Sentenza del 17/11/2000 n. 14889 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Massime

IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE IRPEF - BASE IMPO NIBILE - REDDITI PRODOTTI IN FORMA ASSOCIATA - REDDITO D'IMPRESA - MORTE DI UN IMPRENDITORE INDIVIDUALE - PLURALITA' DI CHIAMATI ALL'EREDITA' - CONTINUAZIONE DELL'IMPRESA NON ASSOGGETTATA A LIQUIDAZIONE - MANCANZA DI RINUNCE ESPRESSE ALL'EREDITA' DEL "DANTE CAUSA" - CONSEGUENZE - PRESUNZIONE "IURIS TANTUM" DI COMUNIONE NELLA GESTIONE DELL'IMPRESA - SOCIETA' DI FATTO FRA I CHIAMATI - CONFIGURABILITA' - PROVA CONTRARIA - AMMISSIBILITA' - OGGETTO - ASSENZA DI ATTI DI GESTIONE O NON INGERENZA NELLA GESTIONE ALTRUI

In tema di accertamento del reddito d'impresa ai fini IRPEF ed ILOR, se alla morte dell'imprenditore individuale l'impresa non cessa con una necessaria fase di liquidazione, si deve presumere che essa venga continuata in una forma di comunione da tutti i chiamati all'eredita', e, quindi, tra di loro e' legittimamente configurabile, in mancanza di atti formali, una societa' di fatto. Deve di conseguenza ritenersi, per il principio dell'affidamento e della necessaria tutela dei terzi, che ogni chiamato all'eredita' che voglia restare estraneo alla continuazione dell'impresa deve formulare una rinunzia espressa nelle forme di legge, non essendo sufficiente il fatto che l'eredita' non sia stata accettata. Questa presunzione non e' certamente di carattere assoluto, ma e' "iuris tantum" e ammette la prova del contrario, intesa a dimostrare o che nessun atto di gestione dell'impresa e' stato compiuto o che gli atti di gestione sono stati compiuti da alcuni soggetti e non da altri.(*) ----- (*) Massima tratta dal CED della Cassazione.


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Per l'applicazione dell'imposta di registro ad un atto di regolarizzazione di una societa' di fatto (in una societa' di persone o di capitali), e' necessario che questa sia stata validamente costituita, vuoi formalmente, attraverso un negozio giuridico espresso, vuoi per effetto di un comportamento concludente. In ambedue i casi, occorre che via sia una pluralita' di soggetti capaci di agire e di porre in essere il negozio associativo, nonche' una pluralita' di centri di interessi (Fattispecie relativa ad un'impresa individuale caduta in successione, in relazione alla quale la Corte di cassazione ha negato l'esistenza di una societa' di fatto per il difetto dei presupposti in quanto due dei tre eredi, i figli minorenni del defunto imprenditore, erano stati rappresentati dall'altro coerede (il coniuge superstite e genitore dei figli minori) nell'atto di regolarizzazione della pretesa societa' di fatto, posto in essere a seguito della successione, e ha affermato che dalla semplice intestazione dell'atto non si puo' desumere alcun elemento interpretativo decisivo per l'affermazione dell'esistenza di una tale societa'). Massima tratta dal CED della Cassazione.

In tema di imposte sui redditi e con riguardo ai redditi di capitale, nel caso di societa' a ristretta base sociale, e' ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiche' il fatto noto non e' costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della societa', ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarieta' e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinche', pero', tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare - cioe' il fatto noto alla base della presunzione - abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della societa' in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l'accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi. * Massima tratta dal CED della Cassazione.

La reintegrazione del capitale di una societa' in caso di perdite,postula nuovi conferimenti, che possono essere effettuati dai vecchi, come da nuovi soci nel caso in cui i primi abbiano rinunciato all'esercizio del diritto d'opzione o siano stati, per altro verso, privati della possibilita' di esercitare tale diritto. L'operazione - che richiede il concorso della volonta' della societa' (manifestata attraverso la delibera di emissione delle nuove azioni) e dei soci (espressa con la sottoscrizione delle azioni emesse) - si configura come "contratto consensuale". Deve quindi ritenersi che essa si perfezioni per effetto del consenso legittimamente manifestato dalle parti, e che - conseguentemente - il versamento del prezzo di emissione rilevi quale adempimento di un impegno contrattuale gia' assunto, e non gia' quale elemento integrante della fattispecie costitutiva. Il principio di "competenza" stabilito in generale dall'art. 75 del d.P.R. n. 917/86, implica - d'altronde - che gli elementi reddituali (attivi e passivi) derivanti da una determinata operazione siano iscritti in bilancio, non gia' con riferimento alla data del pagamento materiale del corrispettivo, ma nel momento in cui l'operazione abbia manifestato i propri effetti (positivi o negativi) sul patrimonio dell'impresa; momento che, in difetto di una contraria indicazione legislativa, deve essere individuato, nel caso in specie, in quello in cui il contratto puo' ritenersi concluso. Da cio' consegue che, ai fini dell'imputazione in bilancio dei conferimenti diretti ad integrare il capitale perduto di un'altra societa', cosi' come deve prescindersi dalla data in cui essi siano stati materialmente eseguiti, non puo' neppure aversi riguardo al momento in cui si sia verificata la perdita, poiche' quest'ultimo rappresenta il semplice presupposto dei conferimenti, e rimane quindi estraneo alla realizzazione della loro fattispecie costitutiva e al dispiegarsi dei loro effetti. Da cio' discende, altresi', che unico elemento da prendere pertanto in considerazione, ai fini che qui interessano, sia quello costituito - appunto - dall'incontro dei consensi tra la societa' conferitaria ed il socio conferente.(*) ----- (*) Massima tratta dal CED della Cassazione.

Anche in tema di solidarieta' passiva d'imposta, il meccanismo previsto dall'art. 1306 cod. civ., costituente una deroga ai principi in materia di limiti del giudicato, non puo' operare ipso iure. Infatti spetta soltanto al debitore valutare se la sentenza resa nei confronti di un condebitore solidale debba considerarsi a se' favorevole. Si tratta, quindi, di una valutazione che, in assenza di una precisa manifestazione di volonta' del debitore, non puo' essere fatta dal giudice. Anche in tema di solidarieta' tributaria, pertanto, l'applicazione dell'art. 1306 cod. civ., presuppone che, nel giudizio di merito il debitore abbia espressamente chiesto che a lui si estendano gli effetti della sentenza resa nei confronti del condebitore, e si tratta, inoltre, di un diritto potestativo sostanziale che presuppone la mancata formazione di specifico giudicato (o comunque di preclusioni processuali) a carico del soggetto che intende esercitare tale diritto. * Massima tratta dal CED della Cassazione.

L'immissione nel possesso dei beni ereditari e' atto non univoco, che, di per se' considerato, non equivale necessariamente ad accettazione tacita dell'eredita', poiche' non presuppone necessariamente, in chi lo compie, la volonta' di accettare e la qualita' di erede, potendo anche dipendere da un mero intento conservativo del chiamato o da tolleranza da parte degli altri chiamati (nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha, peraltro, nel caso di specie, confermato la pronuncia del giudice di merito che aveva qualificato accettazione tacita il comportamento dell'erede che, immessosi in possesso dei beni ereditari, aveva poi effettuato un pagamento con danaro ereditario ed aveva, ancora, promesso in vendita un appartamento dell'asse). *Massima tratta dal CED della Cassazione.

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