Sentenza del 19/09/1995 n. 9885 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 1

Testo

                            Fatto  
Nella denuncia relativa alla successione di ...  apertasi  il  12  febbraio  

1980, gli eredi …, …, … e … (rispettivamente moglie e figli del de
cuius) dichiararono che costui, in vita, era titolare di un'azienda
commerciale in …; che, tale azienda costituiva un'impresa familiare ex art. 230-bis del codice civile, cui partecipavano anche la moglie e il figlio …
per le quote pari al 50%; che quell'impresa aveva il valore complessivo di
lire 522.000.000; e che, pertanto, nell'attivo ereditario andava inserito
soltanto il valore della quota del de cuius pari a lire 261.000.000.
Sulla base di questa dichiarazione, l'ufficio del registro di … liquido'
l'imposta principale, che fu regolarmente pagata dagli eredi ….
Tuttavia, successivamente, con avviso notificato il 21 gennaio 1981,
l'ufficio - sul presupposto che, con riferimento all'imposta di successione,
l'istituto dell'impresa familiare non abbia alcuna rilevanza ai fini della
determinazione del valore dell'attivo ereditario del suo titolare, di modo che
nello stesso attivo compreso l'intero valore dell'impresa e non soltanto una
quota proporzionale alla posizione del de cuius - ridetermino', in via
suppletiva, l'asse globale della successione del … includendovi l'intero
valore della sua impresa ed elevo' di lire 54.130.000 l'ammontare dell'imposta
liquidata in via principale.
Gli eredi … impugnarono l'avviso davanti alla Commissione tributaria di I
grado di Larino, che accolse il gravame con decisione n. 60 del 18 novembre

  1. L'ufficio propose appello alla Commissione tributaria di II grado di
    Campobasso, ed i contribuenti resistettero all'impugnazione.
    Nelle more di questo giudizio, essendo intervenuto il provvedimento di
    condono di cui al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito in L. 7 agosto 1982, n. 516, il 12 novembre 1982 gli eredi-appellati presentarono al competente
    ufficio del registro un'istanza con la quale chiesero la definizione
    automatica, ai sensi degli artt. 31 e 32 del testo legislativo ora richiamato,
    della "pendenza relativa all'imposta di successione dovuta in morte di …".
    Nella successiva udienza di discussione davanti alla Commissione d'appello,
    i contribuenti dichiararono di aver proceduto al pagamento della somma di lire
    16.978.000 corrispondente alla liquidazione dell'ufficio conseguente alla
    predetta istanza di condono e, con decisione 10 febbraio 1983, il giudice
    tributario di secondo grado pronuncio' l'estinzione del giudizio ai sensi
    dell'art. 32 del D.L. n.429/1982.
    L'ufficio impugno' la decisione davanti alla Commissione tributaria
    centrale, e denuncio' che il provvedimento della Commissione di II grado era
    illegittimo ed erroneo: a) sul piano formale, in quanto mai l'Amministrazione
    finanziaria aveva provveduto a comunicare a quel giudice tributario
    l'esistenza dell'intervenuta liquidazione definitiva; b) sul piano
    sostanziale, in quanto i contribuenti avevano si' presentato un'istanza di
    condono, ma con riferimento, non gia' alla controversia tributaria conseguente
    all'avviso di liquidazione dell'imposta suppletiva notificato il 21 gennaio
    1981 per cui era in corso il procedimento giurisdizionale tributario, sibbene
    all'ulteriore e distinta pretesa dell'ufficio ad un'imposizione complementare
    per la rettifica del valore dichiarato dell'asse ereditario, pretesa questa,
    per la quale, peraltro, non era stato ancora emesso l'avviso di liquidazione;
    ed in quanto, correlativamente, l'intervenuta liquidazione definitiva atteneva
    alla controversia sull'imposta complementare e non a quella sull'imposta
    suppletiva per cui era stato introdotto il giudizio davanti alle Commissioni
    tributarie, di modo che la questione costituente l'oggetto di questo giudizio
    non era stata definita per condono.
    Gli eredi … resistettero al gravame.
    Con decisione n. 271, depositata il 17 gennaio 1990, la Commissione
    centrale ha respinto l'impugnazione in terzo grado.
    Secondo il giudice tributario entrambi i motivi di censura erano infondati.
    Il primo, perche' l'ufficio aveva regolarmente comunicato alla Commissione
    di II grado l'intervenuta liquidazione definitiva del tributo dovuto a seguito
    dell'istanza di condono presentata dagli eredi … il 12 novembre 1982, una
    volta che - come era attestato nella decisione d'appello - di fronte alla
    dichiarazione dei contribuenti di aver provveduto al versamento della somma
    liquidata dall'ufficio del registro di …, il rappresentante
    dell'Amministrazione, presente nell'udienza, nulla aveva opposto e, in tal
    modo aveva rappresentato alla stessa Commissione l'esistenza della
    liquidazione definitiva.
    Il secondo, perche' il tenore dell'istanza di condono e la circostanza che,
    al momento della sua presentazione, in ordine all'imposta di successione di
    … era pendente la sola questione sull'imposta suppletiva di cui all'avviso
    di liquidazione notificato il 21 gennaio 1981, comportavano, necessariamente,
    sia che con l'istanza del 12 novembre 1982 i contribuenti avevano chiesto la
    definizione automatica ex artt. 31 e 32 del D.L. n. 429/1982 di tutte le
    possibili questioni che potessero sorgere in ordine alla detta imposta o,
    quanto meno, di quella relativa all'imposta suppletiva per cui era il giudizio
    pendente davanti alla Commissione di II grado; e sia che, pertanto, il
    provvedimento di liquidazione definitiva non poteva che riguardare anche (o,
    quanto meno, solo) la questione di cui al giudizio in corso.
    L'Amministrazione finanziaria dello Stato ha proposto ricorso per
    cassazione sulla base di un unico complesso motivo di annullamento.
    Gli intimati …, …, … e … hanno resistito con controricorso.
    Diritto
    1. Con l'unico motivo del suo ricorso l'Amministrazione finanziaria dello
      Stato denuncia che la Commissione tributaria centrale:
      a) nell'affermare che realizza la comunicazione dell'intervenuta
      liquidazione definitiva del tributo - che, a mente dell'art. 32, comma 3, del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito in L. 7 agosto 1982, n. 516,
      costituisce il requisito formale per la declaratoria di estinzione del
      giudizio - anche la semplice dichiarazione orale resa dal rappresentante
      dell'ufficio nell'udienza di discussione davanti alla Commissione tributaria,
      ha violato il richiamato art. 32 (nonche' il precedente art. 31) dato che, per
      questa fonte normativa, la comunicazione non puo' che essere scritta;
      b) ha motivato in modo incongruo ed irrazionale la conclusione secondo
      cui l'istanza di condono presentata il 12 novembre 1982 non poteva che
      riguardare la controversia giudiziaria relativa all'imposta suppletiva, posto
      che non ha tenuto conto dell'esistenza dell'altra questione inerente alla
      pretesa dell'Amministrazione ad un'imposta complementare stante l'inesattezza
      dei valori dei beni costituenti l'asse ereditario esposti nella denuncia di
      successione, ed alla cui stregua era stata liquidata l'imposta principale.
    2. Il primo profilo del motivo si sviluppa sulla base di una lettura del
      precetto di cui all'ultimo periodo del comma 3 (ora, 2) dell'art. 32 del D.L.
      n. 429 (per il quale, "i giudizi sospesi si estinguono a seguito della
      comunicazione dell'intervenuta liquidazione definitiva") che non puo' essere
      condivisa.
      Innanzitutto, perche' l'assunto secondo cui il testo normativo
      "presuppone… una comunicazione scritta (dell')ufficio impositore" ed esclude
      la forma orale, non e' confortato da alcun argomento ermeneutico; ne',
      d'altronde, l'Amministrazione ricorrente ne enuncia alcuno, essendosi limitata
      a prospettare la propria tesi in modo apodittico.
      Soprattutto, pero', perche' il dato letterale avvalora la conclusione
      opposta.
      Invero, la norma non detta alcuna prescrizione circa la forma
      dell'adempimento che ne occupa e da cio' non puo' che inferirsi che, per il
      precetto legislativo, la comunicazione puo' rivestire qualsiasi forma risulti
      idonea al suo scopo, che e' quello di rendere edotta la Commissione tributaria
      dell'intervenuta liquidazione definitiva, perche' quel giudice possa
      pronunciare l'estinzione del giudizio in corso.
      Dunque - come e' avvenuto nella specie, e come ha correttamente affermato
      la Commissione tributaria centrale - anche attraverso la dichiarazione che la
      liquidazione definitiva e' effettivamente intervenuta, resa dal rappresentante
      dell'ufficio durante l'udienza di discussione davanti alla Commissione
      tributaria. Cio' a definitiva ragione quando si tenga presente sia che la
      comunicazione ha rilevanza unicamente sul piano processuale, una volta che ha
      quale destinatario esclusivamente il giudice di quel processo ed e'
      strumentale alla sola declaratoria di estinzione del giudizio in corso, di
      modo che ben puo' essere effettuata direttamente nel processo tributario e
      secondo la forma degli atti processuali; e sia che non possono sussistere
      dubbi sulla legittimazione del rappresentante dell'ufficio ad effettuarla, una
      volta che nel processo tributario costui ha il potere di agire in nome e per
      conto dell'Amministrazione finanziaria.
      Il profilo che ne occupa, quindi, e' infondato e deve essere respinto.
    3. Il secondo profilo del motivo e' inammissibile.
      Invero, contiene una contestazione circa la congruita' e la logicita' degli
      argomenti valorizzati dalla Commissione tributaria centrale per giustificare
      il proprio convincimento sulla questione di fatto relativa alla ricostruzione
      della portata dell'istanza di condono presentata dagli eredi … il 12
      novembre 1982, ossia dell'ambito delle questioni tributarie inerenti
      all'imposta sulla successione di … che, con quell'istanza, i suoi eredi
      volevano fossero definite con le modalita' di cui all'art. 31 del D.L. n. 429/1982; e che, percio', dovevano considerarsi concretamente ricomprese nel
      provvedimento di liquidazione definitiva emesso dall'ufficio a seguito di
      quell'istanza.
      Di contro, col ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111, comma 2,
      della Costituzione, quale e' quello proponibile avverso le decisioni della
      Commissione tributaria centrale, possono essere dedotti solo vizi comportanti
      violazioni di legge, il che, pero', con riferimento alla motivazione di una
      sentenza, si realizza sol quando la stessa sia materialmente insussistente o
      (sulla sola base del suo con testo) risulti essere meramente apparente, e non
      anche quando sia inficiata da altre carenze dialettiche o di apprezzamento
      delle risultanze processuali; con la conseguenza che, appunto, con quel
      ricorso non possono essere dedotti - come e' invece avvenuto nella specie -
      vizi inerenti alla sola sufficienza e congruita' della motivazione.
    4. Ne discende il rigetto del motivo e, conseguentemente, del ricorso.
      Sull'Amministrazione ricorrente, soccombente, devono gravare le spese del
      giudizio di legittimita'.
      P.Q.M.
      la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso proposto dal Ministero
      delle finanze avverso la decisione della Commissione tributaria centrale n.
      271 del 17 gennaio 1990;
      condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del
      giudizio di cassazione che liquida nella complessiva somma di lire 54.000,
      oltre a lire 2.500.000 per onorari d'avvocato.

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