Sentenza del 27/04/2021 n. 11023 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Massime

IVA - SALE AND LEASE BACK - CESSIONE DI BENE IMPONIBILE - CONDIZIONI

In tema di IVA non costituisce cessione di bene imponibile la vendita effettuata con un contratto di sale and lease back, in quanto a tale complessa ed unitaria operazione negoziale, con causa concreta finanziaria, non consegue il trasferimento del bene materiale da una parte, il venditore-utilizzatore, all'altra, l'acquirente-concedente, tale che, la seconda, possa dirsi autorizzata a disporne di fatto come se ne fosse la proprietaria, in ragione della permanenza del bene stesso nella disponibilità del venditore che, invece, lo utilizza ininterrottamente. Infatti, in tema di IVA, la nozione di cessione di bene quale presupposto impositivo, in forza d'interpretazione conforme del diritto interno a quello sovranazionale, si riferisce non al trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto interno bensì a qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale con la quale una parte autorizzi l'altra a disporne di fatto come se ne fosse il proprietario, spettando al giudice di merito determinare, caso per caso, in relazione alla singola fattispecie, se una data operazione comporti il trasferimento del detto potere. Pertanto, per escludere dal novero delle cessioni di beni imponibili la vendita in seno a sale and lease back, oltre all'accertamento dell'unicità della complessa operazione, deve escludersi l'illiceità del contratto ed in particolare la finalità elusiva di obblighi tributari con esso eventualmente perseguita. L'operazione deve difatti risultare effettivamente posta in essere per soddisfare reali esigenze di liquidità, quale libero esercizio dell'attività economica, e non tradursi in un uso distorto o improprio dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d'impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio ma esclusivamente o essenzialmente un indebito vantaggio fiscale, contrario allo scopo delle norme tributarie.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

Con riferimento alla mancata effettuazione di operazioni attive IVA ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione, va evidenziato che, se da un lato, in ordine agli acquisti di beni ed in generale alle operazioni passive occorre accertare, ai fini della detraibilità dell'imposta, che ricorra l'effettiva inerenza all'esercizio dell'impresa, cioè il loro compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, d'altro lato, non è richiesto, tuttavia, il concreto esercizio dell'impresa, potendo la detrazione dell'imposta spettare anche nel caso di assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività meramente preparatorie poiché è inerente all'esercizio dell'impresa anche l'acquisto di beni e servizi destinati alla costituzione delle condizioni necessarie perché l'attività tipica possa cominciare, rientrando nel concetto di strumentalità altresì le attività meramente preparatorie. Tutto ciò risulta conforme con l'orientamento della giurisprudenza unionale, che ha esplicitamente affermato che chi ha l'intenzione, confermata da elementi obiettivi, di iniziare in modo autonomo un'attività economica ai sensi dell'art. 4 6^ Direttiva ed effettua a tal fine le prime spese di investimento deve essere considerato come soggetto passivo e in quanto tale ha, conformemente agli artt. 17 e ss. 6^ Direttiva, il diritto di detrarre immediatamente l'IVA dovuta o pagata sulle spese d'investimento sostenute in vista delle operazioni che intende effettuare e che danno diritto alla detrazione, senza dover aspettare l'inizio dell'esercizio effettivo della sua impresa, ed inoltre chi ha l'intenzione, confermata da elementi obiettivi, di iniziare in modo autonomo un'attività economica ai sensi dell'articolo 9 della direttiva 2006/112 ed effettua a tal fine le prime spese di investimento deve essere considerato come soggetto passivo, ferma restando la verifica che il bene o servizio acquistato, anche se non immediatamente inserito nel ciclo produttivo, sia necessario alla organizzazione della impresa ovvero funzionale all'iniziativa economica programmata in vista della successiva attuazione. Pertanto, nel caso di specie veniva accertato che l'immobile oggetto di acquisto era destinato allo svolgimento dell'attività imprenditoriale e che le operazioni passive da cui sorgeva il credito IVA erano inerenti, ma con la conseguenza che, in questo contesto, il riferimento all'applicabilità della disciplina del pro rata risultava del tutto inconferente, difettando il presupposto dell'effettuazione di operazioni esenti nel periodo di imposta accertato.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Nel caso in cu si verifichino fenomeni di interposizione, per accertare la quale il giudice di merito deve indicare elementi indizianti coi requisiti della prova presuntiva, essi si realizzano quando o la ricorrenza del fatto ignoto risulti da ragionevole valutazione probabilistica, ovvero quando il fatto o i fatti noti siano ben definiti e il giudice di merito si basi anche su un solo elemento grave e preciso e il fatto ignoto sia conseguenza del fatto noto con ragionevole probabilità. Il correlato giudizio di rilevanza dei fatti opera, ovviamente, con valutazione globale che investe i rapporti tra soggetto interponente e soggetto ritenuto interposto, avuto riguardo all'attività svolta da quest'ultimo, ai rapporti con il primo e alla destinazione effettiva delle movimentazioni di danaro. Nell'interposizione reale, diversamente da quella fittizia, non si ha simulazione vera e propria ma l'accordo interno devolve all'interponente gli effetti e i risultati dei negozi con terzi rimasti estranei all'accordo, poiché il soggetto interposto negozia coi terzi a nome proprio e acquisisce effettivamente quanto deriva dal negozio. Nella specie, la società contribuente aveva qualificato come cessioni all'esportazione in sospensione di imposta ex art. 8 del DPR n. 633/1972, e, quindi, come vendite con trasferimento di proprietà di prodotti alcolici, quelle che, invece, dovevano considerarsi cessioni simulate per interposizione fittizia delle società estere situate nel Lichtenstein, con conseguente irregolare utilizzo delle fatture emesse ai fini della costituzione del plafond per l'effettuazione di acquisti in sospensione di imposta, sulla base di elementi indiziari emersi in sede penale e valutati complessivamente. Pertanto, avuto riguardo allo schema fraudatorio evidenziato dalla fattispecie, il plafond non poteva operare anche alla luce del diritto unionale, secondo cui in caso di operazioni soggettivamente inesistenti di esportazione verso società del Lichtenstein fittiziamente interposte, quali mezzi per commettere la frode, il principio di neutralità fiscale non può essere invocato, ai fini dell'esenzione dall'IVA, da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente a una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell'IVA. Infatti, non è contrario al diritto dell'Unione esigere che un operatore agisca in buona fede e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l'operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una frode fiscale, ma nell'ipotesi in cui il soggetto passivo di cui trattasi sapesse o avrebbe dovuto sapere che l'operazione da esso effettuata sarebbe rientrata in una frode posta in essere dall'acquirente e non avesse adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare la frode medesima, dovrebbe essergli negato il beneficio dell'esenzione.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

In materia tributaria, l'operazione economica che abbia quale suo elemento (non necessariamente unico, ma comunque) predominante ed assorbente lo scopo elusivo del fisco costituisce condotta abusiva, ed è, pertanto, vietata allorquando non possa spiegarsi altrimenti (o, in ogni caso, in modo non marginale) che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, incombendo, peraltro, sull'Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, mentre grava sul contribuente l'onere di allegare l'esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva qualificato come abusiva, perché diretta unicamente ad ottenere un risparmio d'imposta, un'operazione con la quale una banca aveva stipulato un contratto di capitalizzazione per un'ingente somma di denaro con un istituto di credito appartenente al medesimo gruppo bancario e, per finanziarlo, aveva contratto, il giorno precedente, un prestito di pari importo con la società capogruppo, ma con interessi passivi più alti ed interamente dedotti dai redditi: tale deducibilità è stata negata dall'amministrazione perché ritenuta appunto abusiva).

In materia tributaria, costituisce condotta abusiva l'operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe, sull'Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha escluso che l'acquisto di tutte le altre azioni di una società, da parte della contribuente, già sua socia, e la successiva vendita, previo incasso dei dividendi, della suddetta partecipazione totalitaria, fossero state poste in essere al solo fine di trasformare in dividendi la plusvalenza che sarebbe stata realizzata con la cessione immediata delle azioni originariamente detenute dalla contribuente medesima, configurandole, invece, come una serie di operazioni vere e reali, realizzate con soggetti assolutamente diversi da quest'ultima e dai suoi soci, nonché rispondenti ad una precisa strategia di investimento finanziario). Massima tratta dal CED della Cassazione.

In tema di IVA, un'operazione economica isolata non diretta al mercato, compiuta da una società commerciale, quand'anche l'atto costitutivo o lo statuto sociale prevedano che il sodalizio possa compiere operazioni di acquisto, ristrutturazione, vendita e locazione d'immobili, non può valere, di per sì sola, a dare consistenza ad un'attività imprenditoriale capace di giustificare l'inerenza dell'operazione passiva all'attività svolta, salvo che il contribuente dimostri che la suddetta operazione, apparentemente singola, rientri in una specifica attività imprenditoriale, oppure che essa si inserisca in un'attività immobiliare vera e propria, così che, in entrambi i casi, sia destinata, almeno in prospettiva a procurargli un lucro. (Così statuendo, la S.C., ha confermato la sentenza impugnata che aveva riconosciuto, ad una società immobiliare, il diritto al rimborso di un credito d'imposta per le sostenute spese di ristutturazione di un immobile concessole in comodato dal suo amministratore, avendo quest'ultima dimostrato di aver effettivamente intrapreso, al termine dei relativi lavori, l'attività di locazione immobiliare rientrante nel proprio oggetto sociale). Massima tratta dal CED della Cassazione.

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