Sentenza del 11/04/2023 n. 1042 - Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia Sezione/Collegio 29

Decisioni

  • 002610/2017 - FAVOREVOLE ALL' UFFICIO

Massime

LEGITTIMITÀ DELLA PRESUNZIONE DI ATTRIBUZIONE AI SOCI DEGLI EVENTUALI UTILI EXTRACONTABILI NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI A RISTRETTA BASE PARTECIPATIVA

Quando a seguito di una attività di controllo o verifica fiscale di una società di capitali a ristretta base partecipativa (e, a maggior ragione, se a base familiare) vengano accertati "utili non contabilizzati" o "utili extra-bilancio non dichiarati", l'Amministrazione finanziaria può presumere che i soci \- della società anche se costituita sotto forma di società di capitali \- abbiano percepito "utili occulti" non contabilizzati in bilancio completando l'azione ispettiva con un successivo e distinto intervento nei confronti dei soci stessi con l'attribuzione "pro quota" degli utili e con l'inversione dell'onere della prova a carico degli stessi soci. Dunque, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, realizzandosi così una presunzione legale relativa in capo ai soci che dovranno dimostrare al Fisco che i maggiori ricavi rilevati non hanno formato oggetto di successiva distribuzione ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti. Allorquando vengano accertati utili extracontabili le relative obbligazioni tributarie graveranno non soltanto sulla società, ma anche su gli stessi soci che, si presume, abbiano ricevuto attribuzioni pro quota di detti utili, con la conseguenza che delle obbligazioni sociali possano rispondere anche i soci stessi.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

L'accertamento di utili extracontabili in capo alla società di capitali a ristretta base sociale consente di desumere la loro distribuzione tra i soci in proporzione alle loro quote di partecipazione, salva la facoltà per gli stessi di fornire la prova contraria costituita dal fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano, invece, stati accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti. Infatti, la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Pertanto, nelle società a ristretta base partecipativa quando la società abbia indicato in bilancio dei costi inesistenti, quindi indeducibili perché non documentati, il reddito di impresa effettivo conseguito nel corso dell'esercizio viene sostituito da quello dichiarato con l'aggiunta dei costi inesistenti e tale reddito maggiorato si presume sia stato distribuito nel corso del medesimo esercizio ai soci. Situazione analoga si verifica anche nel caso in cui il costo sia indeducibile, ma sia stato effettivamente sostenuto, con somme erogate in concreto dalla società, con la conseguenza della presenza di un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

L'accertamento del maggior reddito nei confronti di una società di capitali a ristretta base partecipativa implica una presunzione (benché semplice e non legale, a differenza delle società di persone, Cassazione sentenza n. 29231 del 2008) di distribuzione degli utili tra i soci, che si basa sulla partecipazione al capitale sociale, a prescindere dalla prova di specifici poteri di gestione; e tale presunzione determina che gravi a carico del singolo socio l'onere di fornire prova contraria rispetto alla pretesa dell'Amministrazione finanziaria dimostrando che i maggiori ricavi dell'ente sono stati accantonati o reinvestiti (Cassazione sentenza n. 32959 del 2018). Tale presunzione legittima una attribuzione "pro quota" ai soci degli utili stessi (Cassazione sentenze n. 24535 del 2017, n. 18032 del 2016). Nel caso di utili in nero la società a ristretta base azionaria può essere accostata a una società di fatto, e quindi sconta la stessa tassazione delle società di persone; quindi dopo la verifica nei confronti della società con conseguente rideterminazione del reddito tassabile e irrogazione delle imposte IRAP e IVA nei confronti di quest'ultima, è legittimo il successivo accertamento a carico dei soci ai fini IRPEF.

Nelle ipotesi di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, basata sulla partecipazione al capitale sociale, e a prescindere dalla prova di esercitare specifici poteri gestori. Una società di capitali a ristretta compagine sociale è caratterizzata molto spesso da un numero esiguo di soci spesso legati tra loro da vincoli di parentela, circostanza, quest'ultima, che legittima la presunzione dell'ufficio impositore in ordine alla ridistribuzione "a nero" degli utili non dichiarati in bilancio. Comunque, affinché la presunzione operi non è necessario che i soci siano tra loro parenti perché la ristrettezza della base sociale implica di per sì un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell'esistenza di utile extra bilancio.

Rimane salva la facoltà del socio/contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti.

Tale presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio può essere vinta dal socio/contribuente qualora l'amministrazione non sia in grado di fornire la c.d. "prova rafforzata" della ristretta base sociale e dell'effettiva distribuzione degli utili; e/o laddove il contribuente dimostri la sua estraneità alla gestione e conduzione societaria.

In tema di applicazione dell'art. 2729 c.c. e degli artt. 44 e 45 TUIR, in riferimento alla presunzione (salva la prova contraria) di distribuzione ai soci dei maggiori utili occulti accertati in capo alla società partecipata, la presunzione può in ogni caso essere vinta dal socio dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, restando salva la facoltà del socio di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati concretamente distribuiti, ma accantonati dalla società o da essa reinvestiti e, di conseguenza, risulta del tutto irrilevante a questi fini la circostanza in forza della quale il reinvestimento non sia avvenuto da parte della società partecipata, ma da parte dei soci, i quali li abbiano concretamente trasferiti nel capitale di altre società da costoro ancora partecipate. Infatti, nel caso di specie, tali somme erano entrate nel patrimonio dei soci, vale a dire nello loro disponibilità, la qual cosa esclude che si possa sostenere che le somme in parola fossero state reinvestite dalla società dal momento che una volta sottratte all'imposizione venivano apprese dai soci e poi da questi ulteriormente dirottate altrove, sia pure in altre società partecipate sempre dai medesimi soci, con sottrazione all'imposizione IRES. Pertanto, è da considerarsi valido l'avviso di accertamento in ordine a ricavi non contabilizzati, emesso a carico di società di capitali a ristretta base partecipativa, quale presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, con la conseguenza che l'annullamento dello stesso, avendo carattere pregiudicante, determina l'illegittimità dell'avviso di accertamento notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari e tale carattere pregiudicante non si rinviene, invece, nelle ipotesi di annullamento per vizi del procedimento (nella specie per inesistenza della notifica e per errata intestazione dell'avviso), le quali danno luogo, comunque e diversamente, ad un giudicato formale, e non sostanziale, difettando una pronuncia che revochi in dubbio l' accertamento sulla pretesa erariale.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittimo l'avviso di accertamento emesso nei confronti del socio di una società di capitali a ristretta base azionaria, operando, in tal caso, la presunzione di attribuzione "pro quota" ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti, che si fonda sul disposto di cui all'art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973. L'accertamento del maggior reddito nei confronti di società di capitali a ristretta base partecipativa, pertanto, legittima, anche nell'ipotesi di accertamento con adesione, la presunzione di distribuzione degli utili tra i soci, in quanto la stessa ha origine nella partecipazione e pertanto prescinde dalle modalità di accertamento, ferma restando la possibilità per i soci di fornire prova contraria rispetto alla pretesa dell'Amministrazione finanziaria, dimostrando che i maggiori ricavi dell'ente sono stati accantonati o reinvestiti e che, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione "pro quota" ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti.

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