Sentenza del 06/12/2018 n. 31632 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 2

Massime

BORSA - IN GENERE CUMULO SANZIONE PENALE ED AMMINISTRATIVA CON RIFERIMENTO A STESSI FATTI - APPLICABILITÀ DIRETTA - 12 - 07ART50" ART 50 CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA - CONDIZIONI - GIUDICATO PENALE DI CONDANNA - NECESSITÀ VALUTAZIONE INCIDENZA 'NE BIS IN IDEM' CONVENZIONALE ED EURO UNITARIO - MODALITÀ - GIUDICATO PENALE DI ASSOLUZIONE CON FORMULA PIENA - PIENA APPLICAZIONE - 12 - 07ART50"ART 50 CITATO - FONDAMENTO - CONSEGUENZE PROCESSUALI - FATTISPECIE BORSA - IN GENERE ILLECITO AMMINISTRATIVO EX - 02 - 2458ART187BIS" ART 187 BIS TUF - ASSOLUZIONE DEFINITIVA IN SEDE PENALE DELL'INCOLPATO CON FORMULA PIENA E CON RIFERIMENTO AI MEDESIMI FATTI STORICI DAL DELITTO EX - 02 - 2458ART184" ART 184 TUF - INSTAURAZIONE PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO SANZIONATORIO O SUA PROSECUZIONE ANCHE IN SEDE DI OPPOSIZIONE - COMPATIBILITÀ CON IL PRINCIPIO DEL 'NE BIS IN IDEM' DI DIRITTO CONVENZIONALE ED EURO UNITARIO - ESCLUSIONE - FONDAMENTO BORSA - IN GENERE SANZIONE EX - 02 - 2458ART187BIS"ART 187 BIS TUF - NATURA FORMALMENTE AMMINISTRATIVA MA SOSTANZIALMENTE PENALE - SUSSISTENZA - SOPRAVVENIENZA DEL DLGS N 107 DEL 2018 - INCIDENZA - ESCLUSIONE - FONDAMENTO

Qualora un procedimento amministrativo sanzionatorio, concernente i medesimi fatti oggetto di un procedimento penale definito con sentenza passata in giudicato di condanna, si sia concluso, a sua volta, con l'irrogazione di una sanzione, il giudice deve valutare la compatibilità fra il cumulo delle due sanzioni, amministrativa e penale, ed il divieto di "ne bis in idem" stabilito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dall'art. 4 del VII Protocollo della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, tenendo conto dell'interpretazione datane dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, che valorizza principalmente la presenza di norme di coordinamento a garanzia della proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivo, e dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, per la quale rileva, soprattutto, la vicinanza cronologica dei diversi procedimenti e la loro complementarit nel soddisfacimento di finalità sociali differenti. Ove, invece, il procedimento penale sia terminato con una pronuncia definitiva di assoluzione "perché il fatto non sussiste", il divieto del "ne bis in idem" è pienamente efficace e, pertanto, l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non incontra alcuna limitazione ai sensi dell'art. 52 della stessa Carta. Ne derivano l'impossibilità di continuare nell'accertamento dell'illecito amministrativo e la necessità di interrompere il relativo procedimento e l'eventuale successivo giudizio di opposizione, con conseguente non applicazione della disposizione sanzionatoria di diritto interno, circostanza che esclude ogni problema di disapplicazione di disposizioni nazionali in ragione del primato del diritto dell'Unione europea e la rilevanza di questioni di legittimità costituzionale in relazione all'art. 117 Cost. (Nella specie, il ricorrente era una persona fisica che era stata assoggettata alla sanzione amministrativa stabilita dall'art. 187 bis T.U.F., ma era stata assolta, per gli stessi fatti, in via definitiva e con formula piena dal reato previsto dall'art. 184 T.U.F. all'esito di un giudizio nel quale la CONSOB era parte civile).

In base alla sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 20 marzo 2018, resa nelle cause riunite C-596/16 e C-597/16, non è compatibile con il principio del "ne bis in idem" di diritto convenzionale ed euro unitario e, in particolare, con l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, l'instaurazione di un procedimento amministrativo sanzionatorio o la sua prosecuzione - eventualmente anche in sede di opposizione giurisdizionale - in relazione alla commissione dell'illecito amministrativo di cui all'art. 187 bis T.U.F. qualora, con riferimento ai medesimi fatti storici, l'incolpato sia stato definitivamente assolto in sede penale con formula piena dal delitto previsto dall'art. 184 T.U.F.

La sanzione di cui all'art. 187 bis T.U.F., pur se formalmente amministrativa, va considerata, alla stregua sia della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo sia del diritto euro unitario, sostanzialmente penale; nè tale natura è mutata a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 107 del 2018, che ha mitigato il relativo trattamento sanzionatorio, atteso che il massimo edittale "ordinario" è rimasto severo, che è possibile aumentare la sanzione che risulti inadeguata, benché applicata nella misura massima, e che sono previste, altresì, la confisca e le sanzioni accessorie della perdita temporanea dei requisiti di onorabilità e della incapacità temporanea ad assumere incarichi direttivi.

CED, Cassazione, 2018


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

Il procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative previsto dall'art. 187 septies del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, postula solo che, prima dell'adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell'addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell'interessato. Pertanto, non violano il principio del contraddittorio l'omessa trasmissione all'interessato delle conclusioni dell'ufficio sanzioni amministrative della Consob e la sua mancata audizione innanzi alla Commissione, non trovando, d'altronde, applicazione, in tale fase, i principi del diritto di difesa e del giusto processo, riferibili solo al procedimento giurisdizionale.

Il principio del "ne bis in idem" di cui all'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non impedisce che a un soggetto, già penalmente condannato con sentenza irrevocabile per il reato di cui all'art. 185 del d.lgs. n. 58 del 1998, sia successivamente irrogata la sanzione di natura penale, benché formalmente amministrativa, di cui all'art. 187 ter del citato d.lgs., purché siano garantiti: 1) il rispetto del principio di proporzionalità delle pene sancito dall'art. 49, par. 3, della richiamata Carta, secondo cui le sanzioni complessivamente inflitte devono corrispondere alla gravità del reato commesso; 2) la prevedibilità di tale doppia risposta sanzionatoria in forza di regole normative chiare e precise; 3) il coordinamento tra i procedimenti sanzionatori in modo che l'onere, per il soggetto interessato da tale cumulo, sia limitato allo stretto necessario.

CED, Cassazione, 2018

In caso di applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria per l'emissione di assegni bancari privi di provvista, l'art. 8-bis della l. n. 386 del 1990, introdotto dall'art. 33 del d.lgs. n. 507 del 1999, non prevede il diritto della parte di essere sentita dal prefetto, ma soltanto la facoltà di presentare scritti difensivi e documenti, in virtù di una scelta ispirata dalla natura essenzialmente documentale della prova e dalla necessità di apprestare un sistema snello, in considerazione dell'elevato numero dei procedimenti, ed è manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale di detta disposizione, sollevata in riferimento alle norme costituzionali che tutelano il diritto di difesa, dato che il contraddittorio pieno è rinviato alla fase eventuale dell'opposizione, analogamente a quanto accade nel processo penale, in cui il decreto di condanna è emesso senza che l'imputato possa interloquire sulla richiesta del P.M., in forza di una disciplina ritenuta dalla Corte costituzionale non in contrasto con dette norme proprio perché il contraddittorio è soltanto differito alla fase dell'opposizione (ordinanze n. 257 del 2003; n. 432 del 1998).

(Massima tratta dal CED della Cassazione)

In tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto interno, ferma la competenza esclusiva della Corte di Giustizia delle Comunita' europee a pronunciarsi in via definitiva e vincolante sull'esistenza in concreto dei presupposti dell'efficacia diretta di una norma comunitaria, e fermo il dovere della Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 234 (ex art. 177, commi primo, lett. b e 3) del Trattato CE, nei casi dubbi, di chiedere, in proposito, alla Corte di giustizia, la pronuncia pregiudiziale, la violazione e la falsa applicazione della norma comunitaria, dotata di efficacia diretta nell'ordinamento nazionale, rientra appieno nel parametro di legittimita', di cui all'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., utilizzabile dal giudice della legittimita'. Ne consegue che la Corte di Cassazione, nell'esercizio della propria funzione di "nomofilachia", ha il potere di accertare la diretta efficacia della norma comunitaria, di cui si denuncia la violazione o la falsa applicazione e rilevare l'antinomia tra norma comunitaria direttamente efficace e norma interna con essa collidente, risolvendola, con il riconoscimento della prevalenza della prima sulla seconda. Massima tratta dal CED della Cassazione.

In applicazione della regola del tempus regit processum di cui all'art. 11 delle preleggi al c.c., da interpretare alla luce dei principi di tutela dell'affidamento del cittadino e dell'equo processo sanciti in Costituzione e nella CEDU, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite disposizioni di segno contrario sono inapplicabili ai processi in corso alla data del 21 dicembre 2021 i limiti e le preclusioni alla diretta impugnazione dell'estratto di ruolo contenuti all'art. 4-bis del D.P.R. n. 602 del 1973, nel testo introdotto dall'art 3-bis della legge n. 215 del 2021, in sede di conversione del d.l. n. 146 del 2021. Ai sensi dell'art. 11 delle preleggi al c.c., in caso di successione di norme processuali nel tempo, si verificano due conseguenze: a) l'applicazione immediata della nuova regola ai processi pendenti, con riguardo a tutti gli atti ancora da compiere (c.d. jus superveniens); b) la conservazione della validità e dell'efficacia degli atti compiuti nel vigore della regola abrogata (c.d. facta praeterita). L'affidamento del cittadino, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, si traduce nell'esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti all'epoca del compimento degli atti processuali. Esso, pertanto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi, che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti. Il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo, consacrati dall'art. 6 della Cedu, si oppongono, salvo che per imperative esigenze di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia con lo scopo di influire sullo svolgimento giudiziario di una causa. Contrasta, pertanto, con le predette garanzie una disposizione legislativa, immediatamente efficace, che abbia manifestamente per oggetto, o comunque per effetto, di modificare la disciplina applicabile nei procedimenti giudiziari in corso, nei quali lo Stato sia parte ed in senso favorevole a quest'ultimo. L'inammissibilità del ricorso avverso l'estratto di ruolo per intervenuta dimostrazione dell'esistenza della precedente valida notificazione di un atto impositivo non impugnato preclude ogni ulteriore valutazione sul merito della controversia.

In tema di condono fiscale, l'art. 16 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui prevede la definizione delle liti pendenti e le relative condizioni, nonché la sospensione dei termini di impugnazione, non comporta una rinuncia dell'Amministrazione all'accertamento dell'imposta (già effettuato e contestato nella sua legittimità), bensì la definizione di una lite in corso con il contribuente, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti. Esso, pertanto, nella parte in cui si riferisce alle controversie in materia di I.V.A., non può essere disapplicato per contrasto con la VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, neppure a seguito della sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, in C-132/06, con la quale, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l'incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva) degli artt. 8 e 9 della medesima legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell'I.V.A. alle condizioni ivi indicate, dovendo tale pronuncia essere interpretata restrittivamente. Allo stesso modo, l'art. 15 della legge n. 289 del 2002, avendo uguale ratio di riduzione del contenzioso potenziale, senza comportare una rinuncia dell'Amministrazione all'accertamento dell'imposta, non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice nazionale, nella parte in cui si riferisce a liti potenziali in materia di I.V.A. La causa ostativa alla definizione agevolata contemplata dall'art. 15, comma 1, della legge n. 289 del 2002 si applica alle società i cui rappresentanti legali siano stati destinatari dell'azione penale (e, dunque, di un atto di esercizio della stessa, ai sensi degli artt. 50 e 417 c.p.p.) per i reati previsti dal D.lgs. n. 74 del 2000, qualora il contribuente abbia avuto formale conoscenza di tale esercizio entro la data di perfezionamento della definizione, non essendo sufficiente il mero avvio di un procedimento penale.

Registrati al nostro portale per accedere al motore di ricerca delle sentenze.

Registrati

Sentenze

Sentenze nel nostro database:
507,035

Cerca

Giudici

Giudici nel nostro database:
2,876

Cerca

Autorità

Tribunali nel nostro database:
331

Cerca

Sentenze.io 2023