Sentenza del 13/12/1995 n. 12782 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 1

Testo

                  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO  

Il ___, in qualita' di liquidatore della s.n.c. ___ ha proposto ricorso
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Firenze n. 1019-91, che ha
respinto il gravame da lui proposto avverso la decisione della Commissione
Tributaria di II grado di Livorno, la quale aveva confermato la legittimita'
dell'avviso di rettifica della dichiarazione dei redditi della predetta
societa' per l'anno 1974.
Avanti alla Corte d'Appello il Romano aveva sostenuto che, essendo pendente
causa penale concernente illeciti perpretati in materia di imposte di
fabbricazione da parte dei soci della ___, il procedimento tributario doveva
essere sospeso; mentre non poteva comunque essere assoggettato a tassazione
l'eventuale profitto derivante da attivita' penalmente perseguibile.
Nel rigettare l'impugnazione, la Corte d'Appello ha escluso che il processo
tributario debba essere sospeso, richiamando al disposto di cui all'art. 12 della L. n. 516 del 1982 ulteriormente rilevando che il processo tributario,
nella specie, afferiva la imposta sul reddito, mentre quello penale si
riferiva alla imposta di fabbricazione sugli spiriti.
Quanto all'oggetto della tassazione, la Corte ha affermato che esso non
riguardava proventi da reato, ma il recupero di costi non ammessi e di ricavi
non contabilizzati.
Per l'annullamento di tale sentenza, ___ ricorre affidandosi a due mezzi.
L'Amministrazione delle Finanze resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo di ricorso, adducendo la violazione dell'art. 3 del codice
di procedura penale del 1930, il ricorrente sostiene che il diniego di
sospensione del giudizio tributario, in attesa della definizione di quello
penale, non poteva essere giustificato, come ha ritenuto la sentenza
impugnata, dal disposto dell'art. 12 della L. n. 516 del 1982, entrato in
vigore nel corso del giudizio, e dopoche' il contribuente aveva reiteratamente
instato per la sospensiva. Infatti il menzionato articolo 12 sarebbe norma di
carattere sostanziale, e non processuale, e pertanto non applicabile ai
procedimenti instaurati in precedenza.
Fra l'altro era l'addebito di false fatturazioni rivolto alla societa' ___ a
determinare il presupposto della asserita obbligazione tributaria diretta ed
indiretta, e quindi la presumibile entita' dei redditi non assoggettati a
tassazione ai fini dell'imposta sui redditi.
Col secondo motivo di ricorso, il ricorrente contesta la logicita' della
motivazione della sentenza impugnata in ordine all'operato dell'Ufficio, il
quale non si sarebbe limitato al recupero di costi di manodopera non sostenuti
e al rilievo dell'omessa contabilizzazione dei ricavi, ma avrebbe proceduto ad
eliminare dal conto profitti e perdite l'ammontare di costi non sostenuti per
essere le relative fatture intestate a ditte inesistenti. Essendo questo
l'addebito mosso in sede penale, e' stato considerato come presupposto
d'imposta un'attivita' oggettivamente illecita.
Per gli utili derivanti da attivita' illecite sono, infatti, previsti altri
istituti, quali la restituzione, la confisca e il risarcimento danni, proprio
perche' il reo non deve disporre di quei proventi, che non possono dunque
neppure essere assoggettati a tassazione.
Essendo stata penalmente accertata (Cass. 2.12.1986) l'emissione, da parte
della societa' ___, di fattura fittizie atte a coprire il commercio di alcool
di illecita provenienza, dal conto profitti e perdite avrebbero dovuto essere
eliminati non soltanto i costi inesistenti, ma anche i supposti ricavi,
perche' non realizzati, mentre nessuna imposizione e' stata effettuata
dall'Ufficio per eventuali compensi ipotizzabili per lo svolgimento
dell'attivita' illecita di false fatturazioni.
Il ricorso e', nel complesso infondato.
Come hanno infatti statuito i giudici delle fasi di merito, era nella
fattispecie applicabile l'art. 12 del D.L. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in L. 7 agosto 1982 n. 516, il quale dispone che in deroga a quanto stabilito
dall'art. 3 c.p.p. il processo tributario non puo' essere sospeso. Trattasi,
infatti, di norma di carattere processuale, atta ad incidere sui processi in
corso al momento della sua entrata in vigore, non potendo da alcun elemento
dedursi la diversa natura di norma sostanziale, peraltro solo affermata, ma
non dimostrata, dal ricorrente.
Va comunque rilevato che l'art. 3 del c.p.p., sotto la cui vigenza ebbe
inizio la controversia, comportava un dovere di indole pubblicistica, della
cui inosservanza la parte non poteva dolersi (Cass. 2066-72), essendo sempre
rimesso al giudice civile l'apprezzamento discrezionale dell'influenza di un
procedimento penale gia' iniziato, sulla decisione di una controversia non
penale.
Peraltro, per quanto attiene i fatti materiali accertati, e' pacifico in
causa che il reato ascritto ai soci della soc. ___ e' stato da tempo definito
con sentenze 2.12.86 e 29.1.90 di questa Corte III Sez. Penale, per cui il
motivo, oltreche' infondato, e' inammissibile per carenza di interesse.
Deve essere rigettato anche il secondo motivo di ricorso, con cui si sostiene
che i proventi sottoposti a tassazione, in quanto illeciti, non potevano,
costituire oggetto di accertamento, e si censura quindi la sentenza impugnata
sotto il profilo del vizio di motivazione, in relazione alla mancata prova
della ripresa a tassazione di costi inesistenti e di supposti ricavi.
La Corte d'Appello ha infatti, sul punto rilevato, con accertamento di fatto
incensurabile in questa sede, che l'Ufficio non ha tassato proventi di reato,
ma ha verificato l'iscrizione in bilancio di costi di manodopera non -
sostenuti e l'omessa contabilizzazione di ricavi mediante vendita di alcool,
senza emissione delle relative fatture.
Ne' puo' sostenersi, come fa il ricorrente, che i proventi a tassati, in
quanto soggetti a confisca, non potevano costituire oggetto di ulteriori
accertamenti. Non soltanto la Corte di merito ha infatti escluso la
identificazione fra le differenti condotte addebitate alla contribuente in
sede penale e in sede tributaria, ma come questa Sezione ha avuto modo di
affermare recentemente (sent. 19 aprile 1995 n. 4381), l'art. 14 4 c. della L. 24 dicembre 1993 n. 537, che ha sottoposto a tassazione i redditi provenienti
da reato, costituisce interpretazione autentica della normativa contenuta nel
DPR 22 dicembre 1986 n. 917, e criterio ermeneutico decisivo per giungere ad
identica conclusione anche con riferimento al T.U. del 1973. Sulla scorte
dello "ius superveniens" del 1993 e' stato dunque non soltanto superato il
precedente orientamento giurisprudenziale (sent. 3028 del 1993) che negava la
tassabilita' del prezzo del reato, ma estesa l'interpretazione autentica del
T.U. del 1986, quale criterio ermeneutico valido anche nei confronti del
D.P.R. n. 597 del 1973, in tema di imposte sul reddito.
Il ricorso deve essere dunque integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con L. 8
milioni per onorari.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente nelle spese, che si
liquidano in L. 30.000 oltre a L. 8 milioni per onorari, e oltre le spese
prenotate a debito.

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