Sentenza del 18/09/2003 n. 13751 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 1

Massime

RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE - CON INGIUNZIONE FISCALE TRIBUTI INDIRETTI ED ENTRATE PATRIMONIALI - INGIUNZIONE "EX" ART 3 RD N 639 DEL 1910 - OPPOSIZIONE - TERMINE - PERENTORIETA' - ESCLUSIONE - INOSSERVANZA - IRRILEVANZA

L'inutile decorso del termine di trenta giorni previsto dall'art. 3 del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, non preclude l'opposizione di merito che il debitore proponga per contestare l'esistenza della pretesa creditoria, tale termine non avendo natura perentoria, ne' per la sua inosservanza essendo sancita decadenza o inammissibilita'. * Massima tratta dal CED della Cassazione.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

Il termine di quindici giorni, fissato a pena di decadenza dall'art. 82 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 per l'opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento di tributi doganali, e' inapplicabile ove si contesti radicalmente la sussistenza dello stesso potere impositivo in astratto, come si verifica quando, discendendo il debito fiscale dalla commissione di un delitto, si deduca l'inosservanza dell'Amministrazione finanziaria all'obbligo di conformarsi al giudicato penale assolutorio, in quanto tale controversia non e' riconducibile nell'ambito delle disposizioni proprie del contenzioso tributario. Massima tratta dal CED della Cassazione.

La decadenza conseguente alla mancata opposizione all'ingiunzione nel termine di quindici giorni previsto dall'art. 82 del d.P.R. n. 43 del 1973, finisce per riflettersi sulla stessa pretesa tributaria , nel senso che quest'ultima, ove non sia impugnata tempestivamente l'ingiunzione che la contiene, diventa incontestabile.

In tema di sanzioni amministrative, la mancata indicazione nell'ordinanza ingiunzione del termine previsto a pena di decadenza per proporre l'opposizione e dell'autorita' competente a decidere sulla stessa - indicazioni prescritte dall'art. 3, comma quarto, L. 7 agosto 1990 n. 241 - integra un'irregolarita' che impedisce il verificarsi di preclusioni processuali a seguito del mancato rispetto, da parte dell'interessato, del termine di cui all'art. 22 L. 24 novembre del 1981 n. 689. Massima tratta dal CEd della Cassazione.

Il decorso del termine di quindici giorni stabilito, per l'opposizione, dall'art. 18 del R.D.L. 28 febbraio 1939, n. 334 sull'imposta sugli oli minerali, preclude, al contribuente, nel caso di mancata opposizione, la possibilita' di contestare la pretesa tributaria, trattandosi di termine processuale espressamente dichiarato perentorio dal legislatore. A tal fine e' irrilevante che l'ingiunzione notificata dall'Amministrazione contenga l'intimazione a pagare la somma dovuta nel termine di trenta giorni, poiche' il termine per pagamento, disciplinato dall'art. 2 del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, non influisce sul termine per la proposizione della opposizione, ove questo sia espressamente regolato da norme speciali (nella fattispecie, l'ingiunzione , oltretutto,conteneva espresso richiamo all'art. 18 R.D.L. n. 334, cit.).

Il termine di quindici giorni, fissato a pena di decadenza dall'art. 8 d.P.R 23 gennaio 1973 n. 43 per l'opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento di tributi doganali (emessa a norma del T.U. 14 aprile 1910 n. 639) resta inapplicabile, sotto il profilo della non riconducibilita' della controversia nell'ambito delle disposizioni proprie del contenzioso tributario, ove si contesti "in radice" il potere impositivo, negandone cioe' la sussistenza in astratto, come si verifica quando, discendendo il debito fiscale dalla commissione di delitto, si deduca l'inosservanza dell'Amministrazione finanziaria all'obbligo di attendere l'accertamento del delitto stesso in sede penale.

PROCEDIMENTO CIVILE - GIUDICE - IN GENERE - RAPPORTI TRA TRIBUNALE E SEZIONE DISTACCATA - QUESTIONE DI COMPETENZA - CONFIGURABILITA' - ESCLUSIONE

Le sezioni distaccate di tribunale costituiscono articolazioni interne del medesimo ufficio giudiziario di tribunale e, in quanto tali, prive di rilevanza esterna, con la conseguenza che i rapporti tra sede principale e sezione distaccata non possono mai dare luogo a questioni di competenza. * Massima tratta dal CED della Cassazione.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

Il giudice tributario ha, di regola, il potere di risolvere incidentalmente questioni attribuite alla competenza giurisdizionale di altro giudice, tutte le volte che dalla soluzione di tale questioni dipende la decisione del giudizio sottoposto alla sua cognizione. Massima redatta dal Servizio documentazione tributaria.

In tema di contenzioso tributario, le direzioni regionali delle entrate possono stare in giudizio direttamente e proporre appello senza necessita' di alcuna autorizzazione, anche quando si tratti di sezioni distaccate. * Massima tratta dal CED della Cassazione.

La controversia avente ad oggetto la restituzione di contributi corrisposti ad un consorzio di bonifica sulla base dell'allegata carenza di potere impositivo dell'ente, ha natura tributaria e non essendo espressamente devoluta alla giurisdizione delle commissioni tributarie, appartiene alla giurisdizione ordinaria e rientra nella competenza per materia del tribunale.(*) ----- (*) Massima tratta dal CED della Cassazione.

I contributi dovuti ai consorzi di bonifica rientrano nella categoria generale dei tributi e di conseguenza per le relative controversie che ricadano nell'ambito della giurisdizione ordinaria sussiste la competenza per materia del tribunale a norma dell'art. 9, secondo comma, cod. proc. civ.. ------------------------- Massima tratta dal CED della Cassazione.

I procedimenti di istruzione preventiva producono solo un inverzione dell'ordine temporale degli atti del processo e, non incidendo sulle regole discriminatrici della giurisdizione e della competenza, presuppongono la proposizione dell'istanza al giudice competente per il merito. Pertanto ove sorgano questioni relative alle imposte di successione e donazione dinanzi al giudice ordinario, essendo queste di spettanza delle commissioni tributarie, non e' possibile la richiesta in via preventiva di un istruttorio al presidente del tribunale.

IMPUGNAZIONI CIVILI - IMPUGNAZIONI IN GENERALE - MEZZI DI IMPUGNAZIONE - INDIVIDUAZIONE - RITO SEGUITO DAL GIUDICE "A QUO" - RILEVANZA IN ORDINE ALLA INDIVIDUAZIONE DEL MEZZO DI IMPUGNAZIONE AMMISSIBILE - SUSSISTENZA - FATTISPECIE

L'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va effettuata sulla base del rito in concreto seguito dal giudice, non importa se a ragione o a torto, nel pronunciarsi sul rapporto controverso a lui sottoposto; e' pertanto ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza del tribunale che abbia deciso l'impugnazione proposta avverso un'ingiunzione fiscale facendo applicazione della legge 24 novembre 1981, n. 689, giacche' l'emissione della decisione secondo il rito previsto da tale legge, a prescindere dalla esattezza della relativa adozione, rende operante l'ultimo comma dell'art. 23 della legge stessa, il quale nega l'appello e consente il ricorso per cassazione. * Massima tratta dal CED della Cassazione.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

In tema di contenzioso tributario, esula dal vizio di incompetenza - che, ai sensi dell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, richiamato dal successivo art. 24, obbliga il giudice ad assegnare con ordinanza un termine per la rinnovazione dell'atto impugnato - l'ipotesi in cui il giudice abbia dichiarato l'inammissibilita' dell'appello sulla base del difetto di legittimazione processuale dell'ufficio appellante (nella specie, ufficio delle imposte dirette anziche' intendenza di finanza), ossia di un vizio che non ha nulla a che vedere con quello contemplato dalla citata norma, che si configura allorche' l'atto impugnabile sia riferibile ad ufficio funzionalmente o territorialmente incompetente. *Massima tratta dal CED della Cassazione.

Le controversie relative al rifiuto di rimborso di tributi (nella specie, l'imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni - ICIAP) compresi tra quelli elencati nell'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (nel testo originario, applicabile nella fattispecie "ratione temporis") sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie, fatta eccezione per il solo caso in cui l'ente impositore abbia riconosciuto formalmente il diritto del contribuente al rimborso, si' che la controversia non riguarda piu' la risoluzione di una questione tributaria, ma un mero indebito oggettivo di diritto comune. Ne', in assenza di detto riconoscimento, puo' invocarsi una tutela del giudice ordinario avverso il rifiuto dell'ente impositore ad ottemperare alla sentenza non definitiva del giudice tributario che abbia accertato la non debenza del tributo versato, allegando che contro tale atto - non compreso nell'elenco degli atti impugnabili di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 - non sarebbe apprestata alcuna tutela nel processo tributario: la limitazione della tutela esecutiva o mediante ottemperanza alle sole sentenze del giudice tributario passate in giudicato, prevista dagli artt. 69 e 70 del medesimo d.lgs., non implica, infatti, che debba esistere una tutela residuale del giudice ordinario riguardo alle sentenze non definitive, in presenza delle quali deve sempre esperirsi, dunque, il procedimento di rimborso, contro il cui rifiuto e' ammessa soltanto l'impugnativa dinanzi alle commissioni tributarie. *Massima tratta dal CED della Cassazione.

Nel processo tributario, la sentenza che dichiari l'inammissibilita' del giudizio di ottemperanza, nella specie in ragione del contenuto della pronuncia di cui si richiede l'esecuzione e della ritenuta conseguente insussistenza del presupposto per l'esperibilita' del giudizio, esula dal novero di quelle a contenuto attuativo, contemplate dall'art. 70, comma, 7, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non e' quindi soggetta ai limiti di impugnazione previsti dal successivo comma 10. Ne consegue che avverso di essa, se emanata, come nel caso di specie, dalla Commissione tributaria regionale - in sede di giudizio di ottemperanza per l'esecuzione di un precedente giudicato della Commissione tributaria centrale -, e' esperibile, trattandosi di pronuncia in unico grado, il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. e dell'art. 362 cod. proc. civ.. *Massima tratta dal CED della Cassazione.

E' inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di pace dichiarativa della propria competenza in materia di contributi consortili proposto dinanzi al Tribunale, e poi espressamente riassunto davanti alla Cassazione, non potendo trovare applicazione il principio di conservazione dettato dall'art. 159 secondo comma cod. proc. civ.. Tale norma opera, infatti, allorche' l'atto non solo abbia i requisiti di forma e di sostanza dell'atto in cui viene convertito ma sia stato proposto dinanzi al giudice competente per il grado di giudizio, dovendosi comunque escludere la conversione dell'atto se, dall'esame del contenuto del mezzo utilizzato, risulti inequivocabilmente la volonta' della parte di utilizzare soltanto un mezzo diverso, ancorche' inammissibile. La proposizione dell'atto innanzi a un giudice di secondo grado anziche' innanzi al giudice della legittimita' esclude - d'altronde - che sia prospettabile una questione di competenza con il ricorso ai principi della "traslatio iudicii", sanciti dall'art. 50 cod. proc. civ., secondo i quali la tempestiva proposizione del gravame ad un giudice incompetente impedisce la decadenza della impugnazione, atteso che la competenza attiene alla articolazione della giurisdizione tra i giudici competenti nello stesso grado. * Massima tratta dal CED della Cassazione.

E' ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza del pretore che abbia deciso la controversia in applicazione della legge n. 689/1981 sul presupposto della riconducibilita' del rapporto fra quelli da essa contemplati, essendo vincolante tale qualificazione, a prescindere dalla sua esattezza, ai fini dell'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile rendendo cosi' operante l'ultimo comma dell'art. 23 della legge stessa, il quale nega l'appello e consente il ricorso per cassazione. * Massima tratta dal CED della Cassazione.

PROCEDIMENTO CIVILE - IN GENERE - QUESTIONE DI RITO - INCIDENZA SULLA VALIDITA' DELLA DOMANDA GIUDIZIALE - ESCLUSIONE - EFFETTI - INDIVIDUAZIONE - DEDUZIONE COME MOTIVO DI IMPUGNAZIONE DELL'ERRORE CONSISTITO NELL'UTILIZZAZIONE DI UN DIVERSO RITO PROCESSUALE - AMMISSIBILITA' - CONDIZIONI

L'introduzione di un processo con forme diverse da quelle sue proprie non comporta, di per se', il rigetto della domanda per motivi di mera procedura, ma solo la possibilita' che, a seguito di eccezione di parte od anche di rilievo officioso, lo stesso processo prosegua, previo mutamento di rito, secondo diverse regole processuali, e si concluda con sentenza nel merito ovvero con sentenza in rito, ove l'errore abbia inciso sul rispetto di termini perentori. Peraltro, l'omesso cambiamento del rito, per quanto obbligatorio, non spiega di per se' effetti invalidanti sulla sentenza, che non e' ne' inesistente ne' nulla e puo' essere impugnata, deducendo l'errore consistito nell'utilizzazione di un diverso rito processuale come motivo di impugnazione, soltanto ove si indichi lo specifico pregiudizio che ne sia derivato, per avere inciso sulla determinazione della competenza ovvero sul contraddittorio o sui diritti di difesa. * Massima tratta dal CED della Cassazione.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

In tema di contenzioso tributario, la preclusione (che si traduce in un'ipotesi di decadenza) - conseguente alla omessa impugnazione di un avviso di liquidazione d'imposta - della possibilita' di impugnare il silenzio - rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso dell'imposta stessa, ancorche' rilevabile d'ufficio, non puo' essere eccepita per la prima volta in sede di giudizio di Cassazione, qualora dalla sentenza impugnata non risulti espressamente la circostanza di fatto invocata a sostegno della detta preclusione, non essendo consentita, in sede di legittimita', la proposizione di nuove questioni di diritto - anche se rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio - quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto (come l'esame di documenti) di regola preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle particolari ipotesi di cui all'art. 372 cod. proc. civ. Ne' e' possibile ipotizzare un "error in procedendo" del giudice di merito - consistente nel mancato esame di un documento, - poiche' la stessa rilevabilita' d'ufficio della decadenza va coordinata con il principio della domanda, cosi' che non puo' trovare applicazione per la prima volta in cassazione con riferimento ad un fatto mai dedotto in precedenza, implicante un diverso tema di indagine e di decisione. *Massima tratta dal CED della Cassazione.

L'art. 2 quinquies del D.L. n. 564 del 1994 (inserito dalla legge di conversione n. 656 del 1994) conferisce al contribuente la facolta' di ottenere la chiusura delle liti fiscali pendenti, pagando una somma correlata al valore della causa, con effetto estintivo del giudizio. In tal caso, la definizione della causa provoca, come riflesso processuale, l'estinzione del giudizio, ma non si esaurisce in un evento del processo, perche' configura vicenda piu' complessa che elide la pretesa impositiva unitamente all'impugnazione del contribuente, nel concorso di condizioni ed adempimenti prestabiliti. Ne deriva che il contrasto tra le parti sul verificarsi di quelle condizioni e di quegli adempimenti si traduce in un dibattito sulla cessazione o meno della materia del contendere e, dunque, deve trovare soluzione in una decisione del collegio che non puo' subire vincoli o preclusioni in dipendenza di precedenti provvedimenti presidenziali non oggetto di tempestivi reclami, essendo questi ultimi atti ordinatori, per loro natura inidonei a risolvere l'indicato contrasto con la forza vincolante del giudicato (la S.C. ha cosi' cassato la sentenza della Commissione regionale che aveva dichiarato l'estinzione del giudizio, cosi' confermando un precedente provvedimento presidenziale e rilevando che quest'ultimo, in mancanza di reclamo, aveva acquistato definitivita', precludendo l'esame delle deduzioni sia dell'Ufficio, sia del contribuente. Disconosciuto, dunque, il carattere cogente della citata ordinanza presidenziale, la S.C. ha demandato al giudice del rinvio la statuizione circa la sussistenza dei requisiti per la definizione della lite, quale antecedente necessario del prodursi dell'estinzione stessa, ed, in ipotesi negativa, la decisione sul merito della contesa).(*) ----- (*) Massima tratta dal CED della Cassazione.

Il divieto di rinnovazione dell'atto impugnato di cui all'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, quando il vizio consista nel difetto di motivazione, non opera nell'ipotesi in cui la amministrazione finanziaria, nell'esercizio del proprio potere di autotutela, proceda d'ufficio all'annullamento dell'atto che difetti di motivazione e, prima che siano scaduti i termini per l'accertamento, provveda ad emettere un avviso sostitutivo del precedente. Detto divieto, infatti, riguarda la possibilita' di procedere alla convalida, su impulso del giudice tributario, dello stesso atto impugnato al fine della conservazione dello stesso, emendato dei vizi sanabili, ed al fine di consentire la prosecuzione del giudizio sugli altri motivi di ricorso, mentre nella ipotesi di annullamento di ufficio dell'atto impugnato e di sostituzione di questo con altro atto non si ha una vicenda di "rinnovazione" dell'atto impugnato - per effetto della rinnovazione, l'amministrazione non emana un atto "nuovo", ma riproduce quello stesso sottoposto ad impugnazione, emendato, pero', dal vizio formale sanabile, denunciato dal contribuente -, ma si ha la spontanea eliminazione dell'atto oggetto del giudizio, con conseguente cessazione della materia del contendere, ed emanazione di un nuovo atto, che, al fine di evitarne la definitivita', richiede di essere a sua volta impugnato, dando cosi' vita ad un nuovo giudizio. * Massima tratta dal CED della Cassazione.

La norma, di cui al nuovo testo dell'art. 384, primo comma, cod. proc. civ. - secondo cui la Corte di Cassazione decide la causa nel merito a seguito dell'annullamento della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nell'ipotesi che "non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto" (cosiddetta cassazione sostitutiva) - tenuta presente la "ratio" che la ispira di ridurre i tempi del processo, evitando una fase che senza ragione potrebbe rallentarlo notevolmente, e il suo carattere non eccezionale, puo' trovare applicazione anche nel caso in cui gli accertamenti di fatto in astratto necessari in relazione alla domanda oggetto del giudizio non siano concretamente possibili nel giudizio di rinvio per effetto di preclusioni o decadenze rilevabili d'ufficio, e non superabili per effetto di comportamenti processuali delle parti, e quindi sia in realta' predeterminato dalla pronuncia della Cassazione il rigetto della domanda per difetto di prova. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha esaminato nel merito, rigettandola, la domanda dell'I.N.P.S. di pagamento di contributi previdenziali e relative sanzioni, basata sulla deduzione del carattere subordinato di un rapporto di lavoro, non accompagnata dalla allegazione, e richiesta di prova di circostanze effettivamente rilevanti). Massima tratta dal CED della Cassazione.

L'ultimo comma dell'art.288 cod. proc. civ., il quale dispone che le sentenze possono essere impugnate, relativamente alle parti corrette, nel termine che decorre dal giorno in cui e' stata notificata l'ordinanza di correzione, e' applicabile soltanto quando l'errore dal quale la sentenza e' inficiata e' tale da determinare un qualche dubbio sull'effettivo contenuto dalla decisione. Pertanto, la pendenza del relativo procedimento per la correzione di un errore evidente, agevolmente eliminabile in via d'interpretazione della sentenza e non percio' tale da impedire la percezione dell'esatto significato della decisione assunta dal giudice, non impedisce il normale decorso dei termini d'impugnazione e tanto meno preclude la proponibilita', entro i suindicati termini, di un normale mezzo di gravame previsto dall'ordinamento nei riguardi della decisione oggetto di correzione.

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