieva l'appello della società contribuente ritenendo non applicabili le sanzioni per mancanza del requisito della colpevolezza di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5.

2. Avverso tale statuizione l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui non replica la società intimata.

Considerato che:

1. Con il motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, viene dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14 e art. 100 c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto l'Agenzia delle entrate, nonostante la mancata partecipazione al giudizio di primo grado, priva di legittimazione ad impugnare la sentenza emessa all'esito di quel giudizio in cui si controverteva non solo della validità formale della cartella di pagamento, atto dell'agente della riscossione, ma anche della pretesa tributaria, avendo la società contribuente contestato la debenza degli interessi e delle sanzioni collegate al tributo. Sostiene la ricorrente che in ogni caso l'appello doveva essere considerato come atto di intervento volontario del soggetto comunque titolare di legittimazione passiva.

2. Il motivo è infondato e va rigettato.

3. E' principio giurisprudenziale quello secondo cui "La legittimazione a proporre l'impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo, a prescindere dalla sua correttezza e corrispondenza alle risultanze processuali nonché alla titolarità del rapporto sostanziale, purché sia quella ritenuta dal giudice nella sentenza della cui impugnazione si tratta. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il corrispondente motivo di ricorso ritenendo che l'Agenzia delle entrate, pur non avendo partecipato al giudizio di primo grado, era comunque legittimata a proporre appello in ragione della sua qualificazione come parte desumibile dalla sentenza impugnata e che, peraltro, dato l'oggetto della controversia - riguardante non soltanto vizi della procedura di riscossione ma anche la pretesa tributaria considerata nella sua sussistenza e fondatezza sostanziale - la stessa era anche litisconsorte necessario)" (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 13584 del 30/05/2017, Rv. 644356; Cass. n. 15356 del 2020 e Cass. n. 20789 del 2014).

4. Orbene, nel caso di specie l'Agenzia delle entrate non è stata parte del giudizio di primo grado nè la sua veste di parte processuale o di soggetto titolare del rapporto sostanziale risulta dalla sentenza di primo grado, la cui motivazione è trascritta nel ricorso in esame.

5. Al riguardo, poi, pare necessario ricordare il consolidato orientamento di questa Corte che esclude il litisconsorzio necessario tra l'Agenzia delle entrate e l'agente della riscossione, affermandosi che "Nelle cause di opposizione all'esecuzione forzata di crediti erariali mediante iscrizione a ruolo non sussiste litisconsorzio necessario fra l'ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione, non rilevando che detta opposizione abbia ad oggetto non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi, ma l'esistenza stessa del credito, poiché l'eventuale difetto del potere di agire o di resistere in ordine a tale accertamento comporta l'insorgenza solo di una questione di legittimazione, la soluzione della quale non impone la partecipazione al giudizio dell'ente creditore; infatti, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39 nelle liti che non riguardino esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi e che siano state promosse contro il concessionario, spetta a quest'ultimo procedere alla chiamata in causa dell'ente creditore interessato secondo lo schema di cui all'art. 106 c.p.c." (Cass. n. 29798 del 2019).

5.1. Ed ogni qualvolta venga contestata la pretesa tributaria e l'atto conseguenziale, "\� rimessa al contribuente stesso la scelta di impugnare tale ultimo atto, deducendone ad es. la nullità per omessa notifica dell'atto presupposto, o contestando, in via alternativa, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all'ente titolare del credito tributario e non già al concessionario del servizio di riscossione, al quale, se è fatto esclusivo destinatario dell'impugnazione, incombe l'onere di chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell'esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d'ufficio l'integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario" (cfr., ex multis, Cass. n. 22729 del 2016).

6. Da quanto detto discende l'infondatezza del motivo di ricorso in relazione al quale va ancora precisato che la questione, pure posta dalla ricorrente, secondo cui l'atto di appello dell'Agenzia delle entrate doveva essere considerato come atto di intervento volontario in giudizio, è priva di rilevanza posto che con la sentenza impugnata è stata soltanto esclusa la legittimazione dell'Ufficio ad impugnare la sentenza di primo grado.

7. Pertanto, il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese in mancanza di costituzione dell'intimata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2023

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