Sentenza del 03/07/2023 n. 18642 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Massime

IVA - DIRITTO ALLA DETRAZIONE - PROVA PER PRESUNZIONI

In tema di IVA, nell'impossibilità di produrre le fatture o di acquisire la copia presso i fornitori, il contribuente può provare il proprio diritto alla detrazione attraverso presunzioni. Infatti, se il contribuente si attiene agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna, grava sull'Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto a detrazione, negando la corrispondenza della realtà fattuale a quella rappresentata nelle scritture contabili, l'onere della relativa contestazione e della conseguenziale prova, mentre, se a tali obblighi il contribuente non si attiene, spetta a questi fornire adeguata prova dell'esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l'insorgenza del diritto alla detrazione, dimostrando che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, è debitore dell'IVA e titolare del diritto di detrarre. Per quanto riguarda la prova del diritto alla detrazione, l'accertamento in fatto da parte del Giudice di merito deve essere svolto con la latitudine suggerita dalla giurisprudenza unionale, non essendo sufficienti le sole avvenute liquidazioni periodiche, occorrendo anche l'esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, delle fatture e di ogni altra documentazione utile. Tuttavia, sebbene la detrazione sia subordinata, in caso di contestazione da parte dell'Ufficio, alla relativa prova, che deve essere fornita dal contribuente mediante produzione delle fatture e del registro in cui vanno annotate, ove lo stesso dimostri di trovarsi nell'incolpevole impossibilità di produrre tali documenti e di non essere in grado di acquisire copia delle fatture presso i fornitori dei beni o dei servizi, trova applicazione la regola generale prevista dall'articolo 2724, numero 3, c.c., secondo cui la perdita incolpevole del documento occorrente alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole non costituisce motivo di esenzione dall'onere della prova, nè trasferisce lo stesso a carico dell'ufficio, ma autorizza soltanto il ricorso alla prova per testimoni o per presunzioni, in deroga ai limiti per essa stabiliti.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.


Sentenze in tema

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Ai fini delle imposte sui redditi e dell'Iva, affinché un costo possa essere incluso fra le componenti negative del reddito d'impresa, non soltanto è necessario che ne sia certa l'esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l'inerenza, e per provare tale ultimo requisito non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall'imprenditore, dovendo l'imputabilità del costo anche collegarsi a fatti (e decisioni) comunque riferibili al soggetto che tale costo si deduce, in ottemperanza ai contenuti prescrittivi dell'articolo 109 del Tuir e dell'articolo 19 del Dpr 633/1972 (cfr. Cassazione 4443/2010). In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, se l'amministrazione finanziaria dimostra in maniera convincente che l'operazione fatturata non è mai stata effettuata, spetta al contribuente provarne l'effettiva esistenza. L'onere probatorio non può ritenersi superato con la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e con l'esibizione della fattura, in quanto si tratta di mezzi normalmente utilizzati proprio allo scopo di far risultare reale un'operazione fittizia.

In caso di contestazione di costi indebitamente dedotti e di Iva illegittimamente detratta relativa a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, l'ufficio finanziario ha l'onere di provare, sulla base di elementi e indizi probatori solidi, che l'operazione controllata non è stata mai effettuata, riducendosi in una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno. Una volta assolto adeguatamente tale onere, spetterà al contribuente che intende godere della detrazione dell'Iva afferente alla fattura e della partecipazione dei relativi costi alla formazione del reddito imponibile, provare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tuttavia, la prova non può limitarsi all'esibizione delle fatture e alla dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, perché tali mezzi "vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia" (cfr Cassazione nn. 16650/2020, e 27554 e 12258 del 2018).

Nella vigenza del D.P.R. n. 600/1973, art. 3, la certificazione relativa alla ritenuta alla fonte, rilasciata dal sostituto d'imposta, non ammetteva equipollenti. Successivamente alle modifiche di cui al D.L. n. 300 del 1994, art. 1, che ha attenuato la rilevanza formale della certificazione, ai fini dello scomputo della ritenuta d'acconto, l'omessa esibizione del certificato del sostituto d'imposta attestante la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo. Infatti, l'attestato del sostituto è prova tipica, ma non esclusiva, la cui assenza non è in grado di esporre il sostituito a preclusioni difensive. L'attestazione del sostituto d'imposta costituisce, pertanto, per il sostituito prova tipica, ancorchè non esclusiva, della ritenuta subita. In definitiva, in tema di legittimazione del sostituto o del sostituito a richiedere il rimborso delle imposte versate a mezzo ritenuta, da un lato, la mancanza di documentazione in allegato alla domanda di rimborso, e quindi, in sostanza, la carenza di prova per determinare l'an ed il quantum del rimborso, non sono considerati dal legislatore direttamente motivo di rigetto o di inammissibilità dell'istanza, dando vita piuttosto ad un confronto con l'ufficio ed alla possibilità di integrazione dei documenti rilevanti; dall'altro lato per i lavoratori dipendenti, qualora presentino il modello unico, la prova dell'effettuazione delle ritenute, ai fini del rimborso, consiste nella sola indicazione di esse nella suddetta dichiarazione. Infine, nel processo tributario, l'obbligo dell'amministrazione di prendere posizione sui fatti dedotti dal contribuente è ancora più forte di quello che grava sul convenuto nel rito ordinario, in quanto le disposizioni della Legge 7 agosto 1990, n. 241, artt. 18, e Legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, secondo le quali il responsabile del procedimento deve acquisire d'ufficio quei documenti che, già in possesso dell'amministrazione, contengano la prova di fatti, stati o qualità rilevanti per la definizione della pratica, costituiscono l'espressione di un più generale principio valevole anche in campo processuale e, in particolare, qualora il contribuente, che agisca per il rimborso di tasse o diritti non dovuti, eccepisca che documenti comprovanti il pagamento, o la richiesta di rimborso, siano in possesso dell'amministrazione, questa è tenuta a pronunciarsi in modo specifico e motivato sul punto, perché, in difetto, il giudice potrà desumere elementi di prova da tale comportamento.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

In tema d'IVA, ove l'Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l'indebita detrazione dell'imposta pagata per l'acquisizione di beni o servizi, spetta al contribuente l'onere di provarne la legittimità e la correttezza, sicché, quando questi non sia in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione per aver denunciato un furto della contabilità, non spetta all'Amministrazione operare un esame incrociato dei dati contabili ma al contribuente medesimo attivarsi attraverso la ricostruzione del contenuto delle fatture emesse, con l'acquisizione - presso i fornitori - della copia delle medesime, non essendo la denuncia di furto per se stessa sufficiente a dare prova dei fatti controversi, se priva della precisa indicazione riguardante le singole fatture e il loro contenuto specifico. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che i dati contenuti nella comunicazione IVA di cui all'art. 9 del d.P.R. n. 435 del 2001, utilizzati per la determinazione induttiva del reddito della società ricorrente e, quindi, per il recupero dell'IVA a debito, non fossero idonei, invece, a provare l'importo di quella a credito). Massima tratta dal CED della Cassazione.

In tema di IVA, la deducibilità dell'imposta pagata dal contribuente per l'acquisizione di beni o servizi inerenti all'esercizio dell'impresa è subordinata, in caso di contestazione da parte dell'Ufficio, alla relativa prova, che deve essere fornita dallo stesso contribuente mediante la produzione delle fatture e del registro in cui vanno annotate; nel caso in cui il contribuente dimostri di trovarsi nell'incolpevole impossibilità di produrre tali documenti (nella specie, a causa di furto) e di non essere neppure in grado di acquisire copia delle fatture presso i fornitori dei beni o dei servizi, trova applicazione la regola generale prevista dall'art. 2724 c.c., n. 3, secondo cui la perdita incolpevole del documento occorrente alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole non costituisce motivo di esenzione dall'onere della prova, nè trasferisce lo stesso a carico dell'Ufficio, ma autorizza soltanto il ricorso alla prova per testimoni o per presunzioni, in deroga ai limiti per essa stabiliti.

In tema di IVA, ove l'amministrazione finanziaria contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture, spetta al contribuente l'onere di provare la legittimità e la correttezza della detrazione mediante l'esibizione dei relativi documenti contabili. Pertanto, quando costui non è in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione per aver denunciato un furto della contabilità, non spetta all'Amministrazione di operare un esame incrociato dei dati contabili ma al contribuente di attivarsi attraverso la ricostruzione del contenuto delle fatture emesse, con l'acquisizione - presso i fornitori - della copia delle medesime. Né una denuncia di furto è di per se stessa sufficiente a dare prova dei fatti controversi, se priva della precisa indicazione riguardante le singole fatture e il loro contenuto specifico.

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