Sentenza del 29/03/1995 n. 3746 - Corte di Cassazione

Testo

                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO  

        Con sentenza  del  6  dicembre  1985  il  pretore  di  Avezzano, su  

conformi conclusioni del consulente tecnico di ufficio, condannava l'INPS ad
erogare la pensione di invalidita' a far tempo dal 1 luglio 1978, in favore
di xxx che risultava svolgere attivita' manuali nella sua stessa azienda per
la produzione di mattoni di cemento. Peraltro nella relazione redatta
precedentemente da altro consulente tecnico d'ufficio era precisato che
nonostante le patologie esistenti a carico dell'assicurato, questi non
sarebbe stato da considerare invalido ai sensi di legge ove fosse emerso che
il medesimo non espletava mansioni manuali di cementista in quanto il lavoro
svolto non avrebbe avuto carattere usurante.
La sentenza predetta veniva pertanto appellata davanti al locale
Tribunale dall'istituto previdenziale, che sosteneva non essersi tenuto
conto di una dichiarazione rilasciata a verbale dal xxx ad un funzionario
dell'Istituto stesso, contenente l'ammissione che egli non era addetto ad
attivita' manuali ma esercitava compiti direttivi.
Il xxx contestava ogni efficacia probatoria del documento e
proponeva querela di falso.
Ammessa la rituale procedura per la trattazione della causa
relativa, stante la sussistenza di tutti i presupposti, ed escussi alcuni
testi, con decisione in data 19 giugno 1991, all'esito di ogni incombente il
Tribunale dichiarava infondata la querela di falso con il conseguente
provvedimento sanzionatorio al proponente irrogato; in riforma
dell'impugnata statuizione rigettava quindi la domanda dell'assicurato.
Premesso che nessun contrasto v'era sul punto che se fosse
risultato che dal xxx veniva svolto lavoro manuale le patologie di cui era
portatore avrebbero legittimato l'invocato trattamento pensionistico, il
giudice di appello osservava non essere dubbia la natura confessoria della
dichiarazione che aveva formato oggetto d'impugnazione. Rilevava inoltre la
veridicita' del contenuto di tale dichiarazione soprattutto alla luce della
deposizione testimoniale della figlia dell'assicurato. Riteneva percio'
acclarato che quest'ultimo non espletava lavoro manuale e negava l'accampato
diritto alla pensione.
Per l'annullamento della pronuncia del Tribunale il xxx propone
ricorso per cassazione corretto da tre mezzi.
L'INPS resiste con controricorso.

                        MOTIVI DELLA DECISIONE  
      Con il   primo  mezzo  il  ricorrente  denuncia  violazione  e  falsa  

applicazione di norme di diritto e degli artt. 24 Cost., 84, 112, 416 e 437
cod. proc. civ. nonche' omessa, carente e contraddittoria motivazione (art.
360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) e lamenta che sia stata riconosciuta
rilevanza dal Tribunale ad una confessione acquisita da controparte al di
fuori del processo, anzi dopo la decisione di primo grado e senza la
presenza dei difensori. Assumono che la questione era stata ritualmente
sollevata nella memoria di costituzione in appello ma che sul punto nessuna
risposta e' dato riscontrare nella gravata sentenza.
La doglianza e' infondata.
Nessuna preclusione puo' configurarsi nell'utilizzo ai fini
probatori della dichiarazione resa dall'assicurato al funzionario che, alle
dipendenze dell'INPS, e' incaricato di svolgere compiti da inquirenti
attinenti agli scopi istituzionali dell'ente previdenziale. Per la sua
natura di organismo autarchico l'INPS e' infatti legittimato ad espletare in
via diretta quelle indagini ritenute opportune per acclarare circostanze e
presupposti del diritto della parte privata all'invocata prestazione. Ne
sussiste alcun obbligo a suo carico di rendere possibile l'intervento
dell'eventuale difensore di detta parte agli accertamenti svolti, giacche
questi, essendo connotati di natura amministrativa e non giurisdizionale,
possono dar luogo a risultati solo liberamente apprezzabili dal magistrato
ove sorga contrasto tra i contraddittori che sfoci, in futuro, in lite
giudiziaria. Non appare pertanto giustificato l'addebito mosso alla
denunciata decisione di aver tenuto in conto quanto spontaneamente riferito
dal ricorrente al funzionario dell'intimato Istituto che io interrogava. Se,
d'altra parte, la decisione di cui innanzi non ha trattato la questione con
il motivo di gravame oggi agitato e' perche' tale tema con l'atto di appello
era stato prospettato piu' sotto l'aspetto dell'assunta discutibile
correttezza della condotta tenuta dall'INPS nell'essersi avvalso" pendente
il giudizio d'invalidita', di uno strumento (indagine propria) non
processuale, che non come vera e propria eccezione giuridica; donde
l'insussistenza del vizio di motivazione lamentato.
Con il secondo mezzo il xxx censura l'impugnata sentenza per
violazione e falsa applicazione di norme di diritto e procedura (artt. 112
cod. proc. civ.; 2731 e 2735 cod. civ.) nonche' al sensi dell'art. 360 n. 5
cod. proc. civ. e deduce che il giudice di merito: 1) ha ritenuto che la
dichiarazione raccolta dal funzionario dell'INPS a verbale avesse senz'altro
efficacia di confessione stragiudiziale pur non essendosi qualificato il
verbalizzante "pubblico ufficiale" ovvero "ispettore dell'Istituto stesso",
sicche' il medesimo non poteva definirsi, come dalla legge voluto per il
detto tipo di confessione" "la parte o chi la rappresenta" con riguardo a
colui che si riceve la dichiarazione confessoria; 2) che in ogni caso la
presunta confessione non poteva considerarsi operante siccome avente ad
oggetto un diritto previdenziale, e cioe' un diritto indisponibile (art. 2731 cod. civ. cit.).
Anche tale mezzo e' privo di fondamento.
Quanto al punto 1) basti ricordare la giurisprudenza di questa
Corte - dalla quale non v'e' ragione di discostarsi - alla cui stregua, ai
fini dell'applicazione dell'art. 2735 cod. civ., per rappresentane della
parte deve intenderai non soltanto colui il quale ne abbia la rappresentanza
legale, ma anche qualunque persona che, nei confronti del confitente, agisca
nell'interesse della parte destinataria della confessione (v. esattamente in
termini: sent. n. 887/81; v. pure sent. n. 2062/82).
Quanto al punto 2) raffermata -indisponibilita'" concerne il
diritto gia' accertato alla prefazione previdenziale ma non anche resistenza
dei presupposti di tale diritto.
Con il terzo mezzo si denuncia carente e contraddittoria
motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) sul rilievo sostanziale che una
volta accertato che le mansioni di "cementista" sono usuranti e che nel 1984
(data della c.t.u. espletata) "era intervenuta usura, si aveva la certezza
medico legale della esistenza di mansioni usuranti, in quanto in caso
contrario la usura non sarebbe intervenuta e l'organismo sarebbe restato
integro".
La doglianza appena riportata non merita valutazione diversa dalle
altre che l'hanno preceduta.
Il Tribunale ha dato per pacifico che le patologie, di cui il
ricorrente e' risultato affetto, legittimavano in astratto la concessione
del chiesto trattamento previdenziale. Ha tuttavia negato che questo potesse
essere riconosciuto in concreto sulla base del maturato convincimento che le
acquisizioni probatorie escludevano che esistesse il necessario presupposto
della manualita' del lavoro svolto dall'istante. Ed il ragionamento in tal
senso sviluppato si appalesa logico e giuridicamente immune da
contraddizioni, che non e' dato cogliere neppure nelle considerazioni
addotte a sostegno della tesi che ha privilegiato il contenuto della
dichiarazione confessoria.
Conclusivamente, la sentenza dei giudice di appello si sottrae
alle censure mossele con il ricorso in esame, che dev'essere percio'
rigettato.
Nulla va statuito sulle spese, attesa la natura previdenziale
della vertenza - ex art. 152 disp. att. C.p.c..

                                 P.Q.M.  
       La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese di questo giudizio.

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