Sentenza del 23/03/2023 n. 2014 - Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania Sezione/Collegio 1
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza numero 2022 del 14.01.2022, depositata in data 24.01.2022, la Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Napoli ha rigettato il ricorso proposto dalla società "S.A.C.C.L.A. s.r.l." (Società autotrasporti commercio carburanti lubrificanti affini) avverso il diniego di rimborso dell'IRBA (Imposta regionale sulla benzina per autotrazione) per un importo complessivo di euro 20.993,27 versata in favore della Regione Campania per gli anni di imposta 2018, 2019 e 2020, diniego datato 14.4.2021. Nel ricorso introduttivo, la società ricorrente ha eccepito la illegittimità del diniego perché l'imposta in contestazione, introdotta con Legge Regionale n.28 del 24/12/2003, è illegittima e contraria alla normativa europea, tanto è vero che l'imposta stessa è stata abrogata con il comma 628 dell'art.1 della Legge n.178 del 30/12/2020. Con proprie controdeduzioni si è costituita la Regione Campania e ha chiesto il rigetto del ricorso perché la norma predetta, che ha abrogato l'IRBA, ha fatto "salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte"; ha evidenziato, altresì, che la società ricorrente non ha fornito alcuna prova di aver versato l'imposta stessa. Ha prodotto precedenti decisioni della Corte di Giustizia Tributaria favorevoli alla sua tesi. Il Giudice di prima istanza, con motivazione alla quale si rinvia, ritenendo che non sia disapplicabile la norma con riferimento alla disciplina transitoria, ha rigettato il ricorso, compensando le spese di giudizio per la complessità delle questioni giuridiche trattate. La società contribuente ha proposto rituale appello, ribadendo, sostanzialmente, le stesse argomentazioni evidenziate nel corso del giudizio di primo grado, censurando la sentenza impugnata. In particolare, ha evidenziato che l'abrogazione dell'IRBA aveva determinato l'archiviazione della procedura d'infrazione, che l'espressione "salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già sorte" era contraria al principio di effettività del diritto dell'unione europea e pertanto doveva essere disapplicata. Ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice della sentenza impugnata, il soggetto passivo dell'IRBA non è mai stato il consumatore finale nè è stabilito alcun obbligo di rivalsa (secondo lo schema IVA). Ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio. La Regione Campnia appellata si è costituita in giudizio, depositando controdeduzioni, e ha ribadito le argomentazioni già rappresentate nel giudizio di primo grado. In particolare, ha evidenziato che la Commissione europea aveva deciso di archiviare le procedure d'infrazione, tra cui la 2017/2114, per cui correttamente era stata riscossa l'IRBA. Ha sostenuto che l'art.1, comma 628, della legge n. 178 del 2020 affermava che erano fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte, per cui non vi era un diritto al rimborso dell'IRBA versata negli anni antecedenti al 2021. Ha evidenziato che la società appellante ha rappresentato solo questioni in diritto, ma non risulta depositata in giudizio alcuna documentazione idonea a dimostrare che le somme richieste a titolo di IRBA, che si chiedono in restituzione, siano state effettivamente pagate, nè che si tratta di somme rimaste a suo carico e che non vi sia stata la traslazione sul prezzo praticato alla vendita al consumatore finale che, di regola, nelle imposte di consumo è il soggetto economicamente inciso. Ha concluso chiedendo il rigetto dell'appello con vittoria delle spese di giudizio. All'udienza del 14 marzo 2023 il collegio, sentito il relatore in camera di consiglio ed esaminati gli atti, ha deciso come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello della società contribuente va accolto, non condividendosi la motivazione dei Giudici di prima istanza In via preliminare, occorre esaminare la conformità sul piano eurounitario della imposizione tributaria dell'IRBA, cioè l'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, corrisposta in data anteriore al 2021, cioè fino a quando l'imposta è rimasta vigente prima dell'abrogazione della norma impositiva. Con riferimento al profilo della conformità al diritto eurounitario, non vi è univocità interpretativa. Secondo un primo indirizzo, sostenuto anche in qualche pronuncia della CTR della Campania, non è disapplicabile per contrasto con il diritto eurounitario la norma impositiva con riferimento alla disciplina transitoria. E' noto, infatti, che con l'art. 1, comma 628, l. n. 178 del 2020 (finanziaria 2021) è stata abrogata l'IRBA, fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte. Grazie a tale previsione normativa, la Commissione UE ha archiviato la procedura d'infrazione contro l'Italia. La Commissione europea, infatti, aveva evidenziato che con l'introduzione dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, ad opera dell'art. 17 del decreto legislativo 21.12.1990, n. 398, emanato ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lett. c), della legge 158 del 14 giugno 1990, la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi derivanti dalla direttiva 2008/118/CE (articolo 1, paragrafo 2). In particolare, la Commissione europea aveva ritenuto che non fosse ravvisabile, in relazione all'IRBA riscossa in alcune regioni a statuto ordinario, l'esistenza della finalità specifica richiesta dall'articolo 1, paragrafo 2 sopramenzionato nè delle altre condizioni ivi indicate necessarie a consentire la coesistenza, nel sistema fiscale nazionale, dell'accisa armonizzata sulla benzina e di altre imposte indirette supplementari sullo stesso prodotto. Di qui l'abrogazione dell'imposta, ma con salvezza degli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte. È evidente che tale ultima prescrizione sia stata il frutto di una mediazione, accettata dalla Commissione europea, onde evitare di danneggiare le casse regionali che hanno percepito nel corso degli anni un'imposta supplementare sulla benzina senza finalità specifica. In relazione a ciò tale orientamento ha ritenuto che non fosse disapplicabile la norma con riferimento alla disciplina transitoria" (CTR Campania, Napoli, sez. 10, 4.10.22, n. 6482). Analogamente, in altra pronuncia è stato evidenziato che "Né ( ) emerge un palese e diretto contratto con gli invocati parametri euro-unionali, tanto da produrne la disapplicazione da parte di questo giudicante, trattandosi di misura a carattere temporanea, ragionevolmente riferita alle sole situazioni pregresse e rientrante nell'ambito della insindacabile scelte di politica tributaria dei singoli Stati membri" (CTR sez. 17, 28.9.22, n. 6336). Un secondo orientamento, cui il Collegio ritiene di aderire, ritiene che il profilo di contrasto della norma impositiva dell'IRBA con il diritto eurounitario non può essere escluso per la sola ragione della transitorietà dell'applicazione del tributo. Tale indirizzo è stato sostenuto dalla Corte di Cassazione la quale, con condivisibile motivazione, ha così statuito:
".La disciplina concernente l'imposta in esame non assume alcun più rilievo alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 9 novembre 2021 che, nell'interpretare la citata direttiva 2008/118 - sostanzialmente riproduttiva delle disposizioni di cui all'art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12, la quale disponeva che " i prodotti sottoposti ad accisa possono essere oggetto di altre imposte indirette aventi finalità specifiche" (cfr. CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, punto 27; CGUE, 5 marzo 2015, causa C-553/13, Statoil Fuel & Retail, punto 34) -, recepita nell'ordinamento nazionale con D.Lgs. n. 29/3/2010, n. 48, ha chiarito che i prodotti energetici possono essere gravati da tributi ulteriori purché il relativo gettito sia vincolato ab origine ad una finalità specifica. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea è intervenuta in materia di I.R.B.A. con detta ordinanza, a seguito di rinvio pregiudiziale nella causa C255/20. Nello specifico, la domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull'interpretazione dell'art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 alla luce dell'art. 1, paragrafi 1 e 2 della direttiva n. 118 del 26 ottobre 2008, recepita nell'ordinamento nazionale con D.Lgs. n. 29/3/2010 n. 48, che prevede che i prodotti energetici possono essere gravati da tributi ulteriori purché il relativo gettito sia vincolato ab origine ad una finalità specifica. 6.1 Occorre premettere che la Direttiva 2008/118 ha stabilito che, "poiché la direttiva 92/12/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa ha più volte subito modifiche sostanziali e sono necessarie ulteriori modifiche, per motivi di chiarezza è opportuno sostituirla; stabilendo che le condizioni per la riscossione delle accise sui prodotti contemplati dalla direttiva 92/12/CEE ("prodotti sottoposti ad accisa") devono rimanere armonizzate al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno". Il considerando 3 della direttiva 92/12 così recitava:
"(C)onsiderando che deve essere definita la nozione di prodotti soggetti ad accisa; che solo le merci considerate tali in tutti gli Stati membri possono essere oggetto di norme comunitarie; che tali prodotti possono formare oggetto di altre imposizioni indirette aventi finalità specifiche; che il mantenimento o l'introduzione di altre imposizioni indirette non devono dar luogo a formalità connesse al passaggio di una frontiera". L'art. 3 di tale direttiva disponeva quanto segue:
"1. La presente direttiva è applicabile, a livello comunitario, ai prodotti seguenti, come definiti nelle direttive ad essi relative:
- gli oli minerali, - l'alcol e le bevande alcoliche, - i tabacchi lavorati. I prodotti di cui al paragrafo 1 possono formare oggetto di altre imposizioni indirette aventi finalità specifiche, nella misura in cui esse rispettino le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilità e il controllo dell'imposta. (…)". La direttiva 92/12 è stata abrogata, a decorrere dal 1 aprile 2010, e sostituita dalla direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12 (GU 2009, L 9, pag. 12). 6.3 La Corte di Giustizia ha statuito che l'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che istituisce un'imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che non si può ritenere che tale imposta abbia una "finalità specifica" ai sensi di tale disposizione(ovvero di quella precedentemente in vigore), il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti territoriali. Per la Corte, "anche se l'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 (che riproduce la direttiva 9/712) prevede che gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette, è necessario che tali imposte abbiano "finalità specifiche" e che siano conformi alle norme fiscali dell'Unione applicabili per le accise o per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta", dunque "siccome qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio, la sola circostanza che un'imposta miri a un obiettivo di bilancio non può, di per sì sola, salvo privare l'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 di qualsivoglia sostanza, essere sufficiente a escludere che l'imposta in parola possa essere considerata dotata parimenti di una "finalità specifica" ai sensi di tale disposizione (sentenza del 5 marzo 2015, Statoil Fuel & Retail, C-553/13, EU:C:2015:149, punto 38 e giurisprudenza ivi citata) (…)sebbene la destinazione al bilancio degli enti territoriali del gettito di un'imposta per il finanziamento da parte di tali enti di competenze loro attribuite possa essere un elemento da prendere in considerazione per identificare l'esistenza di una "finalità specifica" ai sensi di detta disposizione, una simile destinazione, che si configura come una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro, non può, in quanto tale, costituire una condizione sufficiente al riguardo.(…) In assenza di un siffatto meccanismo di destinazione predeterminata del gettito, un'imposta che grava sui prodotti sottoposti ad accisa può essere considerata perseguire una "finalità specifica" ai sensi dell'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 soltanto qualora tale imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo alla materia imponibile o all'aliquota d'imposta, in modo tale da influenzare il comportamento dei contribuenti nel senso di consentire la realizzazione della finalità specifica invocata, ad esempio mediante una forte tassazione dei prodotti di cui trattasi al fine di scoraggiarne il consumo (sentenza del 5 marzo 2015, Stato il Fuel & Retail, C-553/13, EU:C:2015:149, punto 42 e giurisprudenza ivi citata)(…)." Alla luce dell'insieme delle suesposte considerazioni, la Corte risponde alla questione sollevata dichiarando che l'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che istituisce un'imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che non si può ritenere che tale imposta abbia una "finalità specifica" ai sensi di tale disposizione, il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti territoriali. L'ordinamento italiano, dal canto suo, aveva già provveduto, prima della sentenza citata, ad abrogare il tributo di cui si discute. Tuttavia, ad un attento esame, dall'esegesi della disposizione dell'art. 1, comma 628, L. 30 dicembre 2020, n. 178 (Legge di Bilancio 2021), con decorrenza dal 01.01.2021, emerge che essa, pur avendo abrogato tutte le norme afferenti all'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, e, a cascata, di quella regionale, "ha fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte". In altri termini, con la disposizione normativa in commento (ex art. 1, comma 628, cit) il legislatore ha inteso preservare e circoscrivere nel tempo la legittimità dell'IRBA, prevedendo che essa dia diritto al rimborso o l'obbligo della debenza solo per quelle obbligazioni sorte a partire dal 1 gennaio 2021. 6.4. Ciò significa che il legislatore nazionale ha inteso assicurare la debenza dell'IRBA per i rapporti pregressi, ancorchè il tributo sia stato istituito da una norma adottata in contrasto con il diritto dell'Unione Europea (direttiva 2008/118), così come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia, che ha consegnato la corretta interpretazione dell'art. 1, paragrafo 2, della direttiva citata, ritenendo che il suo disposto osti a una normativa nazionale che istituisce un'imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione. Va, innanzitutto, rammentato che il dictum della Corte di Giustizia costituisce una regula iuris applicabile dal giudice nazionale in ogni stato e grado di giudizio; con la conseguenza che la sentenza della Corte di Giustizia è fonte di diritto oggettivo (Cass. 9/02/2012, n. 9217; Cass. del 2.03.2005, n. 4466; Cass. 857/95). Inoltre, va rammentato che l'interpretazione di una norma di diritto comunitario data dalla Corte di Giustizia può e deve essere applicata dal giudice anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa (CG del 15 settembre 1998, C-231/96; Cass. dell'11.09.2015, n. 17994). Su tale questione questa Corte ha ripetutamente affermato che alla natura dichiarativa delle sentenze della Corte di Giustizia discende l'efficacia retroattiva, sin dal momento dell'entrata in vigore delle norme interpretate. La retroattività significa che il diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte suddetta, può essere applicato ad ogni rapporto giuridico già sorto, purché non esaurito. (Sez. U. del 16.06.2014, n. 13676; vedi anche Cass. del 27.11.2014, n. 25268; Cass. del 11/09/2015, n. 17993, in motiv.; Cass. del 27.07.2021, n. 21419, in motiv.). 7.Ciò vale non soltanto per le pronunce rese in sede di interpretazione, ma anche per quelle in sede di apprezzamento di validità. (Cass. del 20.07.1998, n. 7105; Cass. del 7.08.1999, n. 8504). E' stato altresì precisato che la pronuncia comunitaria, non può configurarsi come espressione di "overruling" e, come tale, inidonea ad operare retroattivamente (Cass. del 25.07.2012. n. 13087). Anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che l'efficacia retroattiva di dette sentenze - come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale - incontra solamente il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche (circostanze queste che non ricorrono nel caso di specie) (Sez. U. del 16.06.2014, n. 13676, citata). 7.1 Da ultimo, va ricordato l'importante principio affermato da questa Corte, secondo cui l'interpretazione del diritto comunitario, adottata dalla Corte di giustizia, ha efficacia "ultra partes", sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino "ex novo" norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia "erga omnes" nell'ambito della Comunità (Cass. dell'11.12.2014, n. 22577; Cass. dell'08/02/2016, n. 2468; Cass. 03/03/2017, n. 5381). Ancora, questa Corte ha già affermato che in tema di efficacia del diritto comunitario, il fondamento della diretta applicazione e della prevalenza delle norme comunitarie su quelle statali si rinviene essenzialmente nell'art. 11 della Costituzione, laddove stabilisce che l'Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni (Cass. 4466/05 citata). 7.1 Il contrasto tra norme statali e disciplina comunitaria non dì luogo ad invalidità o alla illegittimità delle prime, ma comporta la loro "non applicazione", che consiste nell'impedire che la norma interna venga in rilievo per la definizione della controversia davanti al giudice nazionale (Cass. del 2.3.2005, n. 4466, in motiv.). L'interpretazione del diritto comunitario, con efficacia vincolante per tutte le autorità (giurisdizionali o amministrative) degli Stati membri, anche ultra partes compete alla Corte di Lussemburgo. Spetta infatti alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 164 del Trattato CEE, assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del medesimo trattato. Da ciò se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/ o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di Giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l'ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative (Cass. n. 4466/05, cit.). È alla luce dei detti principi che va riconosciuto alle sentenze della Corte di Giustizia il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso - come già rilevato - che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità (Cass. 22577/12, cit.). 7.3 La Corte Costituzionale ha poi in particolare affermato che tale efficacia va riconosciuta a tutte le sentenze della Corte di Giustizia, sia pregiudiziali ai sensi dell'art. 177 del citato Trattato CEE (Corte Cost. n. 113/1985), sia che siano emesse in sede contenziosa ai sensi dell'art. 169 dello stesso Trattato (Corte Cost. n. 389/89, Corte Cost. n. 168/91). Giova, altresì, rammentare che sulla base del c.d. principio del "primato" della normativa comunitaria il giudice nazionale può disapplicare la normativa interna di uno Stato membro aderente alla Comunità Europea quando essa contrasta con il diritto Comunitario derivato. E invero, il diritto dell'Unione gode di una posizione di supremazia rispetto alle norme interne, espressamente desumibile, nell'ordinamento italiano, all'art. 11 ed all'art. 117, comma 1, della Costituzione. Ciò comporta che, in via generale, nessuna norma nazionale può porsi in contrasto con il diritto Eurounitario, con la conseguenza che il giudice ordinario che, nel caso concreto, rilevi tale violazione, deve comportarsi in modo tale da risolvere egli stesso tale antinomia. I giudici nazionali, infatti, attraverso gli strumenti, quali l'interpretazione conforme, la disapplicazione, la sospensione provvisoria della misura nazionale ritenuta incompatibile con il diritto UE (anche prima della decisione della Corte), deve rendere omogenei l'ordinamento Eurounitario e quello nazionale. 8.Ciò posto, il principio secondo il quale la sentenza della Corte di giustizia Europea deve essere applicata dal giudice anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa - come confermato sia dalla Corte Europea che da questa Corte di cassazione - si pone in contrasto con l'art. 1, comma 628, L. 30.12.2020, n. 178 (la legge di bilancio 2021) che, al contrario, vorrebbe applicare ai rapporti pregressi ancora non esauriti in quanto sub iudice, l'Irba in contrasto con il diritto unionale sin dal 1992, ancorchè priva della finalità specifica prevista dalle direttive sopra citate, di guisa che, nella impossibilità di procedere ad un'interpretazione della normativa nazionale (legge di bilancio 2021) conforme alle prescrizioni del diritto dell'Unione, la disposizione di cui all'art. 1, comma 628, L. 30.12.2020, n. 178 deve essere disapplicata, in quanto in contrasto con la direttiva n. 2008/118 che ha abrogato e sostituito quella n.. 12/92, come interpretate dalla ordinanza del 9 novembre 2021 della Corte di Giustizia Europea di diritto dell'Unione" (Cass. civ., sez. trib., 6 marzo 2023, n. 6687). Il Collegio, in adesione a tale ultimo orientamento sostenuto dalla S.C., ritiene di dovere disapplicare la disposizione che fa salvi gli effetti pregressi impositivi dell'IRBA in base alla quale parte contribuente ha versato il tributo. Disapplicata la norma impositiva dell'IRBA, occorre esaminare la richiesta restitutoria di parte contribuente, che ha chiesto il rimborso delle somme pagate a titolo del tributo per cui è causa. Ciò in quanto parte della giurisprudenza, pur ritenendo la norma impositiva in esame in contrasto con il diritto eurounitario e quindi disapplicandola, ha escluso il rimborso in favore del contribuente; in particolare questa CTR ha affermato che "secondo l'orientamento della CGUE, in linea di principio, il diritto di ottenere il rimborso delle somme riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto dell'Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni del diritto dell'Unione, nell'interpretazione loro data dalla Corte (Cgue, c-591/2010). Ai fini, tuttavia, della concreta legittimazione ad ottenere il rimborso in parola, la CGUE, nel rispetto di un principio di giustizia sostanziale, tiene in debito conto l'effettivo gravare del relativo onere economico. Più in particolare, ha chiarito che il diritto alla ripetizione dell'indebito è finalizzato a rimediare alle conseguenze dell'incompatibilità dell'imposta con il diritto dell'Unione, neutralizzando l'onere economico che ha indebitamente gravato l'operatore che, in definitiva, lo ha effettivamente sopportato. Si è, pertanto, negato il diritto al rimborso di tributi indebitamente percepiti unicamente "nell'ipotesi in cui essa comporterebbe un arricchimento senza causa degli aventi diritto, vale a dire quando la persona tenuta al loro pagamento li ha di fatto riversati direttamente sull'acquirente (v., in tal senso, sentenza Lady & Kid e a., cit., punti 18 e 20)" (CGUE c-94/10). Si tratta, infatti, di situazioni nelle quali l'onere del tributo indebitamente percepito non verrebbe sopportato dal soggetto passivo, bensì dall'acquirente, sul quale l'onere è stato traslato. Pertanto, il rimborso al soggetto passivo dell'importo del tributo che questi ha già riversato sull'acquirente equivarrebbe, per lui, a un doppio introito qualificabile come arricchimento senza causa, mentre non sarebbe posto rimedio alle conseguenze che derivano all'acquirente dall'illegittimità del tributo (sentenze 14 gennaio 1997, cause riunite da C 192/95 a C 218/95, Comateb e a., Racc. pag. I 165, punto 22, e Lady & Kid e a., cit., punto 19). Il rimborso è stato così negato nel caso in cui la contribuente, se da un lato ha dimostrato di avere semplicemente "versato" l'imposta in parola alla Regione, dall'altro lato non ha, tuttavia, fornito anche la prova di avere concretamente subito e mantenuto nella propria sfera patrimoniale l'onere economico della imposta, presupposto, quest'ultimo, necessario, secondo il richiamato orientamento della CGUE, per il configurarsi del diritto al rimborso. Non ha, cioè, comprovato in alcun modo di non avere traslato il predetto onere economico sul consumatore finale, nonostante la formale doglianza in tal senso articolata dalla Regione ( ). Valga, in proposito, ulteriormente rammentare che anche la Corte costituzionale, proprio in tema di diritto alla ripetizione di quanto pagato a titolo di tributi istituiti in violazione del diritto comunitario, in ossequio al richiamato orientamento interpretativo della CGUE, ha ribadito che spetta al giudice accertare la effettiva spettanza dell'invocato diritto al rimborso, previa verifica dell'avvenuto riversamento o meno del relativo peso economico in capo ad altri soggetti (Cost 113/85). Ne discende, alla luce del riportato orientamento della giurisprudenza eurounitaria, la inconfigurabilità, nel caso all'esame, del diritto al rimborso in capo alla contribuente" (CTR Campania, Napoli, sez. 7, 20.9.2022, n. 6192, la quale peraltro muove dalla premessa di principio secondo cui la norma che prevede il tributo in esame debba essere disapplicata per contrasto con il diritto UE, ciò non incidendo tuttavia sulla rimborsabilità del tributo quando parte contribuente non dimostri che l'imposta non sia stata traslata sul consumatore finale). In talune decisioni si esclude il rimborso in ragione delle particolari modalità di versamento del tributo, da cui conseguirebbe la traslazione dell'imposta al consumatore finale: "In ogni caso, per tutte le annualità oggetto di richiesta di rimborso, si evidenzia come tale pretesa non meriti accoglimento, non avendo titolo la ricorrente a chiedere il rimborso dell'IRBA, per essere stata tale imposta IRBA versata dai consumatori finali. Invero osserva la Commissione che trova applicazione lo schema dell'IVA, dove il contribuente soggetto passivo del tributo, tenuto alla dichiarazione ed al versamento nei confronti dell'amministrazione finanziaria, è neutro rispetto alla concreta incidenza del tributo, non essendo il soggetto materialmente inciso dal prelievo che invece, come sopra descritto, è il consumatore finale. Ne discende che la società ricorrente, pertanto, non ha alcun diritto al rimborso di somme che in realtà non ha mai versato di per sì, ma ha solo acquisito dal consumatore all'atto della erogazione del carburante al cliente in uno al prezzo di vendita del bene fornito. In altri termini, va qui ribadito il principio di diritto per cui l'IRBA incassata dal gestore e successivamente riversata alla Regione, della quale oggi chiede il rimborso, è stata pagata dai consumatori finali del carburante all'atto dell'effettuazione del rifornimento presso gli impianti di distribuzione. Ne discende che l'imposta per cui è causa non è pagata dal gestore, ma è inclusa nel prezzo di vendita al dettaglio della benzina che, al pari dell'accisa statale, una volta riscossa dal consumatore finale, va dichiarata e versata alla Regione ed allo Stato. Si aggiunga che la L. 30/12/2020 n.178, all'art. 1, co. 628 a decorrere dal 01/01/2021 ha così statuito: "L'articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 14 giugno 1990, n. 158, l'articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, l'articolo 3, comma 13, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, l'articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l'articolo 1, commi 670, lettera a), e 671, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recanti disposizioni in materia di imposta regionale sulla benzina per autotrazione, sono abrogati. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte." Trattasi con evidenza di norma di chiusura dettata dal legislatore statale per cui non è possibile fare luogo ad alcun rimborso, posto che non verrebbero meno gli atti d'imposizione contenenti una richiesta di pagamento a titolo di IRBA notificati in relazione agli anni d'imposta precedenti al 2021" (CTR Campania, Napoli, sez. 17, 28.9.22, n. 6336, cit.). Questo Collegio ritiene che il diritto al rimborso sia subordinato all'assolvimento dell'onere probatorio, in quanto il contribuente deve dimostrare non solo di avere versato l'imposta in parola alla Regione, ma anche di avere concretamente subito e mantenuto nella propria sfera patrimoniale l'onere economico della imposta, senza traslarla in capo al consumatore finale, presupposto, quest'ultimo, necessario, secondo il richiamato orientamento della CGUE, per il configurarsi del diritto al rimborso. Il Collegio ritiene che, anche in ragione della complessità della prova, il contribuente possa fornire anche semplicemente un principio di prova, a fronte del quale spetta poi alla Regione dimostrare che il tributo non sia stato versato, o che sia stato traslato al consumatore finale. Nella fattispecie concreta in esame, il Giudice di primo grado ha escluso il rimborso ritenendo che l'IRBA sia stata versata dai consumatori finali e non dalla odierna contribuente appellante. Questa Corte tributaria regionale ritiene invece che, anche alla luce della particolare complessità della prova richiesta, l'odierna appellante abbia fornito la prova di aver versato il tributo e di essere la parte percossa in via finale dal tributo. Infatti, nel corso del presente grado di giudizio, la S.A.C.C.L.A. s.r.l. ha prodotto la dichiarazione sostitutiva di certificazione ex D.P.R. 445/00 (con allegato documento di riconoscimento), redatta da Rubino Raffaele, revisore legale che ha certitificato quanto segue: "Sulla base di quanto risulta dall'analisi dei conti e delle scritture contabili, nonché dalla verifica delle fatture emesse dalla società S.A. C.C.L.A. SRL con sede legale in Volla (Na), in via Palazziello n. 63 cap.80040, Cod. Fisc. 03343020636 P. IVA 01286311210, per l'esercizio contabile 2016, 2017,2018,2019,2020 risulta quanto segue:
L'imposta regionale sulla benzina per autotrazione (IRBA) di cui alI'art.17 del D.lgs. 21/12/90 n. 398 e della L.R 24/12/2003 n.28 art. 3 è stata sempre un onere sostenuto dalla società S.A.C.C.L.A. SRL;
Dall'esame delle fatture emesse dalla S.A.C.C.L.A. SRL l'imposta regionale sulla benzina per autotrazione (IRBA) di cui all'art.17 del D.lgs. 21/12/90 n. 398 e della L.R 24/12/2003 n.28 art. 3 non risulta mai addebitata ai clienti." ((cfr. doc. 6 allegato all'atto di appello). A fronte di tale documentazione, la Regione Campania si è limitata a svolgere generiche contestazioni, nulla documentando, e neppure indicando con quale fonte di prova e con quale strumento parte contribuente avrebbe potuto dimostrare di avere sopportato il tributo senza operare la traslazione in capo al consumatore finale. L'appello è pertanto accolto, per cui, in riforma della gravata sentenza di primo grado, è fondata la richiesta di rimborso formulata dalla parte contribuente nell'importo richiesto. In ragione della novità delle questioni esaminate sussistono gravi motivi che giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. accoglie l'appello e l'originario ricorso del contribuente, spese e competenze dell'intero giudizio compensate. Napoli, 14 marzo 2023 Il Relatore Il Presidente Luigi Musto dott. Alfredo Montagna
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