Sentenza del 18/07/2002 n. 10509 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
La societa' E. ha presentato la dichiarazione Invim decennale in ordine
ad un fabbricato sito in Pescara, dichiarando un valore di lire
3.154.600.000 e pagando un'imposta di lire 58.130.405.
Nella dichiarazione la societa' ha chiesto di avvalersi dell'art. 12 l.
n. 154/88; quindi, l'Ute ha notificato l'attribuzione della rendita
all'immobile (impugnata dalla societa' in un primo giudizio), e l'ufficio
del Registro ha notificato l'avviso di liquidazione, dalla societa' in
questa sede.
La Commissione Provinciale ha accolto parzialmente il ricorso ed ha
determinato il valore finale in lire 5.935.500.000, adeguandosi a quanto
deciso dal giudice di primo grado nel giudizio vertente sull'attribuzione
della rendita, e la sentenza e' stata confermata dalla Commissione
Regionale. Ha proposto ricorso il Ministero delle Finanze deducendo un unico
motivo. Ha resistito la societa' con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa
applicazione degli articoli 34 del d.lgs. n. 346/90, 31 d.p.r. n. 643/72, 19
d.lgs. n. 546/92, 295 c.p.c. ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c.,nonche'
difetto di motivazione, sul presupposto che:
a) l'avviso di liquidazione, essendo stata comunicata la determinazione
adottata dall'Ute in una procedura di assegnazione di rendita ex art. 12 l.
n. 154/88, poteva essere impugnato solo per vizi propri, dovendosi proporre
altro giudizio per formulare le censure avverso la determinazione della
rendita;
b) il ricorso della societa' doveva essere dichiarato inammissibile
perche' non conteneva vizi propri dell'avviso di liquidazione; la sentenza
n. 131/95 emessa dalla Commissione di primo grado nel giudizio vertente
sulla determinazione della rendita non era definitiva e non poteva essere
posta a base della sentenza resa dalla Commissione Regionale in sede di
ricorso avverso l'avviso di liquidazione e qui impugnata; al massimo, la
Commissione Regionale avrebbe dovuto sospendere il giudizio in attesa del
giudicato che si sarebbe formato nel giudizio vertente sulla determinazione
della rendita. Il ricorrente ha segnalato a questo proposito che la sentenza
n. 135/95 e' stata riformata dalla Commissione Regionale che ha accolto
l'appello dell'ufficio.
La societa' ha sostenuto che la sentenza resa dalla Commissione
Regionale che ha accolto l'appello dell'ufficio in tema di determinazione
della rendita e' stata impugnata con ricorso in Cassazione e che il
Ministero delle Finanze in altre occasioni ha normalmente confermato nei
fatti l'applicazione del saggio del 2% (effettuata dal giudice tributario
nella specie), rinunciando ai ricorsi nei quali si prospettava una aliquota
diversa.
Ritiene la Corte che il ricorso e' fondato nella parte in cui alla
sentenza impugnata sono state mosse le censure relative:
a) al fatto che e' stato dato valore ad una decisione non definitiva
resa in terna di attribuzione della rendita da altro giudice;
b) alla mancata sospensione del giudizio de quo da parte della
Commissione Regionale, in attesa di una decisione definitiva in tema di
attribuzione della rendita.
E infatti, se e' vero che l'avviso di liquidazione puo' essere impugnato
per vizi propri (dal momento che le questioni di merito e di valutazione
devono essere fatte valere con l'impugnazione del provvedimento di
attribuzione della rendita ritualmente notificato), e' altrettanto vero che
quando pero' un giudizio sull'attribuzione della rendita esiste gia' ed e'
ancora pendente, o si riuniscono i due giudizi (se cio' e' possibile),
oppure diventa doveroso attendere, prima di decidere sui problemi della
liquidazione dell'imposta (che sono sempre consequenziali), che il giudizio
relativo all'attribuzione della rendita, che e' pregiudiziale, venga
definito con un giudicato. Una terza soluzione non e' praticabile proprio
per non vanificare le esigenze sottese alla disciplina prevista
dall'articolo 295 c.p.c., che contiene principi generali sicuramente
applicabili.
A questo proposito, va affermato che l'articolo 39 d.lgs. n. 546/92, che
limita i casi di sospensione del giudizio, va interpretato nel senso che
esso disciplina i rapporti esterni con la giurisdizione civile, ma non anche
i rapporti interni tra processi tributari per i quali, giusta il disposto
dell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/92, valgono le disposizioni del codice
di procedura civile, tra le quali quella di cui all'articolo 295 che,
disciplinando la "sospensione necessaria" dispone che "Il giudice dispone
che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice
deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione
della causa".
E' stato di recente ritenuto che "Anche nel processo tributario, in tanto
si puo' parlare di 'questione incidentale pregiudiziale' in quanto la
questione 'pregiudiziale' pendente dinanzi ad altro giudice tributario abbia
il carattere della 'incidentalita' necessaria nell'ambito del giudizio
principale: se invece la 'questione' e' oggetto diretto del petitum
nell'ambito di entrambi i due diversi procedimenti, allora la fattispecie si
risolve, a seconda dei casi, in un'ipotesi di 'litispendenze' o di
'continenza' e come tale deve essere disciplinata; piu' in particolare,
quando poi, vertendosi in ipotesi di 'continenza', non si renda possibile
l'applicazione dello strumento della reductio ad unum dei due procedimenti
previa riunione degli stessi, per il fatto che essi risultino pendenti in
grado diversi, allora la incidentalita' della causa 'contenute' diviene
presupposto per l'applicazione in via estensiva dell'art 295 c.p.c.; ad un
tal riguardo, ad una tale applicazione dell'art. 295 c.p.c. nel processo
tributario non si pone di ostacolo la formulazione limitativa di cui
all'art. 39 d.lgs. n. 546/92" (Cass. sent. n. 14281/2000).
Nella specie, proprio per la natura del giudizio di impugnazione
dell'avviso di liquidazione (chiaramente consequenziale rispetto a quello
dell'attribuzione della rendita), era doveroso sospendere il giudizio
risultando errato emettere una decisione basata su una sentenza non
definitiva relativa all'entita' della pretesa fatta valere dal Fisco nella
fase di merito. Il ricorso va dunque accolto per i profili sopra esaminati e
la sentenza va cassata con rinvio ad altra Sezione della Commissione
Regionale dell'Abruzzo anche per le spese.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e
rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Commissione Regionale
dell'Abruzzo.
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