Sentenza del 18/05/1999 n. 4811 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio Sezione lavoro

Testo

                  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO  

Con ricorso depositato il 9 giugno 1995 ----- ------ conveniva davanti al
Tribunale di Milano, Sez. Lavoro, la ------- ----- s.p.a., gia' ---------
----------------, e l'INPS, chiedendo: che, in parziale riforma della
sentenza n. 930 del 31 marzo 1995 del Pretore di Milano, quale giudice del
lavoro, fosse confermata l'imponibilita' contributiva dell'importo di lire
367.991.868 e dichiarato che lo stesso era stato versato dalla Banca in data
3 febbraio 1984 e non in data 3 febbraio 1994, come indicato in sentenza;
che si condannasse la Banca a versare i contributi di legge all'INPS sul
predetto importo, accreditandolo sulla sua posizione assicurativa dal
febbraio 1984;
che, conseguentemente, si dichiarasse il suo diritto di ottenere dall'INPS,
con decorrenza dal 1 gennaio 1988, la liquidazione della maggior quota
aggiuntiva di pensione di lire 2.252.147 o di altra somma, con le
maggiorazioni di legge a titolo di perequazione automatica ex art. 21 della legge n. 67 del 1988, con interessi e rivalutazione.
L'appellante esponeva di avere ricevuto, alla cessazione del rapporto a
titolo d'integrazione del trattamento di fine rapporto, due annualita' lorde
di retribuzione, non assoggettata a contribuzione; di avere subito un grave
danno pensionistico a seguito del comportamento omissivo della Banca;
lamentava che il Pretore, pur avendo ritenuto assoggettabile a contribuzione
la suindicata somma, avesse obliterato le altre domande conseguenziali di
condanna dei convenuti.
Proponeva appello altresi' la Banca -------- chiedendo la riforma integrale
della sentenza impugnata. Evidenziava, in particolare:
che lo stesso ----- aveva proposto una risoluzione consensuale del rapporto
con l'assegnazione di un'integrazione di trattamento di fine rapporto a
fronte della rinuncia a rimanere in servizio per il periodo di comporto,
poiche' la sua malattia, in base di giudizi medici, non si sarebbe risolta
in tempi brevi; che il Direttore generale, accettando le dimissioni, gli
aveva corrisposto l'integrazione richiesta;
che, anche in base all'indirizzo della Corte di Cassazione, dovevano
ritenersi escluse dalla contribuzione quelle somme pagate per una causa
negoziale autonoma, anche se occasionate dal rapporto di lavoro e, in
particolare, le somme corrisposte a titolo di transazione o conciliazione;
che l'art. 4, comma secondo bis, della legge n. 291 del 1988, interpretativa
dell'art. 12 della legge n. 153 del 1969, non poteva esser letto se non
congiuntamente alla norma interpretata, valorizzando l'elemento comune
costituito dal trattarsi di erogazioni corrisposte in occasione della
cessazione del rapporto di lavoro e finalizzate alla cessazione del medesimo.
L'INPS, costituitosi, proponeva appello avverso la suindicata sentenza,
ribadendo che non era assoggettabile a contribuzione la somma erogata al
dipendente a seguito della cessazione del rapporto di lavoro.
Il ----- resisteva agli appelli della Banca e dell'INPS, sostenendo, in
particolare: che la dazione della somma in questione trovava la sua causa
nel rapporto di lavoro; che l'elencazione di cui all'art. 12 della legge n. 153 del 1969 aveva carattere tassativo; che non era possibile considerare
l'erogazione ricevuta dal lavoratore come "agevolazione all'esodo", esclusa
dalla contribuzione ai sensi dell'art. 4 della legge n. 291 del 1988, sia
perche' il termine esodo indica la partenza di piu' persone sia perche'
l'iniziativa era stata presa dallo stesso lavoratore e non dall'Azienda.
Il Tribunale, con sentenza depositata il 5 ottobre 1996, in riforma della
sentenza di primo grado rigettava le domande proposte da -------- con il
ricorso introduttivo.
Per quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimita', la
decisione e' cosi' motivata: la Banca ha corrisposto a -----, all'atto della
cessazione del rapporto di lavoro, una somma corrispondente a due annualita'
lorde di retribuzione, definita "integrazione del t.f.r." e non l'ha
assoggettata a contribuzione;
per conseguenza, ----- ha ricevuto una pensione calcolata su una base
retributiva che non teneva conto di quest'ultimo incremento.
L'art. 4, comma 2-bis del decreto legge 30 maggio 1988, n. 173, convertito
con modificazioni dalla legge 26 luglio 1988, n. 291, statuisce che "la
disposizione recata nel secondo comma, n. 3, del testo sostitutivo di cui
all'art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, va interpretata nel senso
che dalla retribuzione imponibile sono escluse anche le somme corrisposte in
occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare
l'esodo dei lavoratori".
Tale disposizione ha inteso risolvere i contrasti insorti in giurisprudenza
circa la possibilita' d'interpretare in via analogica o con interpretazione
estensiva l'art. 12, comma secondo, e specificamente il punto 3 con riguardo
a elargizioni a carattere individuale.
La parola "esodo" significa nel linguaggio comune "uscita", e tale
significato e' coerente sia con la ratio della disposizione sia con
l'esigenza di non creare disparita' di trattamento tra i lavoratori
incentivati a lasciare il posto di lavoro; sotto tali profili e'
indifferente che si tratti di un evento isolato o collettivo, che l'evento
sia conseguente ad un ridimensionamento aziendale o all'iniziativa del
datore di lavoro e infatti la legge non ha indicato alcun limite
all'applicazione della disposizione.
Cio' premesso, rilevasi in punto di fatto che il lavoratore, affetto da una
malattia per la quale si prevedeva un lungo periodo di riposo e cure, poteva
contare su un lungo periodo di comparto (due anni) per conservare il posto
di lavoro; a fronte di tale situazione, accogliendo una sua richiesta, la
Banca ha deciso d'incentivarne l'uscita anticipata, liberando
definitivamente un posto di lavoro di grande responsabilita' non facile da
gestire con temporanee sostituzioni.
Trattandosi di accordo transattivo, e' evidente che le parti hanno adottato
come parametro di riferimento il trattamento complessivo che ----- avrebbe
percepito fino alla fine del rapporto, operando poi su questa base gli
opportuni correttivi in considerazione del fatto che il rilevante importo
venne subito pagato e ----- avrebbe riacquistato la sua totale liberta' per
dedicarsi ad altra occupazione compatibile con le cure mediche.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione ---- -------, deducendo due
motivi.
La Banca e l'INPS resistono con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con il primo motivo del ricorso -------- ----, denunziando violazione o
falsa applicazione dell'art. 4, comma 2 bis, della legge 26 luglio 1988, n. 291 nonche' vizio di motivazione sotto il profilo dell'omessa o
insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia (art. 360
n. 5 cod. proc. civ.), deduce che:
l'applicazione dell'art. 4, comma 2 bis, della legge 26 luglio 1988, n. 291
(conversione in legge del decreto-legge 30 maggio 1988 n. 173), recante
misure urgenti in materia di finanza pubblica per l'anno 1988, cosi' come
effettuata dalla sentenza impugnata, non appare corretta, atteso che:
a) lo scopo della norma e' quello di agevolare i processi aziendali di
ristrutturazione e riduzione di personale con correlativa fruizione di
prepensionamenti, ad iniziativa dei datori di lavoro, riferiti chiaramente
ad una pluralita' di lavoratori interessati a tali processi di
ristrutturazione e riduzione;
b) parimenti, la mens legis e' diretta ad incentivare l'anticipata
risoluzione del rapporto di lavoro proposta dal datore di lavoro, in tutti i
casi in cui la disciplina contrattuale o legale ponga allo stesso datore di
lavoro limitazioni al potere di recesso individuale dal rapporto;
c) l'agevolazione, inoltre, risulta riferita dal legislatore essenzialmente
alle imprese industriali ed e', quindi, dettata nell'interesse superiore
della produzione;
nel caso di specie, tutte le suindicate condizioni difettano, all'evidenza,
in quanto trattavasi di un singolo recesso da un singolo rapporto di lavoro,
non assistito da stabilita' alcuna, ad iniziativa non dell'azienda ma dello
stesso lavoratore interessato e subi'to "con profondo rammarico" del datore
di lavoro, non rientrante certo nel settore industriale, ma, bensi', in
quello del credito.
2 - Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando violazione e falsa
applicazione dell'art. 12 della legge n. 153 del 30 aprile 1969, nonche'
vizio di motivazione anche sotto il profilo dell'omesso esame di elementi di
fatto "decisivi", sostiene che:
l'erogazione integrativa al trattamento di fine rapporto, essendo volta a
disciplinare l'estinzione del rapporto, ha trovato la sua diretta causa nel
contratto di lavoro intercorso tra le parti, cosicche' essa, a norma
dell'art. 12 della legge n. 153 del 1969, non poteva sottrarsi
all'imposizione contributiva;
anche dal comportamento immediatamente "posteriore" degli organi di vertice
della Banca (art. 1362, comma secondo, cod. civ.), il Tribunale avrebbe
dovuto evincere che l'assegnazione di cui trattasi costituiva nel contempo
una "gratificazione" legata al rendimento e all'apprezzamento della datrice
di lavoro per la qualita' dell'opera prestata dal signor ----- in favore
della Banca, e, pertanto, soggetta a contribuzione;
la piena imponibilita' dell'assegnazione pecuniaria in questione si ricava
anche dalla postilla, contenuta nella comunicazione ---- - --- in data 2
febbraio 1984, nella quale lo stesso ----- aveva cura di precisare che "per
debiti contratti a fronte del trattamento di fine rapporto, il residuo
liquidabile era rappresentato essenzialmente da quanto dovuto per oneri
fiscali".
I due motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati in
quanto connessi tra loro, sono infondati.
A - In primo luogo l'art. 4, comma 2 bis, della legge 26 luglio 1988 n. 291,
il cui testo e' stato gia' riportato nella parte espositiva della presente
sentenza, non si riferisce, esclusivamente, alle aziende industriali,
secondo l'assunto, erroneo, del ricorrente, considerato altresi' che gia' il
secondo comma dello stesso art. 4 statuisce che "la misura di cui al primo
comma si applica anche alle aziende commerciali per il cui personale e'
prevista la facolta' di pensionamento anticipato …" (art. 12, comma primo,
delle disposizioni sulla legge in generale).
Il fine - dichiarato dalla norma stessa - e' quello "d'incentivare l'esodo
dei lavoratori" nel quadro di "misure urgenti in materia di finanza pubblica
per l'anno 1988", cosicche' non assume giuridico rilievo, sotto questo
profilo, il discrimine fra cessazione del rapporto di lavoro del "singolo
dipendente" ed "esodo" inteso come partenza in gran numero di lavoratori
dall'azienda (secondo il significato attribuito al predetto termine dal
vocabolario Zincarelli). Altrettanto dicasi per l'iniziativa che ciascuna
delle due parti puo' prendere per lo scioglimento del rapporto e che e'
irrilevante al riguardo. Invero, tenuto conto della ratio legis gia'
evidenziata, il fine dichiarato dalla norma, come sopra precisato, viene
conseguito sia nel caso di uscita, simultanea, di un gran numero di
lavoratori dall'azienda, sia in quello di uscita, in tempi diversi, di uno o
piu' lavoratori, sebbene la pluralita' dei medesimi non raggiunga le
dimensioni dell'esodo "biblico" con riferimento ad un solo episodio.
Accogliendo la tesi del ricorrente, dovrebbe escludersi l'applicabilita'
della norma in questa seconda ipotesi, con un risultato ermeneutico,
evidentemente, assurdo; cosicche' il termine "esodo" va inteso nella sua
comune accezione, cioe', nel senso di semplice "uscita" (significato del
resto condiviso da qualche altro vocabolario), avuto riguardo allo scopo
perseguito dalla norma stessa.
D'altra parte, all'evidenza, quest'ultima esige che le somme in questione
"vengano corrisposte in occasione del rapporto di lavoro", "al fine
d'incentivare l'esodo dei lavoratori": e' sufficiente che la direzione della
volonta' in tal senso sia presente nel singolo caso, ma non occorre che,
all'istante, essa venga gia' realizzata, rientrando la dazione del danaro
soltanto nel quadro di una programmazione normativa, da attuarsi in concreto
anche in tempi e modi diversi.
Quanto poi ad alcuni vizi denunciati con il secondo motivo, gia' riportato
in sintesi, il ricorrente non indica ne' elementi di fatto che, se presi in
esame dal Tribunale, avrebbero potuto, verosimilmente, giustificare una
decisione diversa da quella adottata, ne', accennando alla pretesa
violazione dell'art. 1362 cod. civ. precisa il punto e il modo attraverso il
quale si sarebbe realizzata l'anzidetta violazione. In realta', il
ricorrente, per quanto concerne la natura e gli effetti dell'accordo
intercorso fra le parti, definito dal Giudice d'appello come "accordo
transattivo" si limita ad opporre una sua diversa interpretazione e
valutazione delle risultanze probatorie, senza dedurre in tal modo uno
specifico motivo di ricorso (art. 360 cod. proc. civ.) sollecitando persino
il riesame del contenuto di qualche documento (ad esempio, la comunicazione
---- - --- in data 2 febbraio 1984), e in tal modo dimenticando che questa
Corte di legittimita' (art. 65 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12) e' giudice del
fatto soltanto in caso di denunciata violazione di norme processuali.
B) Peraltro, il Tribunale, sempre con motivazione giuridicamente corretta e
adeguata, ha ritenuto: che il lavoratore, gia' affetto da una malattia per
la quale si prevedeva un lungo periodo di riposo e cure, poteva contare su
un lungo periodo di comporto (due anni) per conservare il posto di lavoro;
che, attesa tale situazione, accogliendo una sua richiesta, la Banca aveva
deciso di "incentivare l'uscita anticipata" liberando definitivamente un
posto di lavoro di grande responsabilita' (vicedirettore generale e capo del
personale), non facile da gestire con temporanee sostituzioni; che
l'accordo, avente carattere "transattivo" risolveva il rapporto di lavoro
evitando difficolta' e problemi di assenza o di discontinua presenza del
lavoratore in azienda, ed assicurava al dipendente il trattamento
complessivo che ----- avrebbe percepito fino alla fine del rapporto.
Il Tribunale ha considerato quindi i suindicati elementi solo in parte
contestati dal ricorrente con le inconsistenti censure di cui al secondo
motivo del ricorso, gia' esaminate, come fatti univocamente rivelatori della
volonta' delle parti, diretta ad attuare una reciprocita' di concessioni
(rinunzia al lungo periodo di comporto, da parte del lavoratore, con
conseguente evidente vantaggio per la datrice di lavoro; riconoscimento, da
parte di quest'ultima, del suddetto trattamento economico), e cio' al fine
di prevenire una lite, il cui pericolo non poteva sfuggire ai contraenti,
tenuto conto altresi' del copioso contenzioso che nasce spesso dalla
cessazione dei rapporti di lavoro (art. 1965 cod. civ.). L'accordo in esame
sorti' inoltre l'effetto estintivo del rapporto di lavoro in corso tra le
parti, cosicche' esso, esattamente, dev'essere sussunto nello schema
giuridico negoziale della "transazione novativa" (operazione questa che, non
essendo diretta ad accertare la volonta' dei contraenti, la cui
ricostruzione e' riservata al giudice del merito, e' demandata anche al
giudice di legittimita').
Come precisa autorevole dottrina, caratteristica di tale transazione e' di
essere, al pari della transazione "propria" (non novativa), un negozio di
secondo grado, ma non un negozio "ausiliario", sebbene "principale"; con la
conseguenza che i diritti e gli obblighi delle parti avranno, "come unica
fonte", il contratto di transazione e non, come nella transazione propria,
il fatto causativo del rapporto originario e, quale fonte concorrente
(complementare), il contratto di transazione.
Ne consegue che, al fine della norma di cui all'art. 12, comma primo, nel
testo vigente all'epoca, della legge 30 aprile 1969, n. 153, la somma dovuta
(ancorche' avente natura retributiva) in esecuzione di una transazione
novativa, in quanto del tutto disancorata dal preesistente - estinto -
rapporto di lavoro (altrettanto dicasi per qualsiasi altro rapporto), non
puo' essere considerata come corrisposta "in dipendenza del rapporto di
lavoro", ormai sparito dalla "scena giuridica"; con l'ulteriore conseguenza
che non puo' essere computata per la determinazione della base imponibile
per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale. In tal
senso, con specifico riferimento alla transazione novativa, ha piu' volte
deciso questa Suprema Corte (Cass. 4 dicembre 1986, n.7193; 9 maggio 1990,
n. 3809; 7 giugno 1996, n. 5313).
Conclusivamente, anche sotto il profilo teste' esaminato, pur volendosi
prescindere da quanto gia' osservato sub lett. A) della presente
motivazione, non puo' essere ritenuta come retribuzione soggetta a
contribuzione previdenziale la somma di L.367.991.888, di cui al ricorso
introduttivo di primo grado, come esattamente deciso dal Tribunale di Milano.
Per le ragioni esposte va dunque rigettato il ricorso. La complessita' della
fattispecie decisa costituisce giusto motivo per la totale compensazione tra
le parti delle spese del presente giudizio di legittimita' (art. 92, comma
secondo, cod. proc. civ.).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa interamente tra le parti le spese del
presente giudizio di cassazione.
Cosi' deciso in Roma il 4 dicembre 1998.

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