E' legittima, alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola in cui venga pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo, canoni c. d. "a scaletta", nell'arco del rapporto e deve escludersi la necessità di dimostrare, con rilievo condizionante, il collegamento del previsto aumento nel tempo del canone a elementi oggettivi e predeterminati, diversi dalla svalutazione monetaria, idonei a incidere sul sinallagma contrattuale, salvo che la clausola non costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui all'art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392. Ciò che cambia, con il canone "a scaletta", è la tempistica del pagamento che, anziché avvenire in misura fissa, è "spalmata", nell'arco della durata della locazione, secondo un criterio progressivamente crescente. Nel caso di specie i Giudici hanno accertato che l'accordo contenente la clausola a scaletta era stato inserito fin dall'origine nel contratto di locazione e che le spese di adeguamento sull'immobile erano finalizzate all'esercizio della specifica attività svolta dal conduttore non emergendo dal testo contrattuale che i lavori costituissero una prestazione in luogo di corrispettivo quale parte del canone di locazione. (G.T.).
Riferimenti normativi: art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
Riferimenti giurisprudenziali: Cass. n. 23986/2019; n. 4445/2023).