Sentenza del 17/07/2014 n. 16321 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

Svolgimento del processo

B.D. propone ricorso per cassazione, sulla base di nove motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte che, rigettandone l'appello, ha confermato la legittimità della cartella di pagamento, notificatagli l'11 novembre 2002, relativa ad iscrizione a ruolo a seguito della liquidazione, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis delle some dovute per IRPEF e imposta sul patrimonio netto in base alla dichiarazione per l'anno 1996.

L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre l'Equitalia Nomos spa non ha svolto attività nella presente sede.

La causa è stata discussa nell'udienza pubblica del 12 maggio 2011;

il Collegio, riconvocatosi il 22 settembre 2011, ha quindi sospeso il giudizio a norma del D.L. 15 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12, convertito nella L. 15 luglio 2001, n. 111.

La detta causa di sospensione è poi cessata e, sulla base della documentazione trasmessa dall'Agenzia delle entrate, non risulta essere stata presentata domanda di definizione della controversia.

Motivi della decisione

Con il primo ed il secondo motivo il contribuente, denunciando violazione di legge, si duole che, nell'ambito del procedimento di liquidazione delle imposte dirette in base alla dichiarazione, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis rispettivamente, non sia stato notificato un (autonomo) atto di contestazione delle sanzioni, il che comporterebbe la nullità della cartella di pagamento; e che non sia stato previamente comunicato, sotto forma di avviso bonario, l'esito della liquidazione.

I motivi sono entrambi infondati.

Sulla questione posta con il secondo motivo, che dalla sentenza impugnata, e dallo stesso ricorso per cassazione, non risulta posta in appello, la Commissione regionale si è già correttamente pronunciato implicitamente nell'affrontare espressamente la questione oggi posta con il primo motivo. In ordine alla "illegittimità dell'iscrizione a ruolo della sanzione per mancata previa comunicazione dell'avviso di liquidazione", infatti, il giudice d'appello ha dapprima puntualizzato che "l'iscrizione a ruolo è scaturita dalla liquidazione operata ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis", escludendo implicitamente per tale ipotesi, in generale, la necessità di un previo "avviso di liquidazione", e rilevando in particolare, quanto alle sanzioni, che "il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17, comma 3 prevede la possibilità di procedere all'irrogazione della sanzioni mediante iscrizione a ruolo senza la previa contestazione nei casi di omesso o ritardato versamento del tributo conseguenti a liquidazioni del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis. L'eccezione non è pertanto accoglibile".

E' appena il caso di ricordare, in ordine al secondo motivo, che questa Corte ha chiarito come "l'emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, (in materia di tributi diretti) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, comma 3, (in materia di IVA) non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell'esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non riveli l'esistenza di errori essendovi, solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l'obbligo di comunicazione per la liquidazione d'imposta, contributi, premi e rimborsi" (Cass. n. 17396 e n. 26361 del 2010).

Il terzo motivo, con il quale, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente lamenta omessa pronuncia sulla censura di omessa notificazione dell'atto di contestazione delle sanzioni, è inammissibile, in quanto non corredato dal quesito di diritto prescritto dall'art. 366 bis cod. proc. civ..

Il quarto motivo, con il quale si censura la sentenza d'appello per aver ritenuto legittima la sottoscrizione del ruolo da parte dell'ufficio locale e non necessariamente, come sostenuto dal ricorrente, "del Direttore dell'Agenzia Fiscale delle Entrate, Sede Centrale", è infondato, alla luce del principio secondo cui "gli atti dell'Agenzia delle Entrate non devono essere necessariamente sottoscritti dal suo Direttore Generale, sia perché l'art. 5, comma 1, del Regolamento di amministrazione, approvato, in attuazione del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 66, commi 2 e 3, con Delib. del Comitato direttivo 30 novembre 2000, n. 4, attribuisce agli uffici locali le funzioni operative dell'Agenzia ed in particolare, la gestione dei tributi, l'accertamento e la riscossione e la trattazione del contenzioso, sia, infine, perché l'art. 6 dello Statuto dell'Agenzia, approvato con Delib. del Comitato direttivo 13 dicembre 2000, n. 6, attribuisce al Direttore Generale il potere di delega, sia, infine, per la possibilità di conferimento di tale delega all'interno degli uffici finanziari" (Cass. n. 14815 del 2011).

Il quinto ed il sesto motivo del ricorso, con i quali si denuncia violazione di legge, rispettivamente, in ordine al possesso della qualifica dirigenziale da parte del soggetto sottoscrittore del ruolo, ed in ordine all'applicazione della continuazione nell'irrogazione delle sanzioni, sono inammissibili, in quanto i relativi quesiti di diritto si rivelano inidonei alla stregua della prescrizione dell'art. 366 bis cod. proc. civ.: essi sono privi di riferimento alla fattispecie e si risolvono nell'affermazione di un principio giuridico.

"Il quesito di diritto prescritto dall'art. 366 bis cod. proc. civ. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell'omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto" (Cass. n. 4044 del 2009).

Con il settimo motivo del ricorso il contribuente assume che l'omessa indicazione, nella cartella notificata nel 2002, del responsabile del procedimento, integrerebbe un vizio tale da portare all'annullamento della cartella stessa; e sostiene che la norma contenuta nel "decreto Milleproroghe", secondo cui la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle relative a ruoli consegnati prima del 1 giugno 2008 non è causa di nullità delle stesse, si porrebbe in contrasto con l'art. 3, comma 3 dello statuto del contribuente, secondo cui le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo.

Il motivo è infondato, ove si consideri che le sezioni unite di questa Corte hanno affermato che "l'indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell'Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 (c.d. statuto del contribuente), a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008" (Cass. sez. un. 14 maggio 2010, n. 11722; si vedano anche Cass. n. 8613 del 2011 e n. 4516 del 2012).

Con l'ottavo motivo il contribuente "censura la sentenza di secondo grado per non essersi espressa sull'omessa sottoscrizione della cartella di pagamento" (in questi termini sembra formulato il quesito di diritto).

Il rilievo è infondato, considerato che "la cartella esattoriale, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 23 quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, dev'essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero delle Finanze che non prevede la sottoscrizione dell'esattore, essendo sufficiente la sua intestazione per verificarne la provenienza nonché l'indicazione, oltre che della somma da pagare, della causale tramite apposito numero di codice" (Cass. n. 14894 del 2008, n. 8613 del 2011).

Con l'ultimo motivo del ricorso si duole che il giudice di secondo grado abbia condannato essa appellante soccombente "alle spese, quando poteva compensare per la novità della materia e per il contrasto giurisprudenziale".

Il motivo non ha pregio, ove si consideri che "in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso di altri giusti motivi" (ex multis, Cass. n. 5386 del 2003, n. 3860 del 2004).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese in favore della spa Equitalia, considerato il mancato svolgimento di attività.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dell'Agenzia delle entrate, liquidate in complessivi Euro 1.500, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2014

Registrati al nostro portale per accedere al motore di ricerca delle sentenze.

Registrati

Sentenze

Sentenze nel nostro database:
507,035

Cerca

Giudici

Giudici nel nostro database:
2,876

Cerca

Autorità

Tribunali nel nostro database:
331

Cerca

Sentenze.io 2023