Sentenza del 01/10/2014 n. 20669 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Svolgimento del processo
In data 12.3.2007 è stata notificata a -X & Y- s.r.l. cartella di pagamento emessa dall'Agente del servizio di riscossione per la Provincia di Cremona (Riscossione Tributi Lucca e Cremona s.p.a.) in base a ruolo ordinario, emesso il 13.10.2006 dall'Ufficio di Alessandria della Agenzia delle Dogane e reso esecutivo in data 7.11.2006, relativo a dazi e diritti doganali, oltre interessi di mora liquidati su operazioni di importazione con avviso di rettifica di accertamento doganale definitivo, emesso dalla Dogana di Alessandria in data 4.7.2006 ed avverso il quale era pendente giudizio introdotto dalla società avanti la CTP di Alessandria.
Il ricorso proposto in primo grado dalla società avverso la cartella ed il ruolo, era rigettato con sentenza della CTP di Alessandria in data 5.12.2007 n. 100, che veniva confermata in grado di appello.
La Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza 5.2.2010 n. 8, rigettava entrambi gli appelli principale della società ed incidentale dell'Ufficio finanziario. I Giudici territoriali rilevavano che: 1 - la assoluzione del rappresentante legale della società, con sentenza 24.6.2009 emessa dal GIP del Tribunale di Piacenza, non precludeva l'accertamento di condotte violative della contribuente rilevanti in sede tributaria; 2 - non sussisteva violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 in quanto la norma che disciplinava il pagamento dei crediti tributari in pendenza di giudizio, non aveva portata generale e trovava applicazione solo nei casi in cui le singole leggi d'imposta prevedessero espressamente la riscossione frazionata del tributo, ipotesi non considerata dalle leggi doganali; 3 - sulla eccepita carenza di legittimazione dell'Agente della riscossione, doveva ritenersi corretta la decisione di prime cure che aveva ritenuto esente da vizi la cartella impugnata; 4 - rimanevano assorbite le altre questioni prospettate dalla società appellante. Andava inoltre confermata la statuizione del Primo Giudice relativa alla compensazione delle spese di lite, investita con la impugnazione incidentale dell'Ufficio.
Avverso la sentenza di appello ha proposto tempestivo ricorso per cassazione la società, affidato a due motivi e notificato ad Agenzia delle Dogane e ad Equitalia Esatri s.p.a.
Ha notificato controricorso soltanto l'Agenzia delle Dogane.
Motivi della decisione
La parte ricorrente censura la sentenza di appello deducendo con il primo motivo la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 68 e 71 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La società sostiene che in pendenza del giudizio proposto avverso l'avviso di rettifica dell'accertamento doganale divenuto definitivo, l'Ufficio non avrebbe potuto iscrivere a ruolo i diritti doganali per l'intero importo, e conseguentemente notificare la relativa cartella di pagamento, ostandovi il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1 che prevede una diversa modulazione dell'ammontare del tributo al pagamento del quale è tenuto il contribuente in relazione alla progressione dei gradi di giudizio.
A sostegno di una applicazione generalizzata della indicata norma sul processo tributario, indipendentemente dalla esistenza di norme che disciplinino la specifica la materia nelle singole imposte, adduce, richiamandole per esteso le argomentazioni svolte nel precedente di questa Corte 5 sez. 31.3.2010 n. 7831 che consentirebbero di superare il contrario arresto di Corte cass. 5 sez. 13.5.2003 n. 7339 al quale, invece, i Giudici di merito hanno inteso aderire. Inoltre la parte ricorrente sostiene che una volta ritenuta applicabile in via generale a qualsiasi tributo la norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, dovrebbe ritenersi incompatibile anche qualsiasi disposizione (la ricorrente non specifica quale, salvo non individuarla nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15 indicato in rubrica) che consente, nelle more del giudizio di primo grado, la iscrizione a ruolo dell'intero importo accertato (con l'atto impositivo impugnato), attesa la illogicità di consentire anticipatamente la riscossione di un importo comunque in eccesso a quello che potrebbe essere iscritto a ruolo dalla Amministrazione finanziaria in esito ad una sentenza di primo grado ad essa favorevole.
La Agenzia delle Entrate; aderendo alla motivazione della sentenza di appello, rileva che la corretta interpretazione della norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 è quella che limita l'applicazione del sistema di graduazione dei pagamenti in pendenza di giudizio esclusivamente a quelle imposte per cui le singole leggi prevedono tale forma di frazionamento, e richiama in proposito ulteriori precedenti di questa Corte.
Occorre premettere che nello sviluppo argomentativo della motivazione la CTR tende a confondere due piani di questioni distinte:
1-) il richiamo operato all'art. 244 reg. CEE 12.10.1992 n. 2913 CDC (applicabile "ratione temporis"), così come il rinvio alle argomentazioni svolte nel precedente di questa Corte 5 sez. 13.5.2003 n. 7339, involge infatti la questione della riscossione dei tributi nella "fase amministrativa" che intercorre tra la notifica dell'avviso di accertamento o rettifica e la eventuale pronuncia della sentenza di primo grado (emessa nel giudizio di opposizione avverso l'atto impositivo): i Giudici di merito risolvono tale questione affermando a) che una "anticipazione", in pendenza del giudizio di primo grado, dei limiti previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 alla iscrizione a ruolo delle somme accertate dalla Amministrazione, rimane esclusa dalla espressa previsione della norma del codice doganale comunitario per cui il ricorso amministrativo o giurisdizionale non sospende la efficacia esecutiva dell'atto impugnato; b) che la efficacia esecutiva del provvedimento impositivo, nel periodo anteriore alla pubblicazione della sentenza di primo grado, risponde al principio del "solve et repete", accolto peraltro anche dalla norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2 che prevede espressamente la restituzione dell'importo del tributo riscosso nella "fase amministrativa" in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale.
2-) la interpretazione letterale della disposizione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1, ed alla autonoma speciale disciplina della riscossione prevista dalle singole leggi d'imposta ed in particolare dalle fonti normative comunitarie che regolano i tributi doganali, involge invece la diversa questione dell'ambito oggettivo di applicazione della norma dettata per la esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie, questione risolta dalla CTR subordinando la applicazione della disciplina della norma processuale alla esistenza di norme speciali che regolano la riscossione frazionata dei singoli tributi: i Giudici di merito, rilevato che le leggi doganali non prevedono tale forma di riscossione, hanno ritenuto che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 non fosse quindi applicabile alla fattispecie controversa.
Orbene rileva il Collegio che la infelice formulazione lessicale della norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1, nel testo modificato dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 29 ("Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d'imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso; b) per l'ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale. Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere a), b) e c) gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto) è stata oggetto di due contrastanti pronunce di questa Corte:
- la prima pronuncia (Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 7831 del 31/03/2010, richiamata dalla parte ricorrente), in materia di ICI, ha ritenuto che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 dovesse considerarsi norma di contenuto generale, estesa a qualsiasi tipo di tributo, interpretando la proposizione normativa iniziale del comma 1 come previsione derogatoria di eventuali norme tributarie speciali che dettavano - per il frazionamento della riscossione - una disciplina diversa, e desumendo la generale applicabilità della disciplina della riscossione frazionata dei crediti tributari litigiosi "a tutti i tributi in ordine ai quali le Commissioni tributarie siano competenti a pronunciare, tra cui i tributi locali, che pertanto non possono essere esclusi dall'ambito della norma in questione", dalla collocazione sistematica della norma all'interno della disciplina del processo tributario (Capo 4 rubricato "esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie") e dalla portata generale del contenuto prescrittivo della seconda parte del comma 1 ( "….la norma si applica in tutti i casi in cui il tributo sia stato oggetto di impugnazione, e sia intervenuta una sentenza che abbia pronunciato su di esso (v., Cass. n. 7785 del 2008) attenendo alla esecuzione, totale o parziale, della sentenza stessa, non ancora definitiva…."), ravvisando per converso una irrazionalità della disposizione, ove fosse da intendersi riferita soltanto ai tributi per i quali sia già prevista una forma di riscossione frazionata, tanto sotto il profilo logico (venendo meno lo scopo unificante della disciplina che il Legislatore ha inteso perseguire), quanto sotto il profilo della disparità di trattamento dei contribuenti che hanno adito il Giudice tributario, discriminati sulla base della esistenza o meno di trattamenti di esecuzione frazionata concernenti i singoli tributi.
- la seconda pronuncia (Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 15473 del 30/06/2010, richiamata dalla Agenzia delle Dogane), anch'essa in materia di ICI, ha invece argomentato la inapplicabilità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1, sia interpretando la proposizione normativa contenuta nella prima parte del comma 1 come delimitativa dell'ambito oggettivo della norma, in quanto la stessa sarebbe intervenuta ad unificare - derogando ove necessario - la disciplina delle molteplici norme tributarie che già prevedevano differenti modalità di riscossione frazionata, rendendosi in conseguenza applicabile, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, soltanto "nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio" ed in tal caso agendo anche "in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d'imposta", mentre la norma predetta norma non innova a quelle leggi d'imposta per cui tale forma di riscossione non era prevista ("…non trova riscontro ed applicazione riguardo a tributi, come l'ICI cui non si applicava peraltro, come già notato, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 2 essendo disciplinati da norme proprie in materia di riscossione coattiva… ").
La imprecisione della terminologia giuridica utilizzata dalla norma del del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 appare manifesta.
La nozione di "deroga", richiamata dalla norma, comporta, infatti, una relazione tra le fattispecie astratte descritte dalle norme, che si porrebbero altrimenti in conflitto, fondata sul carattere di specialità, venendo la norma derogante a trovare applicazione in un ambito, specifico, più ristretto della norma generale che viene ad essere derogata e che troverebbe altrimenti applicazione anche alla peculiare fattispecie considerata dalla norma dettata in deroga.
Pertanto alla disciplina del frazionamento della riscossione dei tributi in dipendenza delle sentenze emesse nel corso del giudizio, introdotta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, non può riconoscersi carattere "derogatorio" rispetto alle analoghe discipline dettate dalle singole leggi d'imposta ( D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 2 II.DD.; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 2 IVA; TU D.P.R. n. 131 del 1986, art. 56 Imp. Registro, D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 40 Imp. Successioni e donazioni; art. 13 - in relazione alle forme di riscossione successiva - D.Lgs. n. 347 del 1990, ex artt. 15 e 16 Imp. Ipotecarie e catastali), in quanto se, come sembra, la legge intende affermare la prevalenza della norma "generale" - sopravvenuta - sulle norme "speciali" dettate per i singoli tributi, queste ultime, proprio perché regolanti la medesima materia, una volta "derogate" rimangono private di qualsiasi efficacia, non potendo trovare ulteriore applicazione a nessuna altra, diversa, fattispecie astratta in esse considerata, con la conseguenza che il fenomeno ravvisato deve ricondursi non all'istituto della deroga ma a quello (peraltro espressamente considerato dallo stesso D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 71, comma 2: "E' inoltre abrogata ogni altra norma di legge non compatibile con le disposizioni del presente decreto") della abrogazione tacita per incompatibilità (a tale conclusione è pervenuto successivamente anche il Legislatore quando, con il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 37 ha disposto la "abrogazione" espressa delle norme incompatibili - peraltro limitandola soltanto al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, commi dal 2 al 5, e art. 61 ed al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 2, -), venendo quindi a trasporsi la problematica relativa alla questione interpretativa della norma processuale se, con la "abrogazione" delle norme previgenti sulla riscossione frazionata in pendenza del giudizio tributario, il Legislatore abbia inteso ridisciplinare l'intera materia con riferimento a qualsiasi tributo ricadente nella giurisdizione delle Commissioni tributarie, o piuttosto abbia voluto soltanto uniformare la disciplina normativa previgente senza innovare alle altre leggi d'imposta, in tal senso confermando le scelte discrezionali compiute in relazione ad altri tributi per i quali non si era volutamente inteso estendere la disciplina di riscossione frazionata in pendenza del giudizio, in considerazione di preminenti ragioni di interesse pubblico volte alla tempestiva assicurazione agli enti locali delle risorse necessarie al funzionamento di quei servizi pubblici che non possono tollerare interruzioni, ovvero della tempestiva ed integrale acquisizione, in caso di tributi armonizzati, delle risorse finanziarie proprie della Comunità Europea (ipotesi quest'ultima che sembra trovare indiretto riscontro nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, comma 1: tale disposizione, modificando la disciplina della riscossione delle sanzioni pecuniarie in pendenza di giudizio - originariamente contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 - stabilisce che i commi 1 e 2 di tale norma si applicano "anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata", intendendo riferirsi alle sanzioni relative ai tributi per i quali le singole leggi non prevedono tale forma di riscossione, con ciò sembrando fornire, indirettamente, un differente criterio interpretativo della disposizione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1), scelta ricadente nella discrezionalità del Legislatore e che deve ritenersi pienamente compatibile con la tutela delle esigenze di difesa del contribuente ( art. 24 Cost.) e con il principio di non discriminazione ( art. 3 Cost.), come riconosciuto esplicitamente dalla Corte costituzionale (cfr. Corte cost. sentenza 30.12.1999 n. 464 che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 72 - con riferimento alla immediata iscrizione a ruolo della TARSU per l'intero importo, anche in caso di accertamento non ancora divenuto definitivo, in cui si pone in evidenza come la tutela cautelare sia assicurata comunque dalla sospensione della esecuzione dell'atto impugnato D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 47 mentre il trattamento differenziato rispetto alla norma dettata dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1 trova giustificazione in considerazione dei diversi presupposti impositivi).
La problematica interpretativa sollevata dalle parti in relazione alla esatta interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1 tuttavia, appare recessiva, nel caso di specie, in considerazione della diversa fattispecie concreta sottoposta all'esame di questa Corte, atteso che, nella presente controversia, non viene in questione la applicabilità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 anche ai giudizi concernenti i tributi doganali, ma è in contestazione se sia o meno precluso alla Amministrazione finanziaria iscrivere a ruolo l'importo - in tutto od in parte - del dazio e degli altri diritti doganali, in pendenza della definizione del grado di giudizio avente ad oggetto l'avviso di rettifica notificato al contribuente e da questi impugnato avanti la Commissione tributaria provinciale. Nella specie, infatti, non è intervenuta ancora alcuna pronuncia di merito in primo grado nel giudizio proposto avverso l'avviso di rettifica e dunque i limiti alla iscrizione dell'intero importo accertato dovrebbero essere individuati con riferimento non ad una disposizione che regola il frazionamento della riscossione secondo il "decisum", ma ad una disposizione che prevede detto frazionamento "ante causam" ed anche "post causam" ma, comunque, "ante decisum".
La società ricorrente assume che la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 determinerebbe tale preclusione, comprendendo come "ratio" implicita un medesimo trattamento del contribuente, sia in pendenza di giudizio che dopo la decisione di primo grado, richiamando la dottrina che, sul presupposto di una necessaria equivalenza dell'importo riscuotibile dalla PA prima e dopo la sentenza favorevole di primo grado, ha ipotizzato una sorta di sospensione della esecutività dell'atto impositivo nel periodo decorrente dalla introduzione del giudizio e fino alla pronuncia di primo grado.
La Agenzia delle Dogane sostiene invece, che in mancanza di una norma analoga a quella prevista per le II.DD., dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1 che limita l'importo iscrivibile a ruolo nella "fase amministrativa" (e cioè dopo la notifica dell'atto impositivo, non ancora definitivo, e fino a che non intervenga la decisione in primo grado), l'Ufficio può richiedere l'intero importo accertato, venendo a restituire, all'esito della sentenza di primo grado, quanto eventualmente riscosso in eccedenza.
Ritiene il Collegio che debba essere accolta la tesi sostenuta dalla Agenzia resistente, in quanto conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui la disciplina della riscossione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 in ogni caso, rimane circoscritta alla fase "post decisum" e non può dunque trovare applicazione nella fase anteriore ed anche in pendenza del giudizio di primo grado.
La pronuncia di questa Corte 5 sez. 13.5.2003 n. 7339 (richiamata espressamente nella sentenza di appello), in materia di imposte dirette, ha affrontato "funditus" la questione, rilevando come la norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1 si poneva in rapporto di oggettiva incompatibilità con il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1 (che prevedeva nel caso di ricorso proposto avverso l'atto di accertamento, la iscrizione a titolo provvisorio nei ruoli della "imposta corrispondente all'imponibile o al maggior imponibile" deciso delle sentenze pronunciate nei diversi gradi di giudizio), che pertanto doveva ritenersi implicitamente abrogato giusta il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 71, comma 2 ma tale incompatibilità non incideva - atteso il diverso ambito oggettivo - sulla disposizione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, commi 1 e 3 che dettava la disciplina della modalità di riscossione della imposta nella "fase amministrativa" precedente la introduzione del giudizio e fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, consentendo alla Amministrazione di effettuare la iscrizione nei ruoli - a titolo provvisorio - della imposta, ancorchè accertata con atto non ancora divenuto definitivo, nonché dei relativi interessi, "per la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili od ai maggiori imponibili accertati".
A tale precedente (seguito dalla sentenza della Corte 5 sez. 10.6.2011 n. 12791 che ha distinto gli ambiti normativi di riferimento delle norme, precisando che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1 concerne la esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie, mentre il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1 si riferisce alla "fase amministrativa" precedente la emissione del provvedimento giurisdizionale) si sono uniformate le successive pronunce di questa Corte che, in assenza di espresse norme limitative della iscrivibilità a ruolo dell'importo accertato con l'atto impositivo non definitivo, hanno ritenuto legittima la iscrizione a ruolo dell'intero importo accertato, secondo le modalità di riscossione proprie di ciascun tributo, non essendo a ciò ostativa la disciplina della riscossione frazionata prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 in quanto concernente esclusivamente gli atti di riscossione successivi ad una decisione giurisdizionale: Corte cass. 5 sez. 9.8.2007 n. 17562; id. 5 sez. 21.12.2007 n. 27002;
id. 5 sez. 30.12.2010 n. 26474, con riferimento alla imposta comunale sulla pubblicità D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ex art. 9, comma 5 (secondo cui prima della disposizione del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 19 che confinava l'applicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15 alle sole imposte sui redditi, la norma sulla iscrizione a ruolo anticipata alla "fase amministrativa" trovava applicazione anche alla imposta comunale sulla pubblicità, in virtù del rinvio operato dal combinato disposto del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 63, comma 4 e art. 67, comma 2 e successivamente alla modifica del 1999, la iscrizione a ruolo poteva essere effettuata per l'intera somma); Corte cass. 5 sez. 31.3.2010 n. 7831 (citata dalla ricorrente) secondo cui "una cartella esattoriale emessa in conformità al disposto di cui all'art. 12 della legge regolatrice dell'ICI per l'intero è legittima anche ove esista procedimento tributario pendente, ove tuttavia non sia stata emessa, in detto procedimento, una sentenza di merito"; Corte cass. 5 sez. 30.6.2010 n. 15473 (citata dalla Agenzia).
Lo stesso Legislatore è, peraltro, intervenuto successivamente ad affermare in modo inequivoco la coesistenza della diversa disciplina normativa della iscrizione a ruolo "ante decisum" e della iscrizione a ruolo "post decisum", con il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 23 nel testo da ultimo sostituito dal D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, comma 5 ter conv. in L. 31 luglio 2005, n. 156, che ha espressamente esteso anche all'IVA (tributo per il quale trova applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68) la disposizione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1.
L'argomento opposto dalla società ricorrente per contrastare il predetto indirizzo giurisprudenziale, non appare dirimente.
Premesso che la società non indica eventuali norme limitative, diverse dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 che regolino la procedura di riscossione "ante decisum" dei dazi doganali e degli altri diritti correlati ad operazioni di importazione ed esportazione (tali norme infatti non si rinvengono nella disciplina dei tributi doganali: il D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, comma 8 secondo cui "divenuta definitiva la rettifica id est divenuto suscettibile di impugnazione in sede giurisdizionale l'atto amministrativo impositivo: la definitività dell'atto era, infatti, da ricollegare alle previsioni dell'art. 11, comma 7 e art. 22 della stessa legge e del D.P.R. n. 43 del 1973 TULD che richiedevano l'esaurimento della fase introdotta con ricorso in opposizione e gerarchico amministrativo per la esperibilità dei rimedi giurisdizionali.
Venuta meno a seguito delle pronunce della Corte costituzionale la "obbligatorietà" della fase giustiziale amministrativa, le disposizioni sono state successivamente abrogate espressamente dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 9 conv. in L. 26 aprile 2012, n. 44, l'ufficio procede al recupero dei maggiori diritti dovuti dall'operatore", deve essere letto in relazione alla disposizione del medesimo D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 3, comma 2 che per la disciplina della riscossione dei dazi e le altre imposizioni alla importazione ed esportazione rinvia ai regolamenti comunitari. Le norme del reg. CEE n. 2913/1992 convergono tutte a realizzare la riscossione immediata dei diritti doganali: l'art. 7 dispone che le decisioni delle autorità doganali sono "immediatamente applicabili";
art. 218, p. 1 e art. 220, p. 1 del CDC dispongono che la contabilizzazione dei dazi deve avvenire non appena si verificano i presupposti di insorgenza della obbligazione doganale; l'art. 232, p. 1, lett. a) impone agli Stati membri, in caso di inadempimento dell'obbligato nel termine prescritto, di assicurare immediatamente il pagamento del dovuto avvalendosi anche della esecuzione coatta, e l'art. 244, pp. 1 e 2 dispone che il ricorso amministrativo o giurisdizionale "non sospende" la esecuzione del provvedimento impositivo, salvo la facoltà di sospensione disposta nella fase amministrativa dall'autorità doganale, previa puntuale valutazione del "fumus boni iuris" e del "periculum in mora"), la asserita irrazionalità della iscrizione a ruolo dell'intero importo "ante causam" (in quanto l'Amministrazione si esporrebbe comunque all'obbligo di restituzione di 1/3 della somma, autorizzando, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1, lett. a) la iscrizione a ruolo soltanto dei 2/3 dell'importo accertato, in caso di sentenza di rigetto del ricorso del contribuente) non tiene conto dei diversi esiti, anche stragiudiziali, cui può pervenire la lite senza che venga emessa sentenza che definisca il primo grado di giudizio: una limitazione della iscrizione a ruolo dell'importo accertato, prima che intervenga il presupposto cui la legge ricollega la limitazione quantitativa (decisione giurisdizionale), non trova alcun riscontro nella legge nazionale (TU n. 43 del 1973; D.Lgs. n. 374 del 1990) e collide con le norme del Codice doganale di diritto comunitario (reg. CEE n. 2913/1992): la ipotesi di una "sospensione legale" della esecuzione dell'avviso di rettifica, correlata alla mera introduzione del giudizio tributario, contrasta insanabilmente con il disposto dell'art. 244, p. 1 CDC. Né appare ravvisabile, nella ipotesi in cui venga iscritto a ruolo l'intero importo di un avviso di rettifica illegittimo, una dimidiata difesa del contribuente, atteso che le esigenze di tutela derivanti dall'eventuale irreparabilità del pregiudizio subito in conseguenza dell'aggressione - ritenuta illegittima - del proprio patrimonio, bene può essere soddisfatta "ante causam" attraverso le istanze di sgravio dei dazi ai sensi degli artt. 236 e 239 CDC (sollecitando l'esercizio dei poteri di autotutela della autorità doganale), ovvero attraverso la istanza di sospensione della esecuzione dell'avviso di rettifica (eventualmente garantita da cauzione) di cui all'art. 244, p. 2 CDC, ed ancora in corso di causa con la istanza di sospensione della esecuzione dell'atto impositivo proposta contestualmente al ricorso introduttivo ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47 (sul potere dell'AG di sospensione dell'atto doganale illegittimo: Corte di Giustizia 11.1.2001, causa C-l/99, Kofisa Italia s.r.l.).
Né decisiva può ritenersi l'obiezione della società ricorrente secondo cui la speciale disciplina doganale (con la possibilità per l'Ufficio doganale di iscrivere a ruolo i diritti doganali accertati anche in pendenza del primo grado di giudizio) determinerebbe un "vulnus" al principio di eguaglianza ( art. 3 Cost.) rispetto ai contribuenti che potrebbero beneficiare, anche nella "fase amministrativa", di norme limitative dell'importo del tributo iscritto a ruolo, nonché al principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., tenuto conto, da un lato, che la differente disciplina normativa della riscossione trova giustificazione nella diversità dei presupposti impositivi (cfr. Corte cost. 464/1999), e che dall'altro non è ben chiaro quale violazione arrechi la riscossione dei dazi doganali alla durata del processo, in ogni caso potendo il contribuente avvalersi, come visto, della tutela cautelare anche in corso di causa.
Il secondo motivo con il quale la parte ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12 e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 4 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è da ritenere inammissibile e comunque infondato.
La società ricorrente assume che la CTR ha erroneamente individuato le norme di diritto poste a fondamento della decisione di rigetto dei motivi di appello con i quali si rilevava che, essendo stato formato il ruolo dall'Ufficio delle dogane di Alessandria, la cartella di pagamento doveva ritenersi affetta dal vizio di incompetenza territoriale in quanto emessa da un Agente del servizio di riscossione, la Società Riscossione Tributi Lucca e Cremona s.p.a., avente sede in Cremona e dunque non ricadente nella circoscrizione dell'Ufficio accertatore, con conseguenti riflessi sulla incompetenza territoriale della CTP di Alessandria D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 4, comma 1 a conoscere della controversia avente ad oggetto la impugnazione della cartella.
Il motivo è privo di autosufficienza, in quanto si limita alla individuazione delle statuizioni del Giudice di appello censurate (pars destruens), criticando la applicazione delle norme indicate in rubrica, senza tuttavia fornire la indicazione della norma di diritto che avrebbe dovuto essere applicata nella fattispecie (pars construens), e quindi della "regula juris" idonea a decidere la questione in modo diverso dalla statuizione della CTR impugnata: il motivo, pertanto, non risponde al requisito di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.
La censura si palesa peraltro anche infondata.
La riscossione dei diritti doganali è disciplinata dal D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 TULD e nell'ambito di tale categoria, la riscossione dei diritti di confine (in quanto risorse proprie della Comunità) è disciplinata dai regolamenti comunitari "nonché ove questi rinviino alla disciplina dei singoli Stati membri o comunque non provvedano" dalle norme del TULD o dalle leggi speciali in materia doganale (cfr. art. 34 TULD; al D.Lgs. 6 novembre 1990, n. 374, art. 3, commi 1 e 2). In virtù della abrogazione dell'art. 35 TULD (disposto dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 24) e della unificazione della disciplina del sistema di riscossione a mezzo ruoli ( D.P.R. n. 43 del 1988, art. 67 ed D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17, comma 1), alla procedura di riscossione dei diritti doganali si applicano le disposizioni del capo 1, del Titolo 1, e le disposizioni del Titolo 2, del D.P.R. n. 602 del 1973 ( D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 18), fatte salve le deroghe espressamente previste ( D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 19 e segg.).
Orbene il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, conv. in L. 2 dicembre 2005, n. 248, ridisciplinando il servizio nazionale di riscossione ha previsto una organizzazione articolata su Riscossione s.p.a.
(successivamente Equitalia s.p.a.) che esercita l'attività di riscossione dei tributi anche attraverso le ex società concessionarie del servizio nazionale di riscossione (denominate Agenti) delle quali abbia acquistato una quota non inferiore al 51% del capitale sociale.
Dalla sentenza della CTR risulta che Società Riscossione Tributi Lucca e Cremona s.p.a. era agente del servizio di riscossione per la Provincia di Cremona e che la società contribuente aveva il domicilio fiscale in Cremona, rimanendo in conseguenza soddisfatti i criteri di assegnazione dei ruoli previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 1 con riferimento all'ambito di operatività territoriale del Concessionario in cui ricade il Comune di domicilio fiscale del contribuente.
La parte ricorrente, per sostenere la propria censura, avrebbe pertanto dovuto fornire, nei gradi di merito, gli elementi di fatto necessari a supportare la eccezione di incompetenza della società che ha emesso la cartella, dimostrando che il soggetto era carente di investitura dei poteri pubblicistici di riscossione (in quanto privo di titolo concessorio), ovvero aveva agito al di fuori della competenza territoriale (come definita nel titolo) pur trattandosi di soggetto legittimamente investito di detti poteri: se quanto al primo caso, difetta qualsiasi allegazione, relativamente alla ipotizzata incompetenza territoriale sussiste la prova contraria, risultando dalla intestazione del ricorso per cassazione che la società Fish &
Meat s.r.l. ha sede in Cremona.
L'assunto della ricorrente, secondo cui la competenza territoriale dell'Agente per il servizio di riscossione dovrebbe necessariamente coincidere con la competenza territoriale dell'Ufficio doganale, è priva di qualsiasi fondamento normativo: nella disposizione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 1 (come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1) per cui l'Ufficio accertatore "forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano ", così come nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 24 - che dispone "l'ufficio consegna il ruolo al concessionario dell'ambito territoriale cui esso si riferisce…." - viene in considerazione, infatti, esclusivamente la relazione tra il domicilio fiscale del contribuente iscritto a ruolo - che deve ricadere in uno dei Comuni ricompresi nell'ambito territoriale di competenza del Concessionario: D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12 "In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell'ambito territoriale cui il ruolo si riferisce" - e l'ambito territoriale di operatività del Concessionario.
La individuazione della competenza del Concessionario (ora Agente) in relazione al domicilio fiscale del contribuente appare del tutto coerente con il sistema della riscossione coattiva dei tributi a mezzo ruolo, e si giustifica in considerazione delle esigenze di speditezza ed efficienza dell'attività amministrativa, tenuto conto che, nella fase successiva alla notifica della cartella di pagamento, si instaura un rapporto diretto tra il contribuente e tale organo della riscossione (competente a ricevere i pagamenti ed a rilasciare le relative quietanze; competente ad iniziare la espropriazione), e che apparirebbe, pertanto, del tutto illogico attribuire tali poteri, come ipotizza la società ricorrente, ad un soggetto territorialmente distante dal luogo in cui risiede il contribuente, come si verificherebbe nel caso di specie, atteso che l'Ufficio doganale accertatore è quello di Alessandria, mentre la società ha sede in Cremona.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
- rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2014
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