Sentenza del 21/09/2016 n. 18445 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

Svolgimento del processo

1. L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l'appello dell'Ufficio, sono stati ritenuti illegittimi i provvedimenti di diniego della definizione delle liti pendenti, richiesta dalla S. di C. s.r.l. ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16.

Il giudice d'appello ha osservato che la norma citata prevede la condonabilità anche qualora sia stata pronunciata una sentenza di inammissibilità del ricorso non ancora passata in giudicato, così "comprendendo implicitamente anche quelle controversie per le quali il ricorso sia stato proposto fuori termine, anche se create appositamente per usufruire del condono".

2. La S. di C. s.r.l. non si è costituita.

Motivi della decisione

1. Con l'unico motivo di ricorso, l'Agenzia delle entrate denuncia la violazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 3, "in combinato disposto con il principio del divieto dell'abuso di diritto e con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 2".

Premette che: alla contribuente erano stati notificati avvisi di accertamento nell'anno 2000; essi erano stati impugnati tempestivamente, ma non depositati presso la CTP adita; il presidente di questa aveva quindi dichiarato l'inammissibilità dei ricorsi; la contribuente aveva proposto altrettanti reclami, rigettati con sentenze della CTP del marzo 2003.

Formula, in conclusione, il quesito di diritto se al fine della condonabilità prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, non è da considerarsi lite pendente quella per la quale l'atto introduttivo sia stato dichiarato inammissibile con pronuncia non passata in giudicato, quando l'inammissibilità sia dovuta all'abuso processuale da parte del contribuente, manifestato dal mancato deposito del ricorso notificato, quando tale mancato deposito è stato accertato dal giudice di merito; con conseguente erroneità della sentenza impugnata, per la quale è condonabile la lite tributaria pendente qualora sia stata pronunciata una sentenza di inammissibilità del ricorso non ancora passata in giudicato, ivi inclusa la controversia creata appositamente per usufruire del condono mediante ricorso proposto senza rispetto di un termine processuale previsto a pena di inammissibilità.

2. 11 motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte affermato il principio secondo il quale, in materia di chiusura delle liti fiscali ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, la formale pendenza della lite non osta al diniego dell'istanza di condono allorquando il contribuente - in palese violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede, nonché dei principi di lealtà processuale e del giusto processo - abbia fatto uso abusivo del processo, impugnando l'atto impositivo molto oltre la scadenza del termine previsto dalla legge, senza nulla argomentare in ordine alla perdurante ammissibilità dell'impugnazione, nonostante il tempo trascorso, al solo scopo di precostituirsi una lite pendente per accedere al condono.

Occorre, quindi, che l'esistenza dell'abuso del processo, cioè dell'utilizzazione degli strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle stabilite dalla legge, sia accertata in base a circostanze ed elementi sintomatici dai quali emerga, in modo evidente ed inequivoco, l'intento di sfruttare in modo fittizio e strumentale il mezzo processuale, al solo scopo di conseguire i vantaggi della sopravvenuta, o preannunciata, normativa di condono (Cass. nn. 22502 del 2013, 210 e 1271 del 2014; da ult., in motivazione, Cass., sez. un., n. 643 del 2015).

Al di fuori di tali, eccezionali, ipotesi, resta pienamente valido il consolidato orientamento in virtù del quale il presupposto della lite pendente ricorre in presenza dell'iniziativa giudiziaria del contribuente (non dichiarata già inammissibile con pronuncia definitiva), che sia potenzialmente idonea ad aprire il sindacato sul provvedimento impositivo, indipendentemente dal preventivo riscontro della ritualità e della fondatezza del ricorso che vi ha dato vita (Cass., sez. un., n. 643 del 2015, cit., e precedenti ivi richiamati).

Nella fattispecie, la Corte ritiene che non siano ravvisabili gli estremi dell'uso abusivo del processo, cioè di lites fictae.

Premesso che nell'affermazione del giudice a quo secondo cui il condono delle liti pendenti è ammissibile "anche se create appositamente per usufruire del condono" non è configurabile un accertamento di fatto vincolante in questa sede, è sufficiente considerare che i ricorsi introduttivi furono notificati, nei termini, all'Ufficio nel 2001, ben prima, quindi, della legge di condono, e che l'intento abusivo non può essere individuato nell'omesso deposito dei ricorsi, in relazione al quale i decreti di inammissibilità emessi dal presidente della sezione erano stati oggetto di altrettanti reclami dinanzi alla commissione, pendenti alla data dell'1 gennaio 2003, di entrata in vigore della L. n. 289 del 2002 .

3. Il ricorso va, in conclusione, rigettato.

4. Non v'è luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2016

Registrati al nostro portale per accedere al motore di ricerca delle sentenze.

Registrati

Sentenze

Sentenze nel nostro database:
507,035

Cerca

Giudici

Giudici nel nostro database:
2,876

Cerca

Autorità

Tribunali nel nostro database:
331

Cerca

Sentenze.io 2023