Sentenza del 25/10/1996 n. 9332 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 1

Testo

                  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO  
  1. - I ___, che, per rapporti di prestazione d'opera professionale intercorsi
    con l'Inam, sulla base di sentenza del tribunale di Monza, vantavano verso il
    Ministero del tesoro un credito di L. 1.145.893.508, sottoponevano a
    pignoramento crediti del Ministero verso la societa' ___.
    Il pretore di Milano, a conclusione di tale processo, con ordinanza
    17.4.1985, assegnava agli ___, le somme di L. 515.826.006 e 516.513.478,
    dovute dalla ___ al Ministero.
    La ___, il 2.5.1985, pagava agli ___ la somma indicata nell'ordinanza,
    diminuita di quella di L. 170.516.000.
  2. - Gli ___, con atto di precetto notificato alla ___ il 13.5.1985, le
    intimavano di pagare anche la somma di L. 170.516.000.
    La ___, con la citazione a comparire davanti al tribunale di Milano,
    notificata il 16.5.1985, proponeva opposizione all'esecuzione: l'opponente
    sosteneva di non dovere la somma richiestale, perche', in applicazione
    dell'art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nell'eseguire un pagamento
    di somme ad estinzione d'un credito derivante da prestazione di lavoro
    autonomo, aveva operato la ritenuta alla fonte imposta da quella norma.
    Il Ministero delle finanze interveniva in tale giudizio.
  3. - Gli ___, il 31.5.1985, procedevano a pignoramento mobiliare in confronto
    della ___, che depositava come oggetto di pignoramento la somma di L.
    207.080.000.
    La ___, con il ricorso al pretore di Milano, depositato il 4.6.1985,
    proponeva poi e per le stesse ragioni una seconda opposizione all'esecuzione.
    Il pretore rimetteva le parti al tribunale, competente per valore, davanti al
    quale la causa era riassunta dalla ___ con l'atto notificato il 12.2.1986.
    Il Ministero delle finanze interveniva anche in questo giudizio.
  4. - Il tribunale di Milano, riuniti i procedimenti, con sentenza 16.6.1988
    n. 5499, dichiarava che conoscere delle opposizioni rientrava nella propria
    giurisdizione, perche' si trattava di cause che non erano state instaurate nei
    confronti del Ministero delle finanze e non avevano ad oggetto l'impugnativa
    di un atto da esso proveniente.
    Il tribunale, poi, rigettava le opposizioni.
  5. - La decisione sul merito era impugnata sia dal Ministero delle finanze
    sia dalla ___.
  6. - La corte d'appello di Milano, con sentenza 25.10.1994 n. 2663, ha
    rigettato le impugnazioni.
    La corte d'appello ha osservato che la giurisdizione del giudice ordinario a
    conoscere della causa non poteva piu' essere messa in discussione, perche' era
    stata dichiarata cessata la materia del contendere, a seguito di condono,
    sulla controversia pendente davanti alle commissioni tributarie, controversia
    che aveva avuto ad oggetto "l'accertamento del Fisco diretto a recuperare a
    tassazione ai fini dell'imposizione diretta le somme gia' versate all'erario a
    titolo di R.A. (appalesandosi con cio' la reiterata pretesa del Fisco di
    ricevere quanto gia' ottenuto)".
    La corte d'appello ha poi affermato che le due impugnazioni erano infondate,
    "posto che il credito pignorato presso terzi ha una sua autonoma natura,
    distinta da quella del credito di lavoro, e persistente nonostante le vicende
    esecutive dirette alla soddisfazione di quel credito, che e' dunque l'unico a
    costituire il presupposto e la base imponibile della ritenuta di acconto, di
    cui all'art. 25 del D.P.R. n. 600-73".
  7. - Il Ministero delle finanze ha proposto ricorso per cassazione.
    Gli ___ hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale
    condizionato.
    La ___ non ha svolto attivita' difensiva.
    Gli ___ hanno depositato memoria.
    MOTIVI DELLA DECISIONE
  8. - Il ricorso principale contiene tre motivi, mentre il ricorso incidentale
    condizionato ne contiene uno.
  9. - Il ricorso incidentale, ancorche' condizionato, deve essere esaminato
    per primo perche' sottopone all'esame della Corte una questione rilevabile di
    ufficio.
    Gli ___ sostengono che l'appello proposto dal Ministero delle finanze era
    inammissibile.
    La questione cosi' sollevata non e' fondata.
    Il Ministero e' intervenuto in un giudizio di opposizione all'esecuzione
    iniziato dalla ___.
    Questa aveva proposto l'opposizione per sostenere che, attraverso il
    pagamento del credito assegnato agli ___, veniva a risultare adempiuto un
    credito degli ___ verso il Ministero soggetto a ritenuta d'acconto secondo gli
    artt. 23 e 25 de. D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: pagamento e ritenuta da
    essa eseguiti avevano percio' estinto il credito che gli ___ avevano inteso
    ancora far valere iniziando l'espropriazione forzata sulla base dell'ordinanza
    di assegnazione.
    Orbene, la Corte, in altra identica occasione, ha affermato che il Ministero
    delle finanze aveva legittimazione all'impugnazione (sent. 8 febbraio 1993 n.
    1549).
    La Corte, richiamando la propria precedente giurisprudenza, ha considerato
    che, se pure si svolge fra sostituto e sostituito, la controversia sul se il
    sostituto sia tenuto a pagare una certa somma a titolo di imposta da' luogo ad
    un processo di cui l'amministrazione finanziaria e' litisconsorte necessario.
    Si deve quindi riaffermare che il Ministero era legittimato a proporre
    appello avverso la sentenza pronunciata sull'opposizione proposta dalla ___ ed
    in cui il Ministero era intervenuto.
  10. - Il primo motivo del ricorso principale e' un motivo di difetto di
    giurisdizione (art. 360 n. 1 cod. proc. civ.).
    Il ricorrente osserva che dal processo di espropriazione forzata promosso
    dagli ___ contro la ___ ha tratto origine una controversia che avrebbe dovuto
    essere decisa dalle commissioni tributarie, perche' ha avuto ad oggetto lo
    stabilire se la ___ dovesse o no assoggettare a ritenuta d'accordo il
    pagamento eseguito agli ___ sulla base dell'ordinanza di assegnazione.
    Il motivo e' inammissibile.
    La questione di giurisdizione e' stata decisa in modo espresso dal giudice di
    primo grado, il quale ha affermato la propria competenza giurisdizionale e poi
    ha stabilito se la ritenuta dovesse o no essere applicata.
    La sentenza di primo grado, sulla giurisdizione, non era stata impugnata da
    alcuno ed era dunque passata in giudicato (art. 324 cod. proc. civ.) per
    acquiescenza parziale (art. 329, comma 2, cod. proc. civ.).
    Cio' escludeva che la corte d'appello avesse il potere di conoscere della
    questione.
    Invero, il difetto di giurisdizione e' bensi' rilevabile anche di ufficio in
    ogni grado del processo (art. 37, comma 1, cod. proc. civ.), ma l'applicazione
    di questa norma trova un limite in quella, dettata dall'art. 161 cod. proc.
    civ., per cui le ragioni di nullita' della sentenza impugnabile si convertono
    in motivi di impugnazione: con la conseguenza che la decisione espressa sulla
    giurisdizione, contenuta in una sentenza definitiva che decide sul merito
    della domanda, costituisce ostacolo a che nel grado successivo la questione
    torni a poter essere esaminata in mancanza di un motivo di impugnazione.
    La decisione sulla giurisdizione contenuta nella sentenza deve essere percio'
    corretta nella motivazione, che e' sostituita dal rilievo dell'intervenuta
    formazione del giudicato.
  11. - Il secondo motivo denunzia un vizio di violazione di norma di diritto
    (art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 25 e 29, ma recte 23,
    del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600).
    Il ricorrente sostiene che la corte d'appello ha violato le norme richiamate
    quando ne ha escluso l'applicazione nel caso in esame.
    I resistenti obiettano che ne' la ___ ne' il Ministero avrebbero potuto
    contrapporre all'azione esecutiva e mediante opposizione all'esecuzione la
    ragione che sostanzia la questione su cui verte il motivo.
    L'obiezione non e' pero' fondata.
    La ___, come si e' veduto, ha contrapposto al diritto degli ___ basato
    sull'ordinanza di assegnazione un fatto non anteriore, ma successivo alla
    formazione del titolo giudiziale: il fatto, cioe', d'aver estinto il credito
    nascente dal titolo, sia pure, in parte, attraverso l'applicazione della
    ritenuta; come si e' poi gia' osservato, la ragione posta a fondamento
    dell'opposizione valeva ad individuare nel Ministero delle finanze un
    legittimo contraddittore rispetto alla controversia relativa
    all'applicabilita' della ritenuta.
    La sentenza impugnata ha deciso la controversia negando l'applicabilita'
    della ritenuta e dunque il motivo che il Ministero ha proposto per criticare
    la decisione e' affatto ammissibile.
    Esso e' anche fondato.
    L'art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 dispone che "I soggetti
    indicati nel primo comma dell'art. 23, che corrispondono a soggetti residenti
    nel territorio dello Stato compensi comunque determinati… per prestazioni di
    lavoro autonomo, ancorche' rese a terzi o nell'interesse di terzi, devono
    operare all'atto del pagamento una ritenuta del tredici per cento a titolo di
    acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti,
    con obbligo di rivalsa".
    Il problema posto dal ricorso e' se la norma sia applicabile nel caso in cui
    il pagamento non e' fatto dal soggetto a favore del quale e' stata resa la
    prestazione di lavoro autonomo ma da un terzo, e il pagamento del terzo,
    sebbene estingua anche il credito da prestazione di lavoro autonomo, sia
    compiuto in adempimento di un'obbligazione avente un titolo diverso.
    Dopo un'iniziale decisione contrari 8sent. 27 marzo 1979, n. 1774), questo
    problema e' stato risolto dalla Corte in senso affermativo (sent. 22.6.1982 n.
    3777 e 16.7.1991 n. 7879): la norma e' stata considerata applicabile al caso
    di condanna al pagamento delle spese processuali con distrazione (art. 93 cod.
    proc. civ.), cioe' al caso in cui, pronunciata condanna della parte
    soccombente al rimborso delle spese processuali, alla parte soccombente e'
    imposto di pagare tali spese al difensore dell'altra parte; lo e' stata
    altresi' con riguardo ad un caso di transazione sul danno concluso da societa'
    assicuratrice, che si sia assunta nei confronti del danneggiato l'obbligazione
    di pagare gli onorari al procuratore della controparte.
    Le sezioni unite ritengono che questa seconda soluzione sia da riaffermare.
    La ritenuta d'acconto attua l'anticipata riscossione dell'imposta che la
    persona fisica che riceve il pagamento deve sul reddito percepito e
    presupposto della sua applicazione e' che il reddito percepito derivi da
    prestazione di lavoro autonomo: la norma va dunque applicata quando ricorra
    tale condizione e per stabilire se ricorra e' necessario ricercare se il
    pagamento che il percettore del reddito riceve e' o no da imputare ad un tale
    reddito.
    La norma esclude espressamente che sia da attribuire rilevanza alla
    circostanza che il pagamento provenga, anziche' dal soggetto a cui favore la
    prestazione e' resa, da un terzo: sicche' quando l'obbligazione del terzo trae
    origine da un rapporto diverso, cio' che rileva non e' la ragione per cui il
    terzo esegue il pagamento, ma la ragione che costituisce fonte del credito che
    con il pagamento resta estinto.
    La giurisprudenza della Corte mostra, poi, che nessuna rilevanza impeditiva,
    rispetto all'applicazione della norma, e' stata riconosciuta alla circostanza
    che il pagamento sia eseguito in base ad un provvedimento giudiziale, nel caso
    l'ordinanza di assegnazione.
    Si e' gia' richiamata la fattispecie della condanna con distrazione; puo'
    aggiungersi che, quando la Corte ha escluso che la norma possa applicarsi ai
    pagamenti eseguiti dal curatore del fallimento, essa non ha fatto riferimento
    a questo argomento, ma a quello per cui al curatore fanno difetto le
    caratteristiche organizzative e soggettive richieste dall'art. 23 della legge
    in chi esegue il pagamento (sent. 5.2.1982 n. 660; 8.9.1996 n. 5476; 14.9.1991
    n. 9606; 22.12.1994 n. 11047).
  12. - L'accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l'assorbimento del
    terzo: il giudizio deve essere definito esaminando ogni altra questione dopo
    che la questione pregiudiziale trattata in sede in esame del secondo motivo
    sia decisa in base all'applicazione del principio di diritto di seguito
    formulato.
  13. - Il ricorso principale e' accolto nei limiti indicati, mentre quello
    incidentale e' rigettato.
    La sentenza impugnata e' cassata e la causa e' rimessa al giudice di rinvio
    che e' indicato in altra sezione della Corte di appello di Milano.
    Il giudice di rinvio si uniformera' al seguente principato di diritto: -
    "L'art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a norma del quale i soggetti
    indicati nell'art. 23 dello stesso decreto sono tenuti ad operare una ritenuta
    d'acconto sulle somme da loro pagate a titolo di compenso per prestazioni di
    lavoro autonomo e' applicabile nel caso in cui il pagamento sia eseguito da
    terzo debitore pignorato in base ad ordinanza di assegnazione, se il credito
    del creditore procedente verso il debitore diretto derivi da rapporto di
    lavoro autonomo".
    Il giudice di rinvio provvedera' sulle spese di questo grado del giudizio:
    nel pronunciare su tali spese considerera' che l'accoglimento del ricorso
    principale comporta il rigetto dell'istanza di condanna al risarcimento del
    danno per responsabilita' processuale aggravata proposta degli ___.
    P.Q.M.
    La Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale,
    accoglie il secondo, dichiara assorbito il terzo; rigetta il ricorso
    incidentale; cassa e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte
    d'appello di Milano.

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