Sentenza del 31/05/2016 n. 11344 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

Svolgimento del processo

1. Con avviso di accertamento notificato l'11/5/2010, l'Agenzia delle Entrate, Dir. Prov. (XXXXX) di Milano, avendo riscontrato l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi Mod. Unico SC da parte della ALMA S.r.l., società unipersonale, esercente attività di compravendita di immobili, ne determinava, per l'anno d'imposta 2004, il reddito d'impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, lett. a), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, sulla base degli elementi offerti e della documentazione prodotta dalla società in risposta al questionario.

In particolare l'Ufficio calcolava ricavi non contabilizzati e non dichiarati per Euro 5.714.451 (in relazione alla vendita a tale prezzo di un terreno edificabile, acquistato l'anno prima al prezzo di Euro 1.807.599) e ricavi non dichiarati per Euro 1.911.950 (in relazione alla cessione a titolo gratuito al Comune di Rozzano di alcune aree edificabili di tale valore, a seguito di convenzione urbanistica stipulata ai sensi della L.R. Lomb. 12 aprile 1999, n. 9, per l'attuazione di P.I.I., Programma integrato di intervento).

Accertava conseguentemente maggiori imposte IRES per Euro 1.453.350, IRAP per Euro 187.174 ed IVA per Euro 374.292, oltre sanzioni pari ad Euro 2.616.030.

2. Il ricorso proposto avverso tale atto impositivo era integralmente accolto dalla C.T.P. Milano, che determinava il reddito imponibile in Euro 453.291, dato dalla differenza tra Euro 5.714.451 (pari al ricavato della suddetta vendita) ed Euro 5.261.158 (dato dal totale di tutte le voci di costo delle quali la società ricorrente aveva chiesto il riconoscimento).

3. Avverso tale sentenza proponeva appello l'Agenzia delle Entrate che veniva integralmente accolto dalla C.T.R. Lombardia con sentenza depositata in data 19/7/2013.

Ritenevano anzitutto i giudici del gravame che erroneamente la C.T.P. aveva considerato quale costo deducibile il valore (pari ad Euro 1.911.950) delle aree cedute gratuitamente al Comune di Rozzano, dovendosi questo invece considerare quale ricavo ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 85, comma 2. Osservavano al riguardo che il presupposto impositivo si realizza nel momento stesso in cui - con l'assegnazione e/o la destinazione a finalità che esulano dall'esercizio dell'impresa commerciale - i beni escono dal ciclo imprenditoriale come se fossero ceduti a terzi, non rilevando le motivazioni sottostanti.

Posto dunque che, nel caso di specie, la società, in forza della convenzione stipulata con il Comune di Rozzano, si era obbligata a cedere gratuitamente aree edificabili ed a realizzare a proprie spese le opere di urbanizzazione, ne desumevano che l'importo di quella che consideravano una donazione, pari a Euro 1.911.950, non potesse essere ritenuto alla stregua di un costo per oneri di urbanizzazione, trattandosi di atto dispositivo posto dalla L.R. Lomb. n. 9 del 1999 (artt. 6 e 12) in alternativa a tale ultima erogazione, quale condizione per il rilascio delle concessioni edilizie.

Soggiungevano che nessuna delle opere che la società appellata si era impegnata a costruire risultava in suo possesso, ragione per cui la stessa non poteva pretendere di dedurre costi per oneri di urbanizzazione mai sostenuti.

Con riferimento all'IVA la C.T.R., rinviando integralmente alle censure proposte nell'atto di appello, riteneva legittimo l'operato dell'ufficio, rilevando che "l'unica IVA non detratta è stata quella relativa alle operazioni non inerenti, non di competenza e non documentate, che a sua volta erano state descritte nella parte motiva dell'avviso di accertamento".

4. Avverso tale decisione la ALMA S.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di dieci motivi.

L'Agenzia delle entrate non ha svolto difese nella presente sede.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

5. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell' art. 85, comma 2, T.U.I.R. in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3), per avere la C.T.R. qualificato come destinazione a finalità estranea all'impresa, realizzativa di ricavi, la cessione gratuita al comune di aree nell'ambito ed in esecuzione di una convenzione di urbanizzazione.

Richiamata la convenzione stipulata con il Comune, trascritta testualmente per ampi stralci, rileva che da essa si evince chiaramente che la cessione, ancorchè gratuita, non è stata dettata da spirito di liberalità ma costituisce piuttosto adempimento dell'obbligo, previsto dalla L.R. Lomb. n. 9 del 1999, art. 6, di dotare l'insediamento di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico secondo gli standard urbanistici e ha trovato pertanto giustificazione nel riconoscimento, da parte del Comune, di concessioni edilizie su terreni di proprietà di essa ricorrente e rientranti nel quadro del P.I.I., come del resto espressamente riconosciuto anche nella sentenza impugnata, laddove si afferma testualmente che "non vi è stato esborso di denaro da parte dell'odierna appellata, ma solo cessione di aree al Comune in cambio di concessioni edilizie che hanno notevolmente rivalutato il valore dei terreni rimasti in suo possesso" (pagina 4).

6. Con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione della L.R. Lomb. 12 aprile 1999, n. 9, art. 6, commi 4, 5 e 6, in combinato disposto con la L.R. Lomb. 5 dicembre 1977, n. 60, art. 12, in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, per aver escluso la C.T.R. la possibilità per il privato, nell'ambito di una convenzione urbanistica, di assolvere i propri oneri cumulativamente - e non necessariamente in via alternativa - con la cessione gratuita di terreni e con la sopportazione dei costi relativi agli oneri di urbanizzazione.

Rileva che la richiamata L.R. n. 9 del 1999 prevede la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria da parte del privato contraente come alternativa rispetto alla cessione di aree solo nel caso in cui quest'ultima non venga effettuata (art. 6, comma 5), nessuna norma invece escludendo la possibilità di una combinazione di soluzioni tra cessione di aree e realizzazione di infrastrutture e servizi di interesse generale, specialmente nel caso in cui la convenzione riguardi aree di una certa vastità, come nel caso in esame.

7. Con il terzo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c. , comma 2, n. 4, in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. motivato, in relazione ai temi di lite appresso precisati, rinviando acriticamente alle tesi sostenute in appello dall'Agenzia, senza fornire alcuna spiegazione in merito.

Premette la ricorrente che, con il ricorso introduttivo, essa aveva dedotto la violazione della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 51, in relazione alla confermata validità del recupero a tassazione a fini Iva del valore delle aree cedute al Comune di Rozzano in attuazione della convenzione predetta (e al conseguente calcolo per essa di una maggior imposta di Euro 382.390, pari al 20% di Euro 1.911.950) ed aveva, inoltre, lamentato la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, per avere l'ufficio disconosciuto in detrazione l'Iva pagata da essa società a fronte delle prestazioni di servizi resi dall'Impresa Edile 2000 di B.L. e ciò in ragione del fatto che quest'ultima non aveva versato l'Iva corrispostale, pari a Euro 8.400,00.

Soggiunge che nell'atto d'appello l'amministrazione si era limitata, con riferimento al primo aspetto, a riconoscere implicitamente di aver assoggettato ad Iva il valore delle aree oggetto di cessione a titolo gratuito al Comune di Rozzano e, quanto al secondo, ad affermare che "l'unica Iva non detratta è quella relativa alle operazioni non inerenti, non di competenza e non documentate, dettagliatamente descritte nella parte motiva dell'avviso di accertamento" (pagina 10 dell'atto d'appello).

Ciò premesso rileva che, con riferimento a tali temi di lite, la C.T.R. ha motivato la propria decisione di integrale accoglimento del gravame nei seguenti testuali termini: "per quanto riguarda il punto sull'IVA, questo Giudice di secondo grado si riporta integralmente alle osservazioni evidenziate dall'ufficio nel proprio appello, depositato il 2 novembre 2012. Anche in questo caso trova piena conferma l'operato dell'ufficio, tenuto conto che l'unica IVA non detratta è stata quella relativa alle operazioni non inerenti, non di competenza e non documentate, che a sua volta erano state descritte nella parte motiva dell'avviso di accertamento".

Deduce quindi la ricorrente che, così argomentando, la C.T.R. si è limitata a rinviare acriticamente alle tesi di controparte, senza esporre le ragioni di fatto e di diritto posta alla base della decisione, nè in sede di analisi dello svolgimento dei fatti processuali, nè tantomeno nel contesto della motivazione della sentenza.

8. Con il quarto motivo, in via subordinata rispetto al precedente mezzo, deduce violazione della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 51, in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. qualificato operazione imponibile a fini IVA la cessione gratuita di aree effettuata a vantaggio del comune a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di una convenzione di lottizzazione.

Rileva che, contrariamente a quanto affermato dall'ufficio nell'avviso di accertamento e poi nelle difese svolte nel giudizio di primo grado, ricorrono nella specie i presupposti di applicabilità della richiamata norma per essere stata la cessione gratuita di aree effettuata in dipendenza di una convenzione di urbanizzazione.

9. Con il quinto motivo, in via parimenti subordinata rispetto al terzo motivo, la ricorrente deduce violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, del principio comunitario di neutralità dell'IVA, e dell'art. 2697 cod. civ. , in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto indetraibile l'Iva assolta sugli acquisti per la sola ragione che l'imposta addebitata ed assolta non è stata versata all'erario dal fornitore e senza che, per di più, l'ufficio abbia mai dato prova del proprio assunto.

Rileva che in base della richiamata norma e alla giurisprudenza comunitaria (da ultimo CGCE, 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben kft, punti 37-40) la detrazione dell'Iva corrisposta ad altro soggetto passivo d'imposta costituisce diritto fondamentale nel sistema dell'imposta sul valore aggiunto e non può essere subordinata al mancato adempimento dell'obbligo gravante su quest'ultimo di versare l'imposta all'erario; soggiunge che peraltro quest'ultima circostanza non è mai stata dimostrata dall'ufficio.

10. Con il sesto motivo deduce violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56; della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7; della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3; del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, nonché dell'art. 53 Cost. , comma 1, art. 97 Cost. , comma 1, Cost. e art. 111 Cost. , comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ammesso la possibilità per l'Ufficio di modificare in corso di giudizio la motivazione della pretesa rispetto al contenuto dell'atto di accertamento.

Posto che la detrazione dell'Iva nell'avviso di accertamento era stata contestata esclusivamente in ragione dell'asserito omesso versamento dell'imposta da parte del prestatore del servizio cui l'Iva addebitata era stata pagata, rileva che il riferimento nell'atto d'appello e, attraverso il rinvio ad esso, anche in sentenza, alla mancanza dei presupposti dell'inerenza e della competenza e alla mancata documentazione, costituisce una non consentita modifica della motivazione dell'accertamento.

11. Con il settimo motivo deduce omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, (nel testo ante novella D.L. n. 83 del 2012 ) per avere la C.T.R. omesso di esaminare la documentazione prodotta al fine di provare, nell'an e nel quantum, il sostenimento degli oneri di urbanizzazione disconosciuti dall'Ufficio e segnatamente del costo di Euro 106.598,90 per oneri corrisposti dalla ricorrente al Comune.

Rileva al riguardo che l'esborso di Euro 106.598,90 trovava puntuale dimostrazione nel testo della convenzione (trascritto in ricorso per ampi stralci), che espressamente ne aveva previsto l'obbligo e nel quale era anche contenuta espressa quietanza del relativo adempimento; che comunque con riferimento allo stesso esborso essa contribuente aveva prodotto in primo grado la copia di cinque assegni circolari emessi il 27/1/2004 e di tre ricevute rilasciate dal servizio di tesoreria e cassa del comune in data 28/1/2004.

12. Con l'ottavo motivo, in via subordinata rispetto al precedente mezzo, la ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54) per avere la C.T.R. omesso l'esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall'avere essa sopportato il costo di oneri di urbanizzazione disconosciuti dall'ufficio benché fosse stata prodotta documentazione idonea a dimostrare il loro sostenimento.

13. Con il nono motivo la ricorrente lamenta ancora omessa motivazione circa un altro fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, (nel testo, ante novella D.L. n. 83 del 2012 ), per avere la C.T.R. omesso di esaminare la documentazione prodotta al fine di provare l'effettività, l'inerenza e la competenza dei costi sostenuti per l'acquisto di un terreno in data 9/1/2004 (Euro 300) e per l'acquisto di mobili per ufficio (Euro 20.000).

Rileva che tali esborsi risultavano dimostrati per tabulas dal contratto di compravendita stipulato il 9/1/2004 e dall'essere il terreno de quo inserito nel P.I.I. oggetto di convenzione e, quanto al secondo, dalla prodotta copia di due assegni bancari di Euro 10.000 ciascuno, emessi dalla società all'ordine del fornitore in data 22/12/2004, e dalla fotografia che riproduce uno dei due mobili acquistati (libreria).

14. Con il decimo motivo, infine, in via subordinata rispetto al precedente mezzo, l'Alma S.r.l. deduce omesso esame circa un altro fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5 (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54), per avere il giudice di secondo grado omesso di motivare le ragioni per le quali non ha tenuto conto della documentazione comprovante l'effettività, la competenza e l'inerenza dei costi da essa società sostenuti per l'acquisto di beni mobili e disconosciuti dall'ufficio.

15. Il primo e il secondo motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili, in quanto entrambi diretti a contestare la riconduzione della cessione gratuita di aree al Comune di Rozzano alla previsione di cui all' art. 85, comma 2 T.U.I.R., sono fondati.

E' pacifico in causa e si ricava comunque anche dal testo della Convenzione trascritto in ricorso (pagg. 10-11) che la cessione di che trattasi sia strettamente funzionale all'attuazione del Programma integrato di intervento (P.I.I.) secondo le prescrizioni per esso dettate dalla L.R. Lomb. 12 aprile 1999, n. 9, rappresentando essa esercizio della facoltà prevista dall'art. 6, comma 4, L.R. cit., a mente del quale "gli obblighi relativi al reperimento delle aree di cui ai commi 1, 2 e 3, possono essere soddisfatti mediante la cessione di aree esterne al perimetro del singolo programma".

Tanto del resto risulta espressamente affermato anche nella sentenza impugnata, laddove - come rimarcato dalla ricorrente - si rileva che "non vi è stato esborso di denaro da parte dell'odierna appellata, ma solo cessione di aree al comune in cambio di concessioni edilizie che hanno notevolmente rivalutato il valore dei terreni rimasti in suo possesso", con ciò evidentemente riconoscendosi il collegamento funzionale della cessione medesima all'attuazione del P.I.I..

Ciò posto, logicamente contraddittoria con tale premessa fattuale e, comunque, erronea in diritto si appalesa la sussunzione di detta cessione nella previsione di cui alla citata disposizione del T.U.I.R. (art. 85, comma 2), a mente della quale "si comprende… tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al comma 1" (ossia dei beni "alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa") "assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa". Non sussistono infatti nè l'uno nè l'altro dei presupposti di tale norma, non trattandosi di beni assegnati ai soci, nè soprattutto potendosi la cessione ritenere operata per "finalità estranee all'esercizio dell'impresa"; emerge piuttosto che, come detto, la stessa sia strettamente connessa e anzi funzionale alla stipula con il comune cessionario della convenzione per l'attuazione del programma integrato di intervento e, dunque, di uno strumento urbanistico idoneo certamente a valorizzare il patrimonio immobiliare della società.

In tale contesto appare innegabile che la cessione in parola non possa riguardarsi quale atto dispositivo estraneo all'esercizio d'impresa tassabile alla stregua del valore normale del bene ceduto (stante l'assenza di corrispettivo), quanto piuttosto come contributo (in natura) correlato all'acquisizione di utilità e vantaggi per l'impresa stessa (riguardata con riferimento al suo oggetto complessivamente considerato) derivanti dall'attuazione del programma urbanistico.

Né argomento contrario può trarsi dalla norma di cui all'art. 6, comma 5, L.R. cit. a mente della quale "in luogo della cessione di aree, così come disciplinata al comma 4, il programma integrato può prevedere, in alternativa alla monetizzazione di cui al comma 6, l'impegno degli interessati a realizzare infrastrutture e servizi di interesse generale, anche a gestione privata convenzionata, il cui valore, accertato con specifico computo metrico estimativo, sia almeno pari a quello delle aree che avrebbero dovuto essere cedute".

Tale previsione, anzi, lungi dal giustificare una interpretazione che attribuisca alla cessione delle aree prevista dal comma 4 una funzione diversa, alternativa e incompatibile con l'assunzione a carico del privato del costo relativo alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ne evidenzia il carattere concorrente al medesimo fine di rendere possibile l'attuazione del P.I.I. (alla stregua di contributo posto a carico del privato a fronte dell'approvazione del programma e del rilascio delle relative licenze). Ratio, questa, che non esclude affatto - nè la esclude la formulazione letterale della norma - la possibile coesistenza delle due forme di contributo (cessione di aree e assunzione degli oneri di urbanizzazione) in relazione alle dimensioni e alle necessità del piano.

16. Procedendo oltre nell'esame dei mezzi di ricorso appare di rilievo preliminare, al di lì delle non vincolanti indicazioni d'ordine date dalla stessa ricorrente, l'esame del quarto motivo (in quanto potenzialmente assorbente del terzo con riferimento al primo dei temi con esso trattati) e poi del sesto (in quanto potenzialmente assorbente del terzo, per la sua restante parte, e del quinto).

Con riferimento dunque al quarto motivo di ricorso giova premettere che, per quanto a rigore la sentenza nulla dica sulla questione del calcolo nella base imponibile a fini Iva del valore delle aree cedute gratuitamente al Comune, è comunque desumibile dalle specifiche allegazioni sul punto della ricorrente (non tacciabili di non autosufficienza: v. pag. 24 del ricorso, secondo e terzo capoverso) che tale inserimento vi sia effettivamente stato e, di conseguenza, non è nemmeno dubitabile che la sentenza impugnata abbia avallato tale operazione (avendo essa, come detto, integralmente accolto l'appello dell'ufficio e confermato la piena legittimità del suo operato).

Ciò posto il motivo è fondato e merita accoglimento.

Ai sensi della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 51, "non è da intendere rilevante ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, neppure agli effetti delle limitazioni del diritto alla detrazione, la cessione nei confronti dei comuni di aree o di opere di urbanizzazione, a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione".

Tale disciplina si giustifica in ragione del rilievo che - come questa Corte ha avuto modo di rilevare (con riferimento ad un caso di cessione di aree nell'ambito di una convenzione di lottizzazione stipulata ai sensi della L. n. 10 del 1977 ) - la cessione di aree per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, conclusa in attuazione di una convenzione di lottizzazione, costituisce modalità alternativa all'assolvimento dell'obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione e non è, pertanto, un'operazione imponibile a fini Iva. Del resto, la convenzione di lottizzazione ha natura di contratto con oggetto pubblico e di accordo endoprocedimentale, strumentale al conseguimento dell'autorizzazione urbanistica o edilizia, per cui manca il rapporto sinallagmatico tra i contraenti - presupposto dell'IVA anche per il diritto comunitario - non essendovi alcun nesso d'interdipendenza contrattuale tra cessioni immobiliari, opere di urbanizzazione, prestazioni e contributi vari (v. Cass., Sez. 5, n. 15660 del 09/07/2014, Rv. 632111).

Non è dubitabile che ciò si verifichi anche nel caso in esame, ove la cessione di aree a titolo gratuito si pone quale momento coessenziale alla convenzione urbanistica, oltre che contestuale, ed è destinata al precipuo fine di "assicurare la dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico nella misura prevista dalla vigente legislazione" (L.R. Lomb. n. 9 del 1999, art. 6, comma 1).

La sentenza impugnata, avendo confermato l'inserimento nella base imponibile a fini Iva del valore delle aree cedute in tale ambito e per i detti fini, incorre in violazione della richiamata disciplina e va, pertanto, anche sul punto, cassata.

L'accoglimento di tale motivo assorbe, come detto, l'esame del terzo nella parte in cui con esso si denuncia nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c. , comma 2, n. 4, per avere la C.T.R. motivato, in relazione alla contestata inclusione di dette aree nella base imponibile ai fini Iva, rinviando acriticamente alle tesi sostenute in appello dall'Agenzia, senza fornire alcuna spiegazione in merito.

17. Anche il sesto motivo, al cui esame, per quanto detto, occorre adesso passare, è fondato.

E' noto infatti che, nel giudizio tributario, l'oggetto del dibattito processuale è delimitato, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte dall'ufficio nell'atto impositivo impugnato e, dall'altro, dagli specifici motivi d'impugnazione dedotti dal contribuente nel ricorso introduttivo, non essendo pertanto consentito all'amministrazione introdurre nel corso del giudizio, tanto meno in grado d'appello, ragioni di fatto o giuridiche che, seppur astrattamente idonee a supportare la pretesa fiscale, siano tuttavia nuove e diverse da quelle specificamente poste a fondamento dell'avviso impugnato (v. ex aliis Sez. 5, n. 25909 del 29/10/2008, Rv. 605428; Sez. 5, n. 10779 del 11/05/2007, Rv. 597732; Sez. 5, n. 22010 del 13/10/2006, Rv. 593679).

Nel caso di specie è pacifico in causa che l'illegittimità della detrazione dell'Iva nell'avviso di accertamento era stata contestata esclusivamente in ragione dell'asserito omesso versamento dell'imposta da parte del prestatore del servizio cui l'Iva addebitata era stata pagata; ne discende che il riferimento nell'atto d'appello e, attraverso il rinvio ad esso, anche in sentenza, alla mancanza dei presupposti dell'inerenza e della competenza e alla mancata documentazione, costituisce - come fondatamente dedotto dalla ricorrente - una non consentita modifica della motivazione dell'accertamento.

L'accoglimento di tale mezzo - come pure s'\� anticipato - assorbe e rende ultroneo l'esame del terzo e del quinto motivo di ricorso, in quanto impingenti - sotto altri profili - la statuizione medesima confermativa della legittimità della esclusa detrazione dell'Iva corrisposta per la indicata causale (corrispettivo per prestazioni di servizi rese dalla Impresa Edile 2000 di B.L.). Non assorbe invece il quarto motivo (del quale si è già sopra rilevata la fondatezza) in quanto inerente al diverso tema della inclusione nella base imponibile ai fini Iva della cessione gratuita di aree, nè i successivi (dal settimo al decimo), anch'essi afferenti a diversi temi (disconoscimento di altri costi ai fini della determinazione della base imponibile a fini Ires e Irap).

18. Quanto a questi ultimi deve anzitutto rilevarsi l'inammissibilità del settimo e del nono in quanto esplicitamente dedotti con riferimento alla previsione - e in relazione dunque ai requisiti contenutistici - di cui all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, nella formulazione previgente alla modifica introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 : norma però - quella previgente - non applicabile nel caso in esame, essendo questo soggetto, ratione temporis, alla nuova disciplina. Questa, infatti, secondo la norma transitoria di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54 cit., comma 3, "si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione" e, dunque, alle sentenze pubblicate a partire dall'11 settembre 2012 (ai sensi della L. di Conversione n. 134 del 2012, art. 1, comma 2, quest'ultima è infatti entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e, dunque, essendo stata detta legge pubblicata sul supplemento ordinario n. 171 alla Gazzetta Ufficiale dell'11 agosto 2012 n. 187, il 12 agosto 2012; il trentesimo giorno successivo al 12 agosto 2012 è l'11 settembre 2012; la sentenza qui impugnata è stata pubblicata, come detto, il 19 luglio 2013). E' poi opportuno ribadire che la nuova disciplina trova applicazione anche per i ricorsi avverso le sentenze emesse dal giudice tributario, secondo la condivisibile interpretazione data dalle Sezioni Unite di questa Corte della successiva disposizione di cui al comma 3-bis del D.L. cit., inserito in sede di conversione (v. Cass. Civ., Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, in motivazione, parr. 4 - 12).

19. Ad analogo giudizio di inammissibilità deve però pervenirsi anche con riferimento all'ottavo motivo che, riproducendo la medesima doglianza esposta nel settimo, formalmente rapportandola alla nuova previsione, non ne rispetta tuttavia nella sostanza i requisiti.

E' noto al riguardo che mentre, secondo la precedente formulazione dell'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, costituiva deducibile motivo di ricorso per cassazione la "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", secondo quella risultante dalla citata novella, la sentenza può essere censurata, sul piano della motivazione, solo "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".

Circa la portata innovativa di tale riforma le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 19881 del 2014, seguite da numerose conformi delle sezioni semplici, hanno come noto enunciato i seguenti principi, cui questo collegio intende dare continuità:

a) la riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi , come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sì, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile";

b) il nuovo testo dell'art. 360, comma 1, n. 5, introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

c) l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sì vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

d) la parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c. , comma 2, n. 4 - il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso.

Orbene il fatto storico del quale la ricorrente denuncia l'omesso esame con l'ottavo motivo è rappresentato dal sostenimento dell'esborso di complessivi Euro 106.598,90 per oneri di urbanizzazione.

Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente - alla stregua però di un evidente artificio dialettico, volto a rapportare alla nuova griglia normativa quanto in precedenza più propriamente dedotto come vizio di omessa o insufficiente motivazione - non può dubitarsi che tale fatto (ossia, il detto esborso per oneri di urbanizzazione) sia stato in sì espressamente considerato e, dunque, esaminato dal giudice del merito ancorchè solo per negarne, sia pure con motivazione stringata, la sussistenza. Inequivoco in tal senso quanto affermato a pagina 4, penultimo capoverso, della sentenza, ove si legge: "nel caso in esame non vi è stato esborso di denaro da parte dell'odierna appellata, ma solo cessione di area al Comune in cambio di concessioni edilizie che hanno notevolmente rivalutato il valore dei terreni rimasti in suo possesso. Risulta pertanto che nessuna delle opere che la società appellata si era impegnata a costruire, risulta ad oggi in suo possesso. Parte appellata, alla luce di quanto sopra, non potrebbe in ogni caso pretendere il riconoscimento di costi a titolo di oneri di urbanizzazione mai sostenuti".

Del resto, a ben vedere, oggetto della doglianza è l'accertamento (non già inesistente ma) negativo di tale fatto, accertamento del quale si contesta la fondatezza nel merito in ragione dell'asserito omesso esame di elementi istruttori; si ricade pertanto pienamente nella ipotesi sopra tipizzata sub lett. c) di censura inammissibile secondo la nuova norma.

20. Diversamente è a dirsi con riferimento al decimo motivo, con il quale si lamenta omesso esame di altri fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentati dall'esborso di Euro 300 per l'acquisto di un terreno in data 9/1/2004 e di Euro 20.000 per l'acquisto di mobili per ufficio (decimo motivo).

La censura soddisfa i requisiti formali e contenutistici richiesti dalle norme richiamate, posto che: la ricorrente ha indicato specificamente gli atti nei quali il fatto risultava trattato dalle parti secondo gli opposti punti di vista (e del resto anche la sentenza impugnata fa generico riferimento - nella parte narrativa - a costi che, riconosciuti come deducibili dalla C.T.P., erano invece contestati siccome indeducibili dall'ufficio appellante, richiamando anche, altrettanto genericamente, le controdeduzioni al riguardo presentate dalla contribuente); la decisività di tali fatti è in re ipsa, dal momento che il riconoscimento della loro sussistenza comporta necessariamente una diversa determinazione della base imponibile.

Ciò posto la doglianza, nei detti termini esposta, è fondata.

Non è dato invero ravvisare in alcuna parte della sentenza una qualche affermazione idonea ad attestare, sia pure implicitamente ma univocamente, che tali fatti (esborsi) siano stati specificamente considerati dal giudice dell'appello sia pure per negarne la sussistenza o comunque la deducibilità. Tale in particolare non può considerarsi l'affermazione, contenuta nell'ultimo capoverso di pagina 4, secondo la quale "l'unica Iva non detratta è stata quella relativa alle operazioni non inerenti, non di competenza e non documentate, che a sua volta erano state descritte nella parte motiva dell'avviso di accertamento", atteso che la stessa fa esplicito riferimento (solo) a non meglio precisate detrazioni Iva e non anche a costi portati in deduzione ai fini della determinazione della base imponibile a fini Ires e Irap. 21. In ragione delle considerazioni che precedono deve pertanto pervenirsi, in definitiva, all'accoglimento dei motivi primo, secondo, quarto, sesto - con assorbimento del quinto - e decimo; al rigetto del terzo; alla declaratoria di inammissibilità del settimo, dell'ottavo e del nono motivo.

Per l'effetto la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi primo, secondo, quarto, sesto e decimo di ricorso; dichiara assorbiti il terzo e il quinto; dichiara inammissibili il settimo, l'ottavo e il nono; per l'effetto cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2016

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