Sentenza del 23/05/2023 n. 1590 - Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia Sezione/Collegio 1

Testo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Barletta Andria Trani - ha proposto appello, depositato il 24/10/2019, avverso la sentenza n. XXX/XX/2019 pronunciata il 3/7/2019, depositata il 3/10/2019, dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bari, 10^ sezione, che, con compensazione delle spese di giudizio, ha dichiarato estinto il giudizio per cessata materia del contendere, nel procedimento sorto a seguito del ricorso di XXXXXXXX XXXXX, avverso l'avviso di accertamento n. TVXXXXXXXX-2018 dell'Agenzia delle Entrate notificato il 15/05/2018, per il periodo d'imposta 2014 (per IRPEF, IRAP e IVA). I primi Giudici, ritenuto che fosse intervenuta una conciliazione fra le parti, dichiaravano l'estinzione del Giudizio per cessazione della materia del contendere.

Con l'appello all'odierno esame l'Agenzia della Entrate, dopo aver riassunto il fatto, sostiene l'insussistenza della dichiarata cessazione della materia del contendere, in quanto nel corso del processo non vi è stata alcuna conciliazione e/o mediazione tra il contribuente e l'Ufficio Finanziario, come desumibile agevolmente dalla documentazione in atti e dal verbale d'udienza. La decisione, prosegue l'appellante, è evidente frutto di un equivoco dei primi giudici, dal momento che al ricorso del contribuente è stato allegato un Processo Verbale di conciliazione redatto il 1°/3/2018, ma si tratta di un atto relativo ad un diverso avviso di accertamento (TVSXXXXXXXXX-2018) e ad altro periodo d'imposta (2012). Invoca quindi la declaratoria di nullità della sentenza per vizio di motivazione, essendo basata su elementi descrittivi privi di riscontro (cfr. Cassazione 4453/1986) e costituendo l'erronea indicazione delle richieste delle parti punto decisivo del dispositivo (cfr. Cassazione 2711/1990, 3869/1989, 2349/1988). Sostiene l'appellante l'infondatezza dell'unico motivo di ricorso di primo grado (l'illegittimità per infondatezza nel merito dell'atto impugnato) dal momento che l'accertamento era fondato sui controlli effettuati su tutti gli elementi del conto economico, che hanno fatto emergere numerose irregolarità nella contabilizzazione di costi e ricavi, incongruenti con il deficitario volume d'affari dichiarato, tenuto conto delle spese per il personale dipendente (che supera i ricavi dichiarati) e della comparazione dei prezzi di acquisto dei materiali di consumo con quelli riportati nei prospetti delle rimanenze, ed ancora l'assenza di acquisti di prodotti per oltre sei mesi pur in presenza di oltre 1500 prestazioni eseguite nel medesimo periodo. Conclude chiedendo l'accoglimento dell'appello con vittoria di spese.

Nonostante la regolarità della notifica nessuno si è costituito per il contribuente.

All'odierna udienza la causa è stata assunta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'appello è fondato e deve essere accolto.

La sentenza è frutto di un evidente errore nel quale sono incorsi i primi giudici in quanto il verbale di conciliazione prodotto dal contribuente in allegato al proprio ricorso è inerente un diverso accertamento ed un diverso anno di imposta. La causa deve pertanto essere decisa nel merito. Il ricorso proposto dal contribuente è del tutto infondato, non presentando l'accertamento condotto dall'Agenzia delle Entrate alcun profilo di illegittimità. L'unica doglianza concreta articolata dal contribuente, in relazione alle contestazioni dell'Ufficio si incentra sul fatto che gli accertatori, neppure in sede di contraddittorio endo-procedimentale, avrebbero tenuto conto nella determinazione dei ricavi operata ai sensi degli artt. 39, c. 1, lett. d) del DPR 600/1973, 54 del DPR 633/1972 e 5 ed 11 del D.lgs. 446/1997, del limitato periodo di svolgimento dell'attività (da gennaio a marzo). In realtà dalla stessa lettura del ricorso si evince che il contribuente stesso ammette che il periodo preso in esame in sede di accertamento è quello dal 1° gennaio al 31 marzo del 2014, quindi non si comprende di cosa si dolga visto che l'accertamento dell'Ufficio è fondato su una semplice moltiplicazione fra un'ipotesi di prestazione standard (vale a dire la consumazione di \? 7,25 per la pizza e una bibita), per il numero di prestazioni giornaliere ed il numero di giorni sopra indicati. Inoltre, come rileva correttamente l'odierna appellante, non sono state prese in considerazione dall'Ufficio le merci riconducibili ad altri tipi di somministrazione (quali antipasti, dolci, liquori, superalcoolici, ecc.) che risultano comunque acquistate dal contribuente nel periodo accertato. A ciò deve aggiungersi che risultano contabilizzati dal contribuente nel periodo in esame costi non di competenza per \? 2.163,06; che viene annotata l'utilizzazione di fattori produttivi per un totale di \? 53.505,00 per merci acquistate, salari e stipendi, illuminazione e forza motrice ed altro, incongruenti con il volume d'affari dichiarato di \? 34.206,00; che, infine, non vi sono contabilizzazione di acquisti di prodotti per oltre sei mesi pur avendo eseguito oltre 1500 prestazioni nel medesimo periodo.

Per tali ragioni sussistevano le condizioni per determinare l'Ufficio Finanziario ad operare l'accertamento ai sensi dell'art. 39 c. 1, lett. d) del DPR 600/1973, mente il contribuente non ha, a fronte dell'accertamento di tipo analitico-induttivo condotto dall'Agenzia delle Entrate, dimostrato, in virtù dell'onere probatorio a suo carico, l'esistenza dei presupposti per la deducibilità dei costi afferenti ai maggiori ricavi o compensi determinati in sede di accertamento. Sul punto pacifica è la giurisprudenza di legittimità (Cass. ord. 7 maggio 2020, n. 8590) secondo la quale "legittima la presunzione, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal contribuente sulla base di elementi indiziari dotati dei caratteri della gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 c.c.. In presenza di tale presupposto la norma non impone altro onere all'Amministrazione, ma piuttosto onera il contribuente a offrire la prova contraria, in particolare quella dell'esistenza di costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d'impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione alla attività. Inoltre, poiché nei poteri dell'Amministrazione finanziaria rientra anche la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità dei costi sproporzionati ai ricavi e all'oggetto dell'impresa, l'onere della prova dell'inerenza dei costi, gravante sul contribuente, comprende anche la congruità dei medesimi".

In conclusione, l'appello va accolto e, stante l'infondatezza del ricorso di primo grado, va dichiarata la legittimità dell'avviso di accertamento impugnato dal contribuente.

Il fatto che la decisione del primo grado sia fondata su un fraintendimento evidente delle risultanze processuali e non si sia soffermata neppure a vagliare la fondatezza del ricorso, induce a compensare le spese del presente grado di giudizio, nel quale, peraltro, il contribuente non si è neppure costituito al fine di contrastare la pretesa dell'Ufficio.

P.Q.M.

la Corte, definitivamente pronunciando, accoglie l'appello e per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, dichiara la legittimità dell'avviso di accertamento n. TXXXXXXXXXXX-2018. Spese compensate.

Così deciso in Bari, nella Camera di Consiglio del giorno 20 aprile 2023

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