Sentenza del 18/05/1999 n. 4811 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio Sezione lavoro

Massime

TRANSAZIONE - IN GENERE NOZIONE CARATTERI DISTINZIONI - TRANSAZIONE NOVATIVA E TRANSAZIONE PROPRIA - DIFFERENZE - SOMMA DOVUTA EX ART 12 LEGGE N 153 DEL 1969 - RETRIBUZIONE IMPONIBILE - CONFIGURABILITA' - ESCLUSIONE - FONDAMENTO

Caratteristica della transazione novativa e' quella di essere, al pari della transazione propria (non novativa) un negozio di secondo grado, ma non un negozio ausiliario, bensi' un negozio principale. Pertanto - a differenza di quel che accade nella transazione propria, nella quale il contratto di transazione e' complementare rispetto al fatto causativo del rapporto originario ed e' quindi fonte concorrente di diritti e di obblighi - nella transazione novativa il contratto di transazione rappresenta l'unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti. Ne consegue, in materia di lavoro subordinato, che qualora intervenga tra datore di lavoro e lavoratore una transazione novativa la somma di denaro dovuta dal datore di lavoro ex art. 12 della legge n. 153 del 1969 in esecuzione del suddetto contratto ancorche' mantenga natura retributiva non puo' essere considerata, ai fini contributivi, come corrisposta "in dipendenza del rapporto di lavoro", essendo tale rapporto estinto nel momento della conclusione della transazione novativa. * Massima tratta dal CED della Cassazione.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

Le diarie corrisposte dal datore di lavoro (nella specie, un'azienda di credito) per le prestazioni svolte dal lavoratore nella sua sede stabile di lavoro, e cioe' effettiva, compresa quella di nuova, recente, destinazione, nella quale questi sia stato trasferito e sia e' stabilmente inserito - a nulla rilevando che continui a dipendere amministrativamente dalla vecchia sede -, non hanno, neppure parzialmente, natura risarcitoria, ma esclusivamente retributiva, dovendosi pertanto qualificare come indennita' di trasfe- rimento, reddito a tutti gli effetti soggetto al trattamento tributario ordinario, a norma degli artt. 48 e 46 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. A differenza dell'indennita' di trasferta, compenso per prestazioni occasionali rese fuori dalla propria sede ordinaria, e non per il lavoro prestato nella sede di svolgimento ordinario della propria attivita', ancorche' di recente destinazione, soggetta, come tale, ai sensi del citato art. 46, ad un particolare trattamento tributario di favore, l'indennita' di trasferi- mento rientra nel reddito imponibile ai fini dell'I.R.P.E.F., in quanto, pur difettando un rapporto di sinallagmaticita' con la prestazione di lavoro, essa rientra tra gli emolumenti, comunque denominati, percepiti "in dipendenza" del lavoro prestato, potendosi escludere la sussistenza di quest'ultimo requisito solo ove il rapporto di lavoro costituisca una mera occasione per la corresponsione di somme che trovano il loro titolo in una causa diversa e del tutto autonoma (quale, ad esempio, il risarcimento dei danni da infortunio imputabile al datore di lavoro). Massima tratta dal CED della Cassazione.

In tema di IRPEF e con riguardo a fattispecie cui sia applicabile, "ra- tione temporis", la disciplina di cui ai d.P.R. n. 597 del 1973 e n. 917 del 1986 (e non quella ricavabile dalla successiva legge n. 85 del 1995), l'indennita' supplementare prevista dalla contrattazione collettiva per l'ipotesi di licenziamento ingiustificato non rientra tra i redditi sogget- ti a tassazione, avendo essa carattere risarcitorio e non retributivo, senza che possa avere rilievo il fatto che tale indennita' sia stata erogata a seguito di conciliazione giudiziale, giacche' quest'ultima differisce dal negozio transattivo disciplinato dall'art. 1965 cod. civ., ed il consenso prestato dalle parti alla conciliazione della lite non va confuso col contrasto che con la conciliazione si intende eliminare, con la conseguenza che il titolo che si acquista in forza della conciliazione giudiziale non elide la fonte di quel contrasto e che, pertanto, alla suddetta conciliazione non puo' riconoscersi effetto novativo rispetto alla natura risarcitoria dell'indennita' in questione. Massima tratta dal CED della Cassazione.

La dichiarazione. Costituente oggetto di specifica clausola del negozio di divisione di un bene comune. Che l'obbligazione solidalmente contratta per tale bene con un mutuo dai comproprietari (nella specie, per la ricostruzione di un immobile) e' da intendere, nei rapporti interni fra i condebitori, suddivisa in proporzione delle quote assegnate, con detto negozio, alla proprieta' individuale, costituisce una mera ricognizione di un effetto legale necessariamente connesso alla divisione del bene comune, fermo restando, nei rapporti esterni col creditore, il carattere solidale dell'obbligazione (pur in presenza di notificazione dell'atto divisionale all'istituto di credito fondiario mutuante); ne consegue che la detta dichiarazione, ai sensi degli art. 19 e 20, d.p.r. n. 634 del 1972 (ora art. 20 e 21, t.u. n. 131 del 1986), collocandosi nell'ambito di un rapporto di derivazione necessaria dai contratti di mutuo e di divisione non e' suscettibile di autonomo assoggettamento ad imposta di registro quale atto di natura dichiarativa (dichiarazione di debito).

Nel caso in cui una prestazione sia considerata dalle parti come di lavoro autonomo, con conseguente emissione di fattura e assoggettamento ad IVA, ma successivamente tale rapporto contrattuale venga qualificato, con efficacia di giudicato, come di lavoro subordinato, con la conseguenza della non assoggettabilita' ad IVA, il principio generale per cui il committente ha diritto di ripetere, secondo le disposizioni di diritto comune, dal prestatore l'imposta indebitamente pagata non e' applicabile se, come nel caso di specie, dal giudicato scaturisca che l'assoggettamento ad IVA era stato conseguenza di un inadempimento da parte del presunto committente delle obbligazioni su di lui incombenti come datore di lavoro in relazione all'effettivo rapporto instaurato. Il datore di lavoro, infatti, avrebbe potuto evitare ogni pregiudizio se avesse fin dall'inizio riconosciuto l'esatta natura del rapporto e corrisposto le retribuzioni secondo le modalita' previste per il lavoro subordinato. Deve, quindi, escludersi l'esperibilita' di un'azione restitutoria personale nei confronti del lavoratore (o dei suoi eredi) da parte del datore di lavoro, ferma restante, invece, la possibilita' di esperire l'azione di restituzione dell'IVA direttamente nei confronti dell'Erario, esercitando l'azione di rimborso, di cui nella fattispecie ricorrono i presupposti giuridici e di fatto. Nel caso in cui il rapporto contrattuale sia stato qualificato dalle parti come rapporto di agenzia ma successivamente sia accertata, con efficacia di giudicato, la sua natura di rapporto di lavoro subordinato, non ha fondamento la richiesta del datore di lavoro di restituzione delle indennita' di clientela erogate al presunto agente. Infatti, la considerazione che al rapporto intercorso doveva applicarsi un contratto collettivo diverso da quello di agenzia non assume rilevanza, qualora, come nella specie, le suddette indennita' siano valutate di fatto come un elemento della retribuzione che il datore di lavoro aveva ritenuto opportuno corrispondere al lavoratore.

La transazione avente per oggetto il trasferimento di beni o di merci, contro il versamento di una somma pattuita, laddove detta somma, proprio perche' di transazione si tratta, e non gia' di negozio commutativo, non corrisponde all'ammontare del prezzo fatturato piu' l'imposta sul valore aggiunto, non comporta rinuncia alla rivalsa, ma considera il credito per rivalsa in capo al cedente come una delle componenti dell'accordo; avendo le parti, nel caso di specie, consacrato nell'accordo transattivo l'intento di chiudere definitivamente la vicenda, con l'impiego di una espressione dal dettato inequivoco, nel senso della onnicomprensivita', una esclusione del credito da rivalsa IVA da pagare invece, nel suo preciso ammontare, non desumibile dal tenore dell'accordo scritto, non puo' essere postulata dal giudice con una interpretazione che nega la inequivoca volonta' delle parti.

LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - IN GENERE - ART 4 COMMA SECONDO E SECONDO - BIS DEL DL N 173 DEL 1988 CONVERTITO NELLA LEGGE N 291 DEL 1988 - CONTENUTO E FINALITA' - ESODO DEI LAVORATORI - CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI SINGOLI LAVORATORI - RICOMPRENSIONE - FONDAMENTO

L'art. 4, comma secondo bis, del D.L. n. 173 del 1988, convertito nella legge n. 291 del 1988, statuisce che: "la disposizione recata nel secondo comma, n. 3, del testo sostitutivo di cui all'art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, va interpretata nel senso che dalla retribuzione imponibile sono escluse anche le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori". Tale disposizione - che non va riferita esclusivamente alle aziende industriali, come si evince dal secondo comma dello stesso art. 4 che testualmente fa riferimento alle aziende commerciali - ha il dichiarato fine di favorire "l'esodo dei lavoratori" nel quadro delle "misure urgenti in materia di finanza pubblica per l'anno 1988". Tale fine puo' essere indifferentemente conseguito sia con l'uscita simultanea di un gran numero di lavoratori dall'azienda sia con l'uscita in tempi diversi di uno o piu' lavoratori. Ne consegue che, sotto il profilo considerato, e' indifferente che la cessazione del rapporto riguardi un singolo dipendente ovvero si configuri come un esodo di massa cosi' come non assume rilievo il soggetto che prende l'iniziativa dello scioglimento del rapporto. * Massima tratta dal CED della Cassazione.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

In tema di agevolazioni tributarie, ai fini del riconoscimento dell'esenzione decennale dall'IRPEG per le imprese operanti nel Mezzogiorno, l'art. 105 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, come modificato dall'art. 14 della legge 1 marzo 1986, n. 64, pone, accanto al requisito della novita' dell'iniziativa produttiva, quello della nuova costituzione in forma societaria del soggetto aspirante al beneficio, senza che il richiamo del primo comma - "fermo restando il disposto degli artt. 101 e 102" dello stesso testo normativo - alla disciplina dell'esenzione dall'ILOR - che prescinde dai presupposti della costituzione di una nuova societa', oltre che della creazione di nuove iniziative produttive - possa interpretarsi come rinvio ai meno rigorosi requisiti prescritti per quella diversa agevolazione, dovendo invece intendersi, soltanto, nel senso che la disciplina dell'esenzione dall'IRPEG e' compatibile e puo' cumularsi con quella relativa alle esenzioni dall'ILOR prevista dai precedenti artt. 101 e 102 dello stesso d.P.R. n. 218 del 1978. Massima tratta dal CED della Cassazione.

In tema di imposta sulle successioni, l'art. 26, comma primo, lett. a), del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (applicabile "ratione temporis", anteriormente all'abrogazione operata dall'art. 11 del D.L. n. 79 del 1997, convertito nella legge n. 140 del 1997), a norma del quale dall'imposta di successione va detratta l'INVIM liquidata in dipendenza dell'apertura della successione per ciascun immobile trasferito, fino a concorrenza della parte dell'imposta proporzionale al valore dell'immobile stesso, va interpretato nel senso che, in caso di successione in linea retta ed a favore del coniuge, l'importo dell'INVIM da detrarre e' quello, ridotto al cinquanta per cento, effettivamente dovuto dagli eredi per effetto della disposizione agevolativa di cui al sesto comma dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (comma aggiunto dall'art. 3 della legge 22 dicembre 1975, n. 694). Tale disciplina non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., atteso che, da un lato, attiene alla discrezionalita' legislativa definire i meccanismi delle riduzioni fiscali e le modalita' operative delle agevolazioni, e, dall'altro, l'astratta possibilita' che l'erede non consegua alcun vantaggio in termini economici dalla riduzione dell'INVIM (nel caso in cui il tributo dovuto risulti inferiore all'imposta di successione) non comporta violazione del principio di eguaglianza, poiche' configura un trattamento differenziato in relazione a circostanze di fatto diverse. Massima tratta dal CED della Cassazione.

L'art. 38 della legge n. 413 del 1991, nel disporre che "la Dichiarazione integrativa per definizione automatica deve contenere a pena di nullita' la richiesta di definizione per tutte le imposte e per tutti i periodi d'imposta in relazione ai quali non sono scaduti alla data del 31 dicembre 1991 i termini per l'accertamento di cui all'art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600", definisce - diversamente dall'art. 19, commi quinto, sesto e settimo, D.L. n. 429 del 1982 - il suo ambito di operativita', non gia' in ragione di quello che possa essere stato il concreto comportamento del contribuente (e quindi anche delle sue dichiarazioni, dovute o meno che fossero), ma di un parametro del tutto oggettivo rappresentato dall'arco dei periodi d'imposta in relazione ai quali non si siano esauriti i poteri di accertamento dell'amministrazione, che costituiscono il criterio di riferimento per valutare la completezza e la legittimita' della dichiarazione integrativa. In una tale logica si inquadra, fra l'altro, anche il profilo per cui, ai sensi del comma quinto del citato art. 38 della legge n. 413 del 1991, per la definizione automatica dei periodi d'imposta per i quali non e' stata presentata la dichiarazione dei redditi, debba essere versato un importo pari a lire due milioni per ciascuno dei periodi stessi. Ne', ad una tale stregua, rimane integrata alcuna violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di commisurazione dell'impostazione fiscale alla capacita' contributiva - come riconosciuto dalla Corte costituzionale con l'ordinanza del 6 dicembre 2000, n. 550 - in quanto la norma non pone alcun obbligo per il cittadino, ma si limita ad agevolare la definizione fiscale dei periodi considerati, offrendo ai contribuenti possibilita' la cui convenienza economica e' interamente rimessa al loro libero apprezzamento. --------------------------- Massima tratta dal CED della Cassazione.

L'art. 8, comma quarto, del D.L. 20 novembre 1987,n. 474, convertito in legge 21 gennaio 1988 n. 12, il quale dispone che non sono soggetti ad IVA gli acquisti di nuove attrezzature effettuati per il potenziamento di aziende danneggiate dagli eventi sismici nel settore agricolo o in quelli previsti dagli artt. 21 e 22 della legge n. 219 del 1981 (industria, commercio, artigianato, turismo, spettacolo e cooperazione), non ha natura interpretativa della disposizione dell'art.5, comma primo, lettera d), del D.L. dicembre 1980 n. 799, convertito in legge 12 dicembre 1980, n. 875, che dispone la esenzione dall'IVA per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi in favore di aziende agricole dirette a ripristinare e ricostituire le scorte vive o morte distrutte o danneggiate dagli eventi sismici, avendo, invece, il valore di disposizione introduttiva di un autonomo beneficio, come si desume dalla mancanza nella prima delle disposizioni citate delle connotazioni proprie dell'atto di interpretazione autentica - quali il richiamo di altra disposizione e la manifestazione, esplicita od implicita, dell'intento del legislatore di assegnare ad essa significato vincolante -, nonche' dalla circostanza che il suo contenuto non e' nemmeno in parte sovrapponibile a quello della norma assertivamente interpretata, atteso che il ripristino di scorte e' vicenda economicamente e giuridicamente differenziata dal potenziamento dell'impresa con nuove attrezzature e macchinari. La diversita' dei due benefici trova, del resto, conferma nella sostanziale riproposizione, all'art. 1, primo comma bis, del D.L. n. 474 del 1987, dell'agevolazione per il ripristino di scorte di cui al citato art. 5 del D.L. n. 799 del 1980. Ne consegue che l'agevolazione prevista dall'art. 8, comma quarto, del D.L. n. 474 del 1987 non subisce lo stesso limite temporale di efficacia del 31 dicembre 1988, previsto per i benefici di cui all'art.. 5, primo comma, lett. d), del D.L. n. 799 del 1980. * Massima tratta dal CED della Cassazione.

In tema di redditi di impresa e con riguardo alla deducibilita' delle perdite sui crediti verso debitori soggetti a procedure concorsuali, la disposizione innovativa contenuta nell'art. 66, comma terzo, del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, e' stata estesa, per effetto dell'art. 25, comma primo, del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42, ai casi in cui la procedura concorsuale sia in corso alla data dell'inizio del primo periodo d'imposta successivo al 31 dicembre 1987. Il medesimo art. 25 ha anche stabilito le modalita' di deduzione, prescrivendo un recupero graduale secondo quote costanti. La disposizione risponde all'esigenza di ripartire nel tempo l'impatto sulle entrate erariali della regola piu' favorevole al contribuente. Essa non puo' peraltro essere intesa come negativa del diritto alle detrazioni effettuate precedentemente alla sua entrata in vigore perche' cio' implicherebbe una radicale ed illogica smentita di quanto previsto nel primo periodo dell'art. 25 in esame sull'estensione al passato del canone della deducibilita' "in ogni caso" delle perdite su crediti a seguito del fallimento del debitore (alla condizione sopra ricordata), ed inoltre introdurrebbe un'anomala sanzione a carico di chi abbia gia' optato per una detrazione integrale (nella specie l'accertamento concerneva il reddito dichiarato ai fini IRPEG e ILOR per l'anno 1986 ed, inoltre, non erano emersi accantonamenti per il "rischio crediti"). * Massima tratta dal Ced della Cassazione.

Registrati al nostro portale per accedere al motore di ricerca delle sentenze.

Registrati

Sentenze

Sentenze nel nostro database:
507,035

Cerca

Giudici

Giudici nel nostro database:
2,876

Cerca

Autorità

Tribunali nel nostro database:
331

Cerca

Sentenze.io 2023