Sentenza del 23/11/2022 n. 34576 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

Fatti di causa

1. L'Agenzia delle Entrate notificava avvisi di accertamento relativi a maggior imposta (anni 2004-2008) e sanzioni (anni 2005-2009), il tutto con riferimento alla violazione dell'obbligo di dichiarazione (quadro RW) di redditi derivanti da investimenti finanziari e rapporti di conto corrente in valuta estera intrattenuti in stati a fiscalità privilegiata. Il contribuente proponeva ricorso alla CTP, la quale accoglieva parzialmente i ricorsi con due distinte sentenze (n. 167/2/12 CTP Lodi e n. 139/2/12 sempre della stessa CTP). Avverso tali decisioni lo stesso proponeva gravame davanti alla CTR, e a sua volta l'Agenzia si costituiva proponendo appello incidentale. La CTR, riuniti i ricorsi, respingeva l'appello principale ed accoglieva quello incidentale.

2. A.A. propone quindi ricorso in cassazione avverso la sentenza della CTR, affidato a cinque motivi. Si è costituita con controricorso l'Agenzia per resistere al ricorso. Il ricorrente ha infine depositato memoria illustrativa datata 4 ottobre 2022 in vista della pubblica udienza.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo il contribuente denuncia violazione per mancata applicazione del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 9, in relazione agli artt. 2 e 7 dello stesso decreto, per erronea attribuzione della portata preclusiva ad accertamenti con adesione sottoscritti ma non perfezionati, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il contribuente censura la pronuncia d'appello nella parte in cui la stessa, prendendo atto dell'intervenuta accettazione della definizione da parte del A.A. della rideterminazione degli imponibili a seguito di procedura di accertamento con adesione, ricavava da ciò l'effetto preclusivo all'impugnativa degli avvisi di accertamento.

A parere del contribuente la decisione sarebbe errata, poiché in base al richiamato disposto del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 9, il perfezionamento della procedura di accertamento con adesione si avrebbe solo tramite il pagamento quantomeno della prima rata degli importi concordati.

Nella specie non solo il A.A. aveva espressamente fatto presente che l'accordo era vincolato alla disponibilità delle somme versate su un conto sottoposto a sequestro penale, acceso presso la BNL presso il Palazzo di Giustizia di Milano, ma a seguito della risposta negativa della suddetta banca ad eseguire i pagamenti, le somme concordate non veniva versate sicché, come affermato dalla giurisprudenza e del resto ricavabile dal dato normativo, l'accordo non si era perfezionato ed il contribuente era senz'altro autorizzato a procedere all'impugnazione degli avvisi di accertamento originari.

2. Con il secondo motivo il contribuente denuncia violazione del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 9, sotto altro profilo; del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19; degli artt. 100 e 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per erronea negazione dell'interesse ad agire, contraddittorietà e conseguente omissione di pronuncia.

In base a tale motivo, per le medesime ragioni di cui al motivo precedente, la sentenza risulterebbe poi errata laddove afferma la sopravvenuto carenza di interesse da parte del A.A. ad impugnare gli atti recanti pretese impositive ormai superate ed assorbite dalla suddetta rideterminazione.

Inoltre, la sentenza rivelerebbe un ulteriore profilo di nullità nella misura in cui, pur pervenendo al merito in un contesto di asserita inammissibilità dei ricorsi, ha omesso di pronunciare sui profili preliminari di illegittimità degli accertamenti.

3. Con il terzo motivo si denuncia la declaratoria di difetto di interesse all'impugnazione, per le sanzioni relative ai periodi fino al 2008 compreso, violazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, art. 6, comma 4, artt. 7 e 9, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, ed ancora del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, artt. 4 e 5, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il contribuente denuncia la pronuncia d'appello nella parte in cui ha confermato le sanzioni irrogate, e ciò anzitutto sulla base delle stesse ragioni allegate a sostegno dei due precedenti motivi. Inoltre - ammesso che l'accertamento con adesione avesse vincolo preclusivo - a suo avviso le sanzioni non potrebbero considerarsi automaticamente incontestabili, essendo state irrogate con atti separati e per violazioni non connesse alla materia imponibile. Infine, sempre ad avviso del contribuente, l'automatico effetto preclusivo sarebbe smentito dalle stesse disposizioni che si assumono violate, che confermano il carattere autonomo rispetto alle operazioni che determinano l'imponibile.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell'art. 2697, c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla sanzione relativa all'anno 2009.

Infatti, la CTR non avrebbe considerato come in realtà la sanzione non potesse essere irrogata, in quanto il contribuente aveva dedotto che dal 2006 egli aveva rimpatriato tutte le somme e non aveva più alcuna disponibilità all'estero, avendo sottoscritto un ordine di disinvestimento a seguito di un accordo con la Procura di Milano.

5. Con il quinto motivo, e sempre relativamente alla sanzione relativa all'anno 2009, si denuncia violazione dell'art. 132 cod. proc. civ. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, relativamente ai criteri di rideterminazione della sanzione alla luce dello jus superveniens, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

In particolare, sul punto non sarebbe dato evincere alcun criterio concreto, nè giuridico nè di calcolo, sulla cui base sia stato determinato l'importo della sanzione accertata come dovuta.

6. I motivi primo e secondo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

La giurisprudenza di questa Corte ha in più circostanze affermato che "quando l'istanza di adesione abbia avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l'accertamento così definito mediante anche la fissazione del quantum debeatur - diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non può più impugnarlo, quanto da parte dell'Ufficio, che non può integrarlo o modificarlo come prescrive il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 3. Distinto rispetto alla conclusione dell'accordo è invece il "perfezionamento della definizione" concordata che si ottiene, come si è detto, mediante il versamento all'erario di quanto concordemente stabilito (o mediante il versamento della prima rata). Invero, solo dopo il perfezionamento, ossia dopo il pagamento del debito tributario scaturente dall'accordo, l'atto impositivo perde efficacia (art. 6, comma 4, ult. per.). Sulla scorta dei prefati principi si è dunque e anche recentemente affermato che, dopo la conclusione dell'accertamento con adesione mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire - e quindi "perfezionare" - l'accordo versando quanto da esso risultante, essendo normativamente esclusa la possibilità d'impugnare tale accordo e, a maggior ragione, quella d'impugnare l'atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia ma solo a garanzia del fisco, finché non sia stata "perfezionata" la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l'obbligazione scaturente dal concordato" (cfr. Cass. 27/07/2020, n. 15980; Cass. 25/01/2019, n. 2161, Cass. 13/07/2015, n. 14533; da ultimo Cass. 26/05/2021, n. 14547, Cass. 04/07/2022, n. 2117).

Pertanto sulla base di quanto così espresso, va distinto il momento della conclusione dell'accordo, che si realizza con la sua sottoscrizione, da quello del suo perfezionamento, che attiene al completamento della fattispecie, cioè alla compiuta esecuzione dell'obbligazione scaturente dall'accordo, fermo restando che la reviviscenza dell'efficacia dell'originario avviso di accertamento, nel caso - che ricorre nella specie - di mancato adempimento dell'accordo, costituisce previsione posta a garanzia del fisco (cfr. Cass. 15980/2020 e Cass. n. 2161/2019), non anche del contribuente, essendo esclusa la possibilità, dopo la conclusione dell'accordo, di ripensamenti, stante la sua immodificabilità. Il successivo inadempimento giustifica piuttosto l'adozione, da parte dell'ente impositore, dei normali mezzi di coercizione, e non determina certo il travolgimento dell'accordo (in tal senso Cass. 30/04/2009, n. 10086; Cass. 2161/2019 e Cass. n. 15980/2020).

Né la sentenza appare affetta da contraddittorietà o da omessa pronuncia in ordine ai profili preliminari di illegittimità degli accertamenti, volta che il giudice d'appello ha appunto ritenuto non più soggetti ad impugnazione gli accertamenti e invece, coerentemente, soggetto il contribuente al pagamento delle somme determinate in sede di accordo, confermando allora sul punto le determinazioni del primo giudice.

7. Anche il terzo motivo risulta infondato.

Lo stesso, laddove richiama le motivazioni indicate nei primi due motivi, è assorbito dal rigetto degli stessi.

Nel resto, premesso che il presupposto per l'applicabilità delle sanzioni discende dai già richiamati effetti dell'accertamento con adesione circa l'incontestabilità delle violazioni, va sottolineato come in sede d'appello il contribuente abbia chiesto la rideterminazione delle sanzioni allegando l'assunta erroneità dell'efficacia preclusiva dell'accertamento con adesione. Il motivo non indica però in qual guisa la CTR abbia errato nel determinare le sanzioni, nè illustra o determina un criterio alternativo, collegandolo poi ai motivi d'appello spiegati sul punto, per cui sotto tale profilo il motivo si appalesa generico e per l'effetto inammissibile.

8. Anche il quarto motivo risulta infondato.

Invero non emerge nella sentenza alcuna violazione del principio della distribuzione dell'onere della prova, di cui all'invocato art. 2697 c.c., circa la sanzione per l'anno 2009, bensì viene affermato che il contribuente - a fronte dell'accertata omessa redazione del quadro RW - non ha dimostrato il rientro di tutti i capitali detenuti all'estero, anzi - in base alle risultanze dell'Anagrafe Tributaria ed al sistema SerPICo, sarebbe positivamente risultato il rientro di Euro 2.589.877 a fronte di un totale di Euro 4.138.988,00.

9. Infine anche il quinto ed ultimo motivo risulta infondato, laddove si ritiene che la sentenza d'appello abbia omesso di motivare in ordine ai criteri di rideterminazione della sanzione, inerente sempre all'anno 2009.

Invero, la sentenza riporta sul punto una motivazione non apparente, dal momento che, preso atto dell'intervenuto jus superveniens (costituito dalla L. 6 agosto 2013, n. 97), circa l'entità della sanzione, la stessa opera un richiamo ob relationem alla tabella-prospetto di cui alla memoria depositata il 17 aprile 2014 dall'Agenzia, rispetto peraltro ai cui criteri nulla osserva il ricorrente.

Per il resto va affermato che "In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158 del 2015 non operano in maniera generalizzata in "favor rei", rendendo la sanzione irrogata illegale, sicché deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno "ius superveniens" più favorevole, senza specifiche allegazioni rispetto al caso concreto idonee ad influire sui parametri di commisurazione della sanzione, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata" (Cass. 30/11/2018, n. 31062; Cass. 16/09/20, n. 19286). Proprio l'assenza di una generalizzata natura più favorevole della norma sopravvenuta indicata dal disposto della citata disciplina innovatrice esclude la possibilità di rilevabilità ex officio della stessa con riferimento al caso concreto.

10. In conclusione il ricorso merita integrale reiezione, con aggravio di spese in capo al ricorrente soccombente 11. Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l'obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 8.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2022

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