Sentenza del 29/06/1982 n. 3912 - Corte di Cassazione

Testo

Diritto Col terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli
artt. 13 e 14 del D.P.R. 29.9.1973, n. 597, e dell'art. 23, C.2, lett. C) del D.P.R. 29.9.1973 n. 600, in relazione all'art. 360, n.3, 5, c.p.c., la ricorrente
incidentale censura la sentenza non definitiva della Corte per avere, con
insufficienza motivazione, confermato la tesi del consulente tecnico
d'ufficio secondo cui l'obbligo di effettuare le ritenute alla fonte per
IRPEF nei confronti dei dipendenti "e' operante nel corso del rapporto di
lavoro sino alla cessazione di esso, ma tale obbligo non sussiste quando,
dopo la cessazione del rapporto, la retribuzione del credito di lavoro
derivi da sentenza di condanna".
Per la Federazione tale assunto e' infondato e frutto di una erronea
valutazione della legge. Richiamando specifiche circolari ministeriali a
confronto della tesi contraria, la Federazione fa rilevare che, rientrando
gli arretrati per maggiorazione di retribuzione in precedenza non
riconosciuta e per qualifica superiore a quella in precedenza attribuita tra
le somme assoggettate a tassazione separata a norma degli artt. 12, lett. d)
e 13 del D.P.R. 29.9.1973, n. 597, tali arretrati sarebbero soggetti a
ritenuta a norma dell'art.23. c.2, lett. c) del D.P.R. 29.9.1973, n. 600, il
quale richiama espressamente gli artt. 13 e 14 del D.P.R. 597/1973 per la
determinazione della misura della tassazione separata di questi redditi.
Allo stesso trattamento tributario degli arretrati, e cioe' al regime della
tassazione separata, andrebbero assoggettati inoltre gli interessi moratori
conseguenti al pagamento ai lavoratori di spettanze arretrate, con
conseguente ritenuta fiscale d'acconto alla fonte anche per essi.
Va disatteso il terzo motivo del ricorso incidentale, anche se la pronuncia
censurata, conforme a diritto nella sua parte dispositiva, e' erroneamente
motivata in diritto; il che impone soltanto la correzione della motivazione
sul punto (art. 384, cpv, c. p. civile).
Va, comunque, preliminarmente rilevato che la ricorrente incidentale
denuncia erroneamente la violazione dei D.P.R. n. 597 e 600 del 1973, in
quanto non ha tenuto conto che gli artt. 82 e 83 del D.P.R. n. 597, nel
sopprimere i tributi precedentemente dovuti (imposta di ricchezza mobile e
imposta complementare) e nel sostituirli con l'IRPEF e l'ILOR, hanno pero'
stabilito, per i redditi percepiti dopo il 31.12.1973 ma maturati fino a
questa data l'ultrattivita' della precedente normativa sui tributi
soppressi; con la conseguenza che, avendo avuto termine il rapporto de quo
nel 1967, sugli emolumenti arretrati spettanti al … non sono applicabili
le nuove norme sull'IRPEF e, quindi, neppure quelle concernenti la ritenuta
di acconto alla fonte ad opera del datore di lavoro relativamente a tale
imposta.
Tuttavia, poiche' anche per i redditi di lavoro subordinato gravati dalle
vecchie imposte vigeva il sistema di riscossione della ritenuta d'acconto,
questa Corte non e' dispensata dall'esaminare il terzo motivo del ricorso
incidentale, pur dovendo rilevare che la stessa sentenza impugnata ha
erroneamente trattato la questione sotto il profilo della sussistenza o meno
dell'obbligo per il datore di lavoro di effettuare la ritenuta alla fonte
per IRPEF in relazione agli emolumenti retributivi arretrati dovuti dalla
Federazione al Sig. …
Tanto premesso, non puo' condividersi l'opinione della Corte di … secondo
cui l'obbligo della ritenuta d'imposta sulle retribuzioni corrisposte ai
dipendenti (obbligo gravante sul datore di lavoro quale sostituto di
imposta) sarebbe operante solo nel corso del rapporto di lavoro mentre non
sussisterebbe quando, dopo la cessazione del rapporto, l'erogazione degli
emolumenti retributivi derivasse da sentenza di condanna del datore di
lavoro. Una simile distinzione non e' stata mai fatta ne' dalle leggi
tributarie abrogate, ne' da quelle vigenti onde i rilievi contenuti nel
terzo motivo del ricorso incidentale, sebbene prospettati con riguardo alla
ritenuta alla fonte con obbligo di rivalsa per IRPEF, sono esatti in via di
principio.
Ma, con il suddetto motivo, la Federazione censura sostanzialmente la
sentenza impugnata per avere determinato le spettanze retributive arretrate
del ….. al lordo e non al netto delle imposte dovute e soggette al sistema
di riscossione della ritenuta di acconto, ad opera del datore di lavoro. E
sotto questo profilo la censura e' infondata e il suddetto terzo motivo va
respinto sia pure apportandosi alla sentenza impugnata correzione nella
motivazione. Infatti, deve nettamente escludersi che il giudice, nel
pronunciare condanna al pagamento di prestazioni retributive, sia tenuto a
conteggiare le ritenute per le imposte gravanti su tali prestazioni, dato
che tale obbligo grava, invece, sul datore di lavoro al momento in cui da'
esecuzione alla sentenza di condanna, e cio' tanto nel caso in cui il
rapporto di lavoro sia in corso che nel caso in cui tale rapporto sia
cessato. Del resto, la ritenuta d'acconto presuppone la previa liquidazione
delle prestazioni retributive e prescinde, quindi, dalla circostanza che la
liquidazione sia avvenuta direttamente ad opera del datore di lavoro ovvero
ad opera del giudice in caso di controversia giudiziaria tra datore di
lavoro e lavoratore.
Puo', peraltro, succedere che il lavoratore metta in esecuzione contro il
datore di lavoro il titolo portato dalla sentenza di condanna, prima che il
secondo abbia la stessa dato esecuzione spontanea ed abbia effettuato la
prescritta ritenuta d'acconto; ma se, in questo caso, l'esecuzione non puo'
non riguardare l'intera somma lorda, e' anche vero che in tale momento non
e' ancora scattato l'obbligo della ritenuta d'acconto a carico del datore di
lavoro, obbligo che, come in precedenza detto, sorge al momento del
pagamento e cioe' al momento in cui il datore di lavoro da esecuzione alla
sentenza di condanna al di fuori della procedura esecutiva. Nella ridetta
ipotesi, allora, l'adempimento dell'obbligo tributario fara' carico allo
stesso lavoratore esecutante.

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