Sentenza del 02/07/2014 n. 15049 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

1. A seguito di processo verbale di constatazione del 15.12.04, veniva notificato a F.D., in data 25.7.05, un avviso di accertamento, con il quale l'Ufficio recuperava a tassazione, ai fini IRPEF per l'anno di imposta 1998, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, i ricavi non dichiarati in relazione a versamenti e prelevamenti sui conti bancari intestati al contribuente e da questi non giustificati.

2. L'atto impositivo veniva impugnato dalla società dinanzi alla CTP di Ancona, che accoglieva il ricorso.

3. L'appello principale avverso tale pronuncia, proposto dall'Agenzia delle Entrate, veniva parzialmente accolto dalla CTR delle Marche, con sentenza n. 148/4/08, depositata l'8.10.08, mentre veniva rigettato l'appello incidentale del contribuente. Con tale pronuncia, invero, il giudice di seconde cure, per un verso, reputava infondato l'assunto del primo giudice circa la necessità, ai fini della trasmissione dei dati e documenti acquisiti in sede penale agli Uffici finanziari, dell'autorizzazione del P.M., per altro verso, riteneva di dover ridurre il maggior reddito accertato dall'Amministrazione nella misura del 90%, pari alla ritenuta incidenza dei relativi costi nella produzione del reddito di impresa.

4. Per la cassazione della sentenza n. 148/4/08 ha, quindi, proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi. Il contribuente ha resistito con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale affidato ad un solo motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. In via pregiudiziale, va disattesa l'eccezione di tardività del ricorso principale proposta dal resistente F.D., secondo il quale l'atto introduttivo del presente giudizio sarebbe stato notificato con un giorno di ritardo rispetto al termine di sessanta giorni di cui all'art. 325 c.p.c., ossia il 9.2.09, a fronte della notifica della decisione di appello, avvenuta il 10.12.08.

Il giorno di scadenza del termine suindicato, ovverosia l'8.2.09, cadeva, infatti, di domenica, per cui il termine in questione è da intendersi prorogato al giorno successivo, ai sensi dell'art. 155 c.p.c., comma 4.

2. Ciò premesso, va rilevato che, con i tre motivi di ricorso - che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente - l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, artt. 2697 e 2729 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. La CTR - a parere della ricorrente - avrebbe, difatti, del tutto disatteso la prova legale desumibile, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, dalle movimentazioni dei conti bancari del contribuente, avendo ritenuto infondata la ripresa a tassazione dei prelevamenti effettuati su tali conti, sebbene il F. non avesse fornito prova alcuna, nè di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, nè in ordine alla loro eventuale irrilevanza nella determinazione del reddito di impresa.

2.2. La motivazione dell'impugnata sentenza sarebbe, dipoi, del tutto incongrua e contraddittoria, laddove il giudice di appello avrebbe immotivatamente disposto un abbattimento del reddito di impresa accertato dall'Ufficio, nella misura del 90%, sebbene il contribuente - a detta della stessa CTR - non avrebbe fornito giustificazione alcuna al riguardo, ed ancorchè la documentazione dal medesimo prodotta fosse stata giudicata incompleta ed insufficiente dalla stessa CTR.

2.3. Le censure sono fondate.

2.4. Ed invero, va osservato a tal riguardo che la norma di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), contiene una duplice previsione regolamentare, la cui portata ed il cui significato è opportuno chiarire in via preliminare. La disposizione succitata contiene, invero, nella prima parte, una disciplina di ordine generale - che difatti, non a caso, è del tutto analoga a quella prevista, in materia di IVA, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2 - consistente nel fatto che i "dati" e gli "elementi" acquisiti attraverso le indagini bancarie possono essere posti a base degli accertamenti e rettifiche, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 41 ( D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, per l'IVA), se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che essi non hanno rilevanza allo stesso fine. Nella seconda parte, riferibile al solo campo delle imposte dirette, la norma dell'art. 32 cit., prevede, inoltre, la possibilità che i "prelevamenti" vengano equiparati ai "ricavi o compensi" (nella versione successiva alle modifiche introdotte dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 402, che ha introdotto anche i "compensi"), ai fini delle rettifiche ed accertamenti, ove il contribuente non ne indichi il "beneficiario", e sempre che essi non risultino dalle scritture contabili.

2.5. Orbene, tra queste due diverse previsioni esistono evidenti punti di contatto, rappresentati dal fatto che - contemplando la disposizione succitata una presunzione legale relativa, e non assoluta - in entrambi i casi il potere impositivo può essere paralizzato in radice dalla prova contraria offerta dal contribuente.

2.5.1. In tale prospettiva, invero, la giurisprudenza di questa Corte si è univocamente espressa nel senso che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, la presunzione sancita dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 - che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravita, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici - impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi sono registrati in contabilità e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili.

Ed inoltre, considerato che, in materia, sussiste inversione dell'onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova specifica da parte del contribuente, e non un'altra presunzione semplice, ovvero una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere ad una valutazione equitativa (Cass. 18016/05; 25365/07; 16650/11; 13035/12).

2.5.2. La presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, in altri termini, vincola l'Ufficio tributario ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all'analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell'inversione dell'onere della prova. Il contribuente deve dimostrare, pertanto, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (cfr. Cass. 7766/08; 18081/10; 213939/13, con riferimento all'IVA).

2.6. Ebbene, nel caso di specie, siffatta dimostrazione è del tutto mancata da parte del F., come ha accertato la stessa CTR, laddove afferma che il contribuente, nonostante ripetuti inviti della Guardia di Finanza (p. 2), "non ha fornito giustificazioni" (p. 4) circa gli accrediti di ingenti somme in conto corrente, e che "la documentazione depositata dal contribuente in sede di appello (…) per la sua incompletezza, non è idonea a dimostrare quanto asserito dal medesimo".

E tuttavia, del tutto incongruamente e contraddittoriamente, la CTR perviene, poi, al convincimento - fondato sulla decisione della C. Cost. n. 225/05 - secondo cui il maggiore reddito accertato dall'Ufficio andrebbe ridotto alla misura del 10%, dovendo considerarsi l'incidenza su di esso dei costi di produzione del reddito medesimo, quantificati, in via del tutto anapodittica, in ragione del 90%.

2.7. Senonché, deve - per contro - rilevarsi che, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di appello, non può giovare affatto alla tesi del contribuente la menzionata decisione della Corte Costituzionale n. 225/05. Tale pronuncia ha, infatti, ritenuto - come rilevato da questa Corte, nella decisione n. 13036/12 - manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, nella parte in cui prevede che i "prelevamenti" effettuati nell'ambito dei rapporti bancari siano posti, come ricavi, a base delle rettifiche ed accertamenti dell'amministrazione finanziaria, se il contribuente non ne indichi il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili.

2.7.1. La Corte ha - per vero - reputato infondato ed anapodittico l'assunto del giudice rimettente circa l'indeducibilità a priori, per effetto della presunzione legale di imputazione ai ricavi, delle componenti negative dal maggior reddito d'impresa accertato in base alla norma impugnata, sulla considerazione che tale assunto risulta smentito dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di accertamento induttivo - quale è senza dubbio quello extracontabile esperito sui conti bancari del contribuente - si deve tenere conto, in ossequio al principio di capacità contributiva, non solo dei maggiori ricavi ma anche dell'incidenza percentuale dei relativi costi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non giustificati.

2.7.2. La pronuncia suesposta è stata resa, pertanto, con palese riferimento alla più delicata - rispetto a quella dei versamenti in conto corrente - fattispecie concernente i "prelevamenti" dai conti, per la quale - in presenza di una disciplina che prevede un'espressa qualificazione normativa del fatto (i prelevamenti si considerano ricavi), nonché uno specifico onere a carico del contribuente (indicare il beneficiario del prelevamento) - si sono posti dubbi circa la conformità della disciplina medesima ai principi costituzionali di cui all'art. 53 Cost. (poiché implicherebbe un'equivalenza tra ricavi e redditi, senza consentire una deduzione dei relativi costi) e art. 3 Cost. (per lesione del canone della ragionevolezza). E tale contrasto è stato escluso in considerazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale - peraltro - il contribuente può dedurre i relativi costi, sempre che fornisca - secondo i principi sopra enunciati - la prova specifica dell'effettività degli stessi e del loro ammontare, con esclusione di mere affermazioni di carattere generale o di determinazioni forfettarie, anche perché non sempre a ricavi occulti corrispondono costi occulti, mentre a ricavi occulti possono accompagnarsi costi dichiarati in misura maggiore del reale (Cass. 18016/05).

Non è possibile, pertanto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, contrapporre alla presunzione del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, relativamente ai prelevamenti dai conti, un'altra presunzione in relazione ad un abbattimento forfettario costituito da costi deducibili, dei quali non sia stata fornita compiuta dimostrazione da parte del contribuente (cfr. Cass. 23873/10;1426/13).

2.8. Ebbene, nel caso concreto, vengono in considerazione - come si rileva dalla stessa sentenza di appello - sia i "versamenti", per i quali non si pone il problema affrontato dalla succitata sentenza della Consulta, che i "prelevamenti" operati dal F. nell'anno 1998, sui conti a lui intestati, in relazione ai quali il medesimo non è stato in grado di fornire giustificazione alcuna, e che sono stati, pertanto, legittimamente ricondotti dall'Ufficio all'attività di impresa esercitata, sia pure di fatto, dal contribuente, avendo il F. cessato formalmente la sua attività il 31.12.98. In siffatta ipotesi, dunque, l'Amministrazione finanziaria - per le ragioni suesposte - era senz'altro legittimata a porre le risultanze acquisite, ovverosia i "versamenti" ed i "prelevamenti" sul conto bancario, a base dell'accertamento tributario, non avendo il contribuente indicato il beneficiario di questi ultimi, e non risultando che tali movimenti fossero stati indicati nelle scritture contabili o che fossero irrilevanti ai fini dell'imposizione, nonché in assenza della prova, quanto ai prelevamenti, dell'esistenza di costi detraibili correlati alla produzione del reddito da parte del contribuente.

2.9. E', allora, del tutto evidente l'errore nel quale è incorsa la CTR, la quale - in assenza dei suddetti elementi di prova da parte del F. - ha deciso di determinare, del tutto illegittimamente ed immotivatamente, i presunti costi di produzione del reddito nella misura forfettaria del 90%. E tanto in applicazione di una pronuncia della Corte Costituzionale che, per un verso, non si riferisce ai versamenti sui conti bancari, e per altro verso, in relazione ai prelevamenti, rinvia alla giurisprudenza di questa Corte la quale, sebbene ammetta la deduzione dei costi relativi alla produzione del reddito, fa comunque carico al contribuente di fornire la dimostrazione della loro esistenza e del loro ammontare.

3. Per tutte le ragioni che precedono, le censure in esame vanno, pertanto, accolte.

4. Passando, quindi, all'esame del ricorso incidentale proposto dal F., va rilevato che, con l'unico motivo di ricorso, il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 114, 125 e 329 c.p.p., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 3, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Si duole, invero, il ricorrente del fatto che la CTR abbia ritenuta legittimo e valido l'atto impositivo, nonostante l'Ufficio avesse utilizzato, ai fini dell'accertamento tributario in discussione, gli atti di indagine raccolti dalla Guardia di Finanza nel procedimento penale n. 1870/02 RGNR, promosso, per gli stessi fatti, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ancona.

Ed infatti, ad avviso del F., a differenza dell'ipotesi in cui la Guardia di Finanza opera sia come polizia tributaria che come polizia giudiziaria, il presupposto indefettibile per l'utilizzabilità dei documenti, dei dati e delle notizie acquisiti in sede penale, allorquando - come nella specie - i verbalizzanti operino solo come organi di polizia giudiziaria, è costituito dall'autorizzazione del Pubblico Ministero, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63.

4.2. Nel caso concreto, peraltro, sebbene una sorta di provvedimento autorizzatorio dell'organo giudiziario in questione sussista, esso - risolvendosi nella laconica locuzione "v. si autorizza" - sarebbe del tutto privo di motivazione, in violazione di quanto prescritto per i decreti penali dall'art. 125 c.p.p., e non sarebbe stato neppure depositato nella segreteria del Pubblico Ministero. Sìcchè detto provvedimento non potrebbe consentire - anche in deroga al segreto istruttorio ex art. 329 c.p.p., come prevede l'art. 63 del decreto cit. - l'utilizzazione del materiale raccolto dalla polizia giudiziaria in sede di indagini penali.

4.3. Il motivo è infondato.

4.3.1. Va, difatti, osservato al riguardo che, in materia di IVA - ma lo stesso è a dirsi per le imposte dirette, stante il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 - l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, richiesta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, per la trasmissione, agli Uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell'ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, e non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi. Ne discende che la sua mancanza, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l'efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica l'invalidità dell'atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi.

L'autorizzazione in parola è stata, infatti, introdotta per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio (C. Cost. 51/92), piuttosto che per filtrare ulteriormente l'acquisizione di elementi significativi a fini fiscali (Cass. 11203/07; 27947/09; 27149/11).

4.3.2. Se ne deve necessariamente inferire - con riferimento al caso di specie - che la sussistenza di un decreto autorizzatorio, seppure non del tutto fornito dei requisiti formali previsti dalla legge, non può, a fortiori, comportare la dedotta invalidità dell'avviso di accertamento adottato dall'Ufficio sulla base del materiale raccolto in sede penale.

4.4. La censura in esame va, di conseguenza, disattesa.

5. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso dell'Agenzia delle Entrate va accolto, mentre va rigettato il ricorso incidentale del F.. In accoglimento del ricorso principale, l'impugnata sentenza va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell'esercizio del potere di decisione nel merito di cui all'art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico dell'intimato soccombente, nella misura di cui in dispositivo.

Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale;

cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; condanna F.D. alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 13.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 13 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2014

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