Ordinanza del 22/02/2019 n. 5318 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

RILEVATO CHE:

1. La società Mary 85 impugnava la cartella di pagamento relativa all'Ici per gli anni 2002-2004, notificata il 16.03.2009, in pendenza del giudizio di impugnazione degli avvisi di accertamento presupposti, deducendone l'illegittimità in quanto l'amministrazione comunale aveva iscritto per intero le somme dovute in base agli atti impositivi impugnati dinanzi alla CTP. Il Comune di Roma si difendeva assumendo che l'appello, avverso la sentenza che aveva annullato gli avvisi di accertamento, ad eccezione di quello relativo all'anno 2004, da esso proposto era stato accolto dalla CTR del Lazio, confermando la legittimità di tutti gli avvisi di accertamento.

La CTP di Roma, dinanzi alla quale era stata opposta la cartella, accoglieva il ricorso con sentenza che veniva confermata dalla CTR del Lazio, sull'appello dell'ente comunale.

Nel frattempo, annullati parzialmente in autotutela alcuni avvisi di accertamento, la società impugnava un'altra cartella relativa agli anni di imposta 2000-2003, che veniva annullata dalla CTP con decisione riformata in secondo grado.

Roma Capitale ricorre, con un unico motivo, nei confronti della società Mary 85 srl e della concessionaria per la cassazione della sentenza n. 4046/14/14 con la quale la CTR del Lazio, nel confermare la sentenza di primo grado, respingeva il gravame proposto dall'ente comunale.

La società contribuente resiste con controricorso.

La concessionaria non si è costituita.

CONSIDERATO CHE:

2. Con un unico motivo di ricorso l'ente comunale deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, nonché dell'art. 2909 c.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 69, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, per avere i giudici regionali ritenuto che al momento della notifica della cartella di pagamento, gli avvisi di accertamento erano stati annullati, ad eccezione di quello relativo all'anno 2004, dalla CTP e che in presenza di una sentenza favorevole al contribuente doveva trovare applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, non potendosi attribuire efficacia sanante alla successiva sentenza di appello favorevole all'amministrazione.

Deduce, in particolare l'ente comunale, che la protezione del contribuente perdura fino alla decisione definitiva che stabilisce la legittimità della pretesa tributaria.

3. Il ricorso deve essere accolto, sebbene per ragioni giuridiche diverse da quelle prospettate dal ricorrente.

In tema di contenzioso tributario, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1, riguardante il pagamento dei tributi in pendenza del processo, facendo riferimento ai soli "casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo", non si applica a quella concernente l'imposta comunale sugli immobili (ICI), in quanto per tale tributo il pagamento frazionato, già previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15 (poi abrogato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 37) per altri tipi d'imposta, non trova applicazione (V. pure Cass. n. 15473/2010; Cass. n. 7831 del 2010; Cass. n. 19015/2015; Cass. n. 8554 del 2016, in motiv.; Cass. n. 22495 e n. 22494 del 2017, in motiv.).

Pertanto, anche se l'avviso di accertamento viene impugnato, l'ici e gli altri tributi locali si riscuotono per intero, non applicandosi ai tributi locali, a differenza dei tributi erariali, la così detta "riscossione frazionata" in pendenza di giudizio.

Il contribuente è tenuto, quindi, a pagare per intero le somme accertate, entro 60 giorni dalla notifica dell'atto impositivo, a meno che non ottenga la sospensione dell'esecutività dell'atto medesimo dalla commissione adita (Cass. n. 30170/2017; n. 27803/2018) Segue che, nel caso di mancato versamento delle somme da parte del contribuente, entro 60 giorni dalla notifica dell'atto, il comune o il concessionario, che svolge l'attività per conto dell'ente, possono riscuotere coattivamente le somme accertate.

Quanto sopra poi è assorbente dell'argomentazione, per la quale peraltro l'impugnazione degli avvisi di accertamento era stata rigettata, con pronuncia definitiva.

Il giudice di appello non si è uniformato al suindicato principio, laddove ha ritenuto che l'Amministrazione finanziaria era tenuta ad applicare la disciplina di cui al richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68.

Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2; conseguentemente, il ricorso originario della contribuente va respinto.

Quanto alle spese del doppio grado, sussistono giusti motivi per compensarle, avuto riguardo alla natura della controversia e delle questioni giuridiche trattate, nonché dell'esito del processo di merito mentre le altre di questo giudizio, relative a Roma Capitale, seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

Invece alcuna statuizione va emessa nei riguardi dell'agente della riscossione, che non si è costituito.

P.Q.M.

- Accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnate, decidendo nel merito, rigetta l'originario ricorso del contribuente;

- compensa le spese del giudizio di merito;

- condanna la società contribuente alla refusione delle spese di lite sostenute da Roma Capitale che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre rimborso forfettario e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Corte di cassazione, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2019

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