Sentenza del 10/06/2015 n. 12035 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Svolgimento del processo
La commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza depositata il 30-6-2009, riformando la decisione di primo grado annullava una cartella di pagamento notificata, in relazione alla Tarsu dell'anno 2006, a C.M.. Secondo il giudice d'appello la contribuente aveva documentato di non aver potuto fruire del servizio pubblico per la mancanza di collegamento stradale tra la sua abitazione e il punto di raccolta dei rifiuti. Essendo il tributo posto per l'ottenimento del servizio, la situazione così documentata dovevasi ritenere ostativa a pretenderne il pagamento. Osservava la commissione che del resto, relativamente agli anni anteriori, analoghi giudizi erano stati definiti in senso favorevole alla contribuente, alla quale il comune aveva restituito l'importo versato.
Contro la sentenza d'appello il comune di Lodi ha proposto ricorso per cassazione deducendo sei motivi.
La contribuente, replicando con controricorso, ha proposto un motivo di ricorso incidentale con riguardo al capo della decisione che ha compensato le spese processuali. Infine la medesima ha depositato una memoria.
Motivi della decisione
1. - Nei primi tre motivi del ricorso principale il comune di Lodi censura la sentenza deducendo, rispettivamente: (i) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, (ii) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4, (iii) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3. Sostiene che il presupposto impositivo della Tarsu non è la produzione di rifiuti e neppure l'utilizzabilità (rectius, l'utilizzazione) de4, locali, ma unicamente la detenzione di locali e aree operative utilizzabili, sicché la tassa è dovuta anche se il soggetto passivo non si avvalga del servizio e smaltisca i rifiuti a proprie cura e spese. Chiede alla corte di affermare il detto principio e di dichiarare illegittima la statuizione di merito in quanto l'utente, anche in ipotesi di mancata fruizione del servizio, connessa a disagi nella utilizzazione, non ha mai diritto all'esenzione ma al più a una mera riduzione della tassa. A tal fine il ricorrente segnala che ogni esercizio fiscale ha una propria autonomia, sicché precedenti decisioni relative ad annualità distinte non possono reputarsi sufficienti a fondare il contrario convincimento del giudice.
2. - Nei restanti tre motivi (quarto, quinto e sesto) il comune di Lodi lamenta, ancora rispettivamente: (iv) la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 nella parte in cui la commissione tributaria regionale ha ritenuto provato il disservizio subito dall'utente in ragione della mera produzione di una fotografia; nonché (v) l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza, ridotta a poche righe esplicative, o in ogni caso (vi) la sua contraddittorietà in rapporto ad altro periodo motivante, col quale il tributo era stato affermato come "certamente non dovuto nell'intero suo importo".
3. - Il ricorso è fondato in relazione ai motivi secondo e terzo, suscettibili di unitaria trattazione e assorbenti rispetto a ogni ulteriore profilo.
4. - E' rilievo preliminare che l'impugnata sentenza, previamente riferendo delle ragioni d'appello della contribuente facenti riferimento alla mancanza di collegamento stradale tra la propria abitazione e il punto di raccolta dei rifiuti, ha stabilito che la suddetta contribuente si era trovata nella situazione di "non poter usufruire del servizio pubblico". Tale situazione la commissione ha detto documentata "con dovizia di particolari", sottolineando come anche relativamente agli anni precedenti il giudizio fosse stato favorevole alla contribuente, cui il comune aveva restituito la tassa versata. In sostanza la commissione tributaria regionale, desunta da ciò la prova della condizione di non avvenuta fruizione del servizio, ha basato la propria decisione sulla equiparazione fra mancata istituzione e attivazione del servizio medesimo e mancata fruibilità in concreto nell'area di residenza della utente. Ha infatti aggiunto che questa, al fine di poter essere considerata soggetta al pagamento della tassa, avrebbe dovuto esser posta nelle condizioni di poter utilizzare in concreto il servizio.
5. - Una simile equiparazione non è rispondente al dato normativo rappresentato dal D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 58, 59 e 62, e appare infine distonica rispetto all'intero sistema della Tarsu.
Le disposizioni dianzi citate prevedono che per il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti i comuni devono istituire una tassa annuale su base tariffaria, da disciplinare con apposito regolamento nel quale sono stabiliti i limiti della zona di raccolta obbligatoria e dell'eventuale estensione del servizio a zone con insediamenti sparsi, la forma organizzativa e le modalità di effettuazione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, con indicazione, a seconda dei singoli ambiti o zone, delle relative distanze massime di collocazione dei contenitori o dei criteri per determinarle, nonché delle relative capacità minime da assicurare in relazione all'entità e tipologia dei rifiuti da smaltire. In base all'art. 59, comma 2, in particolare, si suppone una previa ricognizione dei perimetri del centro abitato, delle frazioni e dei nuclei abitati, ivi compresi i centri commerciali e produttivi integrati, e si precisa che i comuni possono estendere il regime di privativa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati a insediamenti sparsi siti oltre le zone perimetrate sopramenzionate. Mentre, nelle zone in cui non è effettuata la raccolta in regime di privativa dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati, la tassa è dovuta in misura non superiore al 40 per cento della tariffa da determinare in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita. Invero, gli occupanti o detentori degli insediamenti comunque situati fuori dell'area di raccolta sono tenuti a utilizzare il servizio pubblico di nettezza urbana, provvedendo al conferimento dei rifiuti urbani interni ed equiparati nei contenitori viciniori.
E, "se il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, non è svolto nella zona di residenza o di dimora nell'immobile a disposizione ovvero di esercizio dell'attività dell'utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui al comma 1, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l'utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2" (art. 59, comma 4). Persino l'interruzione temporanea del servizio di raccolta - per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi - non comporta l'esonero o la riduzione del tributo:
"qualora tuttavia il mancato svolgimento del servizio si protragga, determinando una situazione riconosciuta dalla competente autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all'ambiente secondo le norme e prescrizioni sanitarie nazionali, l'utente può provvedere a proprie spese con diritto allo sgravio o restituzione, in base a domanda documentata, di una quota della tassa corrispondente al periodo di interruzione, fermo restando il disposto del comma 4" (ancora art. 59, comma 6).
Al regime giuridico così delineato fa da riscontro la regola generale secondo la quale la tassa viene a gravare su chiunque occupi o conduca locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti (art. 62).
6. - A fronte di un simile articolato regime, questa corte ha chiarito che la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi il servizio, al verificarsi della sola detenzione dei locali (v. Sez. 5^ n. 16459-04, nonché, per i casi di utilizzo saltuario, Sez. 5^ n. 9633-12 e n. 18316-04). Questo perché il presupposto impositivo del tributo si identifica con l'istituzione del servizio, non con la materiale fruizione (cfr. già Sez. 5A n. 9920-03, quanto al regime di smaltimento di cui al R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, anteriori artt. 268, 269 e 270).
Vero è che un indirizzo meno recente, sorto nel vigore delle norme anteriori al sistema tariffario, ha pure precisato (v. Sez. 1A n. 955- 87) che deve però sempre sussistere la possibilità dell'utilizzazione del servizio da parte dell'utente.
Ma una simile ulteriore affermazione può essere condivisa solo in astratto, nel senso che l'istituzione del servizio è la condizione che consente di individuare i suoi potenziali utenti. Essa - come esattamente precisato da Sez. 5A n. 21508-05 - non può essere spinta sino a far ritenere che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato in modo regolare così da consentire al singolo di utente di usufruirne pienamente. Va difatti pur sempre tenuto conto della ragione istitutiva del prelievo, che è quella di porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività piuttosto che di fornire delle prestazioni riferibili ai singoli utenti. La tassa si basa cioè sul vincolo del gettito al costo globale del servizio e rileva nel senso della sostanziale non commutatività del tributo. I criteri di ripartizione del costo del servizio non sono conferenti al concreto utilizzo da parte di ciascun utente, tanto che si basano su indici presuntivi. Per cui, nelle date condizioni presupposte dalla norma, sarebbe del tutto asistematico pretendere di condizionare il pagamento al rilievo di concrete condizioni di fruibilità. Le quali, per loro natura, oltre a essere di difficile identificazione, mal si prestano a una valutazione economica idonea a garantire una esatta ripartizione fra gli utenti del costo di gestione.
Per tale essenziale ragione nel sistema del D.Lgs. n. 507 del 1993 la difficoltà (anche somma) di fruire, per condizioni oggettive, del servizio di raccolta, che sia stato comunque istituito e attivato nella zona ove è ubicato l'immobile a disposizione dell'utente, comporta non già l'esenzione della tassa, bensì, ai sensi dell'articolo 59, la conseguenza che il tributo è dovuto in misura ridotta (v. Sez. 5A n. 19653-03 nonché, più di recente, Sez. 5^ n. 18022-13).
7. - Da simili principi l'impugnata sentenza si è discostata. Essa dunque va cassata con rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, la quale provvedere a rivalutare il materiale istruttorie uniformandosi a quei principi.
Può osservarsi che alla pronuncia di cassazione non osta l'argomentazione della resistente - ben vero appena accennata nel controricorso - secondo cui un anteriore giudicato avrebbe obbligato il comune a porre in esenzione l'immobile. Non essendo neppure specificato il titolo di riferimento, il rilievo non assume dignità di eccezione.
Né possiede maggior consistenza l'ulteriore obiezione della resistente per cui il comune non avrebbe garantito "non soltanto l'offerta di adeguato servizio di smaltimento, ma ben più a monte (..) i servizi di urbanizzazione". Ciò difatti non rileva per quanto attiene al regime giuridico della Tarsu.
8. - Restano assorbite le ulteriori censure sollevate dall'ente impositore.
La commissione tributaria provvedere anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Lombardia.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 23 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2015
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