Anche in materia di IVA e' valido il principio, gia' affermato con riferimento alle imposte sui redditi, secondo il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, e' - in linea di principio - emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e piu' gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; che essa costituisce un momento dell'<> procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria; e che i principi della capacita' contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legislativo che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l'inesistenza di fatti giustificativi. Ne consegue che detta emendabilita' non puo' ritenersi sottoposta al limite temporale di cui all'art. 37, commi quinto e sesto, del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale riguarda la rimozione di omissioni o la eliminazione di errori suscettibili di comportare un pregiudizio per l'erario, ma non la rettifica di dichiarazioni oggettivamente errate e quindi idonee a pregiudicare il dichiarante, anche in ragione del fatto che la negazione del diritto al rimborso determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell'erario. (In applicazione di tale principio, la Corte ha rigettato il ricorso dell'Amministrazione finanziaria contro la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto della societa' contribuente ad ottenere il rimborso dell'IVA indebitamente pagata e condannato l'Amministrazione Finanziaria al suo pagamento). Massima tratta dal CED della Cassazione.