Sentenza del 15/09/2022 n. 27242 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
1. Con avviso di accertamento n. 30445 notificato alla controricorrente in data 7 gennaio 2014, il Comune di Selvazzano Dentro (PD) accertava l'omesso versamento da parte del Seminario Vescovile di Padova dell'ICI per l'anno di imposta (---), pari all'importo di 246.284,27 Euro (oltre interessi e sanzioni per complessivi 397.441,00 Euro), in relazione al complesso immobiliare sito in Via Montegrappa n. 21, ritenendo non applicabili le condizioni dell'esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i).
1.1. La Commissione tributaria provinciale di Padova, con sentenza n. 974/1/2014, accoglieva il ricorso proposto dal Seminario Vescovile di Padova ed annullava l'atto impugnato.
1.2. La Commissione tributaria regionale di Venezia, con la suindicata sentenza, respingeva l'appello proposto dal Comune di Selvazzano Dentro.
Nello specifico, il Giudice a quo premetteva che detto ente aveva chiesto, in data 25 luglio 2008, al Seminario le ragioni del mancato versamento dell'ICI, ottenendo da questi risposta il 13 ottobre 2008, con cui l'omissione veniva giustificata in ragione della ritenuta esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), ponendo in rilievo che, a seguito di tale riscontro, l'ente territoriale non aveva formulato rilievi o avanzato contestazioni e richieste di pagamento sino alla notifica dell'avviso di accertamento ancora in contestazione, avvenuto il 7 gennaio 2014.
Il Giudice regionale affermava, quindi, che:
- "la mancata azione del Comune da Ottobre 2008 a tutto il 2013 ha consentito all'Ente di ritenere fondata la propria convinzione di esenzione ICI per il complesso immobiliare", con la conseguenza che "le sanzioni non possono essere pretese e neppure gli interessi, fintantoché all'Ente contribuente non sia stato comunicato il diverso avviso del Comune in relazione all'esenzione o meno dell'imposta" (v. pagina n. 6 della sentenza impugnata);
- "la mancanza del presupposto soggettivo… non venne contestata con l'avviso di accertamento e neppure sostenuta durante il giudizio di primo grado" e che "la L. n. 22 del 1985, art. 2 inserisce di diritto i Seminari tra gli enti aventi fine di culto e quindi non commerciali… cosicché nella fattispecie esiste comunque, sicuramente, il presupposto soggettivo, come individuato dal citato art. 7" (v. sempre pagina n. 6 della sentenza impugnata);
"viene pacificamente riconosciuto da entrambe le parti che il complesso immobiliare risulta inutilizzato a decorrere dal Settembre 2002 (e quindi anche nel 2008) e che in precedenza era stato utilizzato per la formazione del clero" (v. pagina n. 7 della sentenza impugnata);
- "la destinazione ad attività di formazione del clero non risulta in dubbio" (v. pagina 7 della sentenza), come confermato dal fatto che con delibera del Consiglio Comunale dell'anno 2003 il complesso immobiliare venne inserito in zona F3, dedicata alle attività religiose;
- "ciò che rileva perché si concretizzi il presupposto oggettivo è la "destinazione", anche potenziale, dell'immobile e non "l'utilizzo", perché è la "destinazione" che appare essere la ragione fondamentale assunta dal legislatore per giustificare l'esenzione che ha disposto" (così a pagina n. 7 della sentenza), interpretando il termine ""utilizzati"" presente nel testo normativo nel senso che i beni debbono appartenere, essere cioè posseduti da un ente di culto.
2. Avverso detta sentenza, il Comune di Selvazzano Dentro proponeva ricorso per cassazione, con atto notificato al Seminario Vescovile di Padova il 21/29 agosto 2017, tramite posta raccomandata, articolando tre motivi di impugnazione.
3. Il Seminario Vescovile di Padova notificava il 9/10 ottobre 2017 controricorso e ricorso incidentale condizionato.
4. In data 31 ottobre 2017 il Comune notificava tramite posta elettronica certificata controricorso al predetto ricorso incidentale.
5. Le parti hanno poi depositato, in data 6 e 7 giugno 2022, memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
6. Con la prima censura il Comune ha dedotto, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), e degli artt. 12 e 14 preleggi, per avere il giudice di merito erroneamente ritenuto applicabile il diritto all'esenzione dell'ICI, nonostante il mancato utilizzo, nell'anno impositivo (---), da parte del Seminario Vescovile di Padova del bene immobile per scopi meritevoli di tutela e cioè per una delle attività in detta disposizione contemplate, assumendo - di contro - la difesa dell'istante che l'esenzione non può operare quando il bene sia solo astrattamente destinato ad un'attività tutelata, ma non concretamente utilizzato per l'esercizio della stessa.
7. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha lamentato, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), assumendo che l'esenzione applicata non è più operante a seguito della Decisione della Commissione Europea n. 2013/284/UE del 19 dicembre 2012, relativa all'aiuto di Stato SA.20829 (C26/2010, ex NN 43/2010 ex c.p. 71/2006), concernente il regime riguardante l'esenzione dell'ICI per gli immobili utilizzati da enti non commerciali per fini specifici (cui l'Italia ha dato esecuzione in Gazzetta Ufficiale UE del 18 giugno 2013), che ha considerato detta esenzione un illegittimo aiuto di Stato se applicata in favore di enti non commerciali per attività suscettibili di valutazione economica, quale è quella didattica e/o di formazione seminariale, anche se esercitate senza scopo di lucro da enti non commerciali.
8. Con la terza doglianza, il Comune ha denunciato, sempre in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10 ritenendo che detta disposizione sia applicabile solo quando la buona fede del contribuente sia sorta a seguito di un'espressa presa di posizione dell'ente impositore o dopo l'interpello previsto dall'art. 11 della medesima disposizione, mentre l'affidamento non può essere desunto da contegni impliciti e non univoci, ferma restando, in ogni caso, il dovere di versare l'imposta, potendo al più venir meno, ove riscontrata la buona fede del contribuente, solo l'obbligo di pagamento delle sanzioni, dell'aggio e degli interessi.
9. Con il ricorso incidentale condizionato all'accoglimento del ricorso principale, il Seminario Vescovile di Padova ha rimproverato al Giudice regionale, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di aver violato il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett i), e, per quanto ragione, la L. n. 206 del 2003, art. 2 anche in relazione all'art. 100 c.p.c. Nello specifico, il ricorrente incidentale ha posto in evidenza di aver dedotto sin dal primo grado, con i relativi motivi aggiunti, che il Comune aveva negli anni 2007/2010 richiesto, ottenuto, incassato ed impegnato a bilancio le somme corrispondenti al mancato introito relativo all'immobile del Seminario Vescovile, conseguendo, in data 16 giugno (---), il rimborso della somma di 204.910,48 Euro a titolo di "rimborso minori entrate ICI edifici di culto" (così a pagina n. 6 del controricorso).
Per tale via, la difesa del Seminario ha eccepito che il Comune, attestando la minore entrata e percependo dallo Stato la somma equivalente, aveva consumato il proprio potere impositivo, con la conseguenza, sul piano processuale, del difetto dell'interesse a contraddire ai sensi dell'art. 100 c.p.c., avendo già interamente e legittimamente percepito aliunde l'importo del tributo in oggetto, considerando illegittimo il ripensamento del Comune rispetto al precedente contegno, qualificato non solo dal silenzio dopo aver ottenuto la citata risposta sui chiarimenti richiesti, ma anche dall'avvenuta riscossione del rimborso statale.
10. Tanto ricapitolato, si osserva quanto segue.
11. - Sul primo motivo di impugnazione principale-.
La doglianza risulta fondata.
11.1. il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1 lett. i), nel testo ratione temporis applicabile (come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 39 convertito con modificazioni nella L. n. 248 del 2006, in vigore dal 4 luglio 2006 sino alla sua sostituzione con l'IMU, a partire dal gennaio 2012), disponeva l'esenzione dal pagamento dell'ICI per "gli immobili utilizzati dai soggetti di cui AL D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, LETT. c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a).
L'esenzione in esame risultava (e risulta), quindi, ancorata alla coesistenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento delle suindicate attività da parte di un ente che non aveva come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c, cui il citato art. 7 rinvia), e di un requisito oggettivo, rappresentato dall'utilizzo del bene destinato alle attività ivi indicate, aventi natura "non esclusivamente commerciale" (come disposto dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 7, comma 2 bis, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, come modificato dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248).
Nella fattispecie in esame è incontroversa la sussistenza del requisito soggettivo.
E' altrettanto pacifico tra le parti ed espressamente riconosciuto dal Giudice dell'appello che il bene immobile oggetto di tassazione, costituito da un complesso immobiliare ab origine destinato alla formazione del clero diocesano, "non è (ndr. stato) più utilizzato a decorrere sin dal Settembre 2002 e che negli anni successivi è stato oggetto di trattative per la sua cessione, concretizzate anche in contratti preliminari di vendita" (v. pagina n. 2 della sentenza impugnata).
L'oggetto del contendere coinvolto nel primo motivo di ricorso sta, dunque, nello stabilire se nella delineata situazione di inutilizzabilità del bene competa o meno la menzionata esenzione, venendo così in gioco la verifica della sussistenza o meno del requisito oggettivo per godere del beneficio.
11.2. Questa Corte già in passato aveva affermato perentoriamente che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), subordina l'esenzione ICI all'esercizio, effettivo e concreto, di una delle attività indicate dalla norma (cfr. Cass. n. 10646/2005).
Successivamente la Corte ha chiarito il significato da attribuire alle due condizioni previste, sul versante del requisito oggettivo, per il riconoscimento dell'esenzione dall'imposta comunale sugli immobili, le quali sono costituite: a) dall'utilizzo dell'immobile da parte di uno dei soggetti di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c); b) dalla destinazione dell'immobile ad una delle attività ivi indicate, precisando che:
- "l'espressione "utilizzo" non fa riferimento ad un concetto dinamico di "concretezza o di effettività" relativamente allo "svolgimento" delle attività considerate dalla norma, ma indica solo la natura del rapporto tra l'immobile ed il soggetto che ne dispone (Cass., sez. 5, 16/04/2008, n. 9948, Rv. 602602 -01, in motivazione)";
- "Quest'ultima precisazione, invero, non si pone in contrasto con il pregresso arresto (che si riferisce in generale all'esercizio" dell'attività), ma consente di chiarire che l'effettività e la concretezza devono investire non tanto l'utilizzo", inteso quale svolgimento attuale e diretto delle attività previste dalla norma (che può anche venir meno per ragioni transitorie e contingenti, indipendenti dalla volontà del contribuente, come nel caso della citata Cass. n. 9948/2008, in cui si discorreva di un terreno non effettivamente utilizzato perché inagibile), bensì la "destinazione" impressa all'immobile dal soggetto che lo "utilizza"…";
- "Quel che rileva, dunque, è la circostanza che l'immobile sia effettivamente ed attualmente "destinato" allo svolgimento di una delle attività esenti, secondo le concrete possibilità contingenti, le quali possono anche richiedere dei tempi strumentali per costruire o ristrutturare gli edifici in cui svolgere l'attività, nonché per compiere le necessarie pratiche burocratiche";
- "Ferma restando la necessità che tale destinazione sia "utilizzata" dal soggetto che invoca l'esenzione, utilizzazione che può concretizzarsi anche nella esecuzione delle attività necessarie a rendere attuale l'esercizio dell'attività cui l'immobile è destinato";
- "Per cui, se è vero che la mera statica adeguatezza strutturale del bene allo svolgimento di una determinata attività non è rilevante, ove ad essa si affianchi un comportamento inerte del proprietario, essendo piuttosto necessario un comportamento attivo e dinamico volto a realizzare concretamente quella destinazione solo potenziale, ciò non di meno l'inutilizzabilità del bene per uno stato meramente transitorio e reversibile non preclude il riconoscimento dell'esenzione". (così Cass. n. 10289/2019, con sottolineature aggiunte).
E' stato, altresì, chiarito che "… l'esenzione non spetta quando l'immobile perda il carattere di strumentalità all'esercizio delle attività considerate…" (cfr. Cass. n. 9948/2008) e che "il mancato utilizzo effettivo dell'immobile, per essere irrilevante ai fini del riconoscimento dell'esenzione, deve avere una "causa" che ne escluda il possibile significato che sia cessata la strumentalità del bene all'esercizio delle attività protette", così come, "pur essendo vero che la destinazione dell'immobile, per prevalere ai fini del riconoscimento dell'esenzione, non può essere una destinazione che resti concretamente inattuata, è altrettanto vero che non ogni mancato utilizzo sia capace di escludere il diritto al trattamento agevolato, ma solo quello che sia indizio di un mutamento della destinazione o della cessazione della strumentalità del bene" (cfr. Cass. n. 20516/2016, ma, nello stesso senso, anche Cass. n. 9100/2020).
11.3. A questi principi ha aderito espressamente la pronuncia di questa Corte n. 3445/2021, la quale ha citato i precedenti sopra indicati, allineandosi all'orientamento ivi prospettato.
La difesa della controricorrente richiama a sostegno della sua tesi i passaggi motivazionali della predetta ordinanza nella parte in cui ha ritenuto che "ai fini dell'esenzione… debba prevalere la permanenza potenziale della destinazione, restando irrilevante l'eventuale impossibilità temporanea di utilizzo effettivo del bene" e che la perdita dell'esenzione in oggetto "può giustificarsi soltanto in presenza di una situazione di fatto o di una scelta dell'ente pubblico che determini l'irreversibile inutilizzabilità del bene per l'attuazione delle finalità istituzionali (come nel caso del venir meno della sua disponibilità), non essendo sufficiente a tal fine la sopravvenienza di una materiale interruzione (ancorchè di imprevedibile durata) nella latente continuità della vocazione funzionale del bene, anche se il ripristino dell'originaria destinazione (seppure in relazione strumentale ad un diverso settore della medesima amministrazione) possa dipendere dalle scelte organizzative o dalle esigenze finanziarie dell'ente pubblico" (così Cass. n. 3445/2021).
Senonché, le suindicate affermazioni di principio non mutano l'orientamento di questa Corte nei termini sopra riportati e richiamati dalla menzionata ultima ordinanza e vanno intesi nel senso di riconoscere l'irrilevanza del mero temporaneo inutilizzo del bene per ragioni più o meno transitorie, contando, invece, ai fini della perdita del beneficio, il venir meno del carattere strumentale dell'immobile rispetto alle attività cui era destinato.
11.4. Resta così fermo l'ordine di idee secondo cui "il mancato utilizzo effettivo dell'immobile, per essere irrilevante ai fini del riconoscimento dell'esenzione, deve avere una "causa" che ne escluda il possibile significato che sia cessata la strumentalità" (cfr. Cass. n. 20516/2016, richiamata da Cass. n. 3445/2021), giustificazione questa che, nella fattispecie in rassegna, era esigibile a fronte del significativo protrarsi della situazione dell'inutilizzo del bene per lo scopo cui era destinato, in termini sintomatici di una cessazione di tal nesso funzionale.
La difesa della controricorrente non ha allegato ed offerto elementi capaci di rappresentare che le ragioni del citato inutilizzo avessero un significato diverso del venir meno del citato nesso.
Anzi, nell'ultima memoria è risultata confermata l'inesistenza di una differente spiegazione, dovendosi prendere atto che "la crisi notoria delle vocazioni religiose e la drastica riduzione del numero di seminaristi che, nel volgere di un tempo relativamente breve, ha reso necessaria una riprogrammazione dell'immobile alle finalità istituzionali dell'ente…" (v. pagina n. 12 della memoria ex art. 378 c.p.c.), il che spiega la ragione per la quale negli anni successivi al 2002 il complesso immobiliare sia stato oggetto di trattative di vendita sino a giungere all'autorizzazione canonica del 24 luglio 2019 alla vendita dell'immobile, come rappresentato dalla difesa del Seminario.
Sul punto va ulteriormente osservato che nessun rilievo può assumere la dedotta immanente destinazione religiosa dei beni del Seminario, siccome funzionali all'esecuzione del programma istituzionale della Chiesa cattolica, giacché tale assunto riposa su di una statica idea funzionale del bene, laddove l'esenzione in oggetto opera laddove la destinazione all'attività tutelata sia effettiva e concreta, circostanza questa da escludere nella fattispecie in esame, alla luce delle risultanze processuali sopra ricordate.
Allo stesso modo, non è utile alle tesi del controricorrente il riferimento all'art. 7, comma 4, dell'Accordo di Villa Madama del 1984 (di revisione del concordato lateranense), secondo cui "le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime" e soprattutto il rilievo che la difesa del Seminario ne trae e cioè che "laddove tali attività profane, vale a dire "diverse da quelle di religione", non sono poste in essere (come nel caso di specie), non può trovare spazio alcuna tassazione, nè reddituale, nè patrimoniale" (così a pagina n. 14 della memoria ex art. 378 c.p.c.).
La citata disposizione, infatti, stabilisce che le attività diverse da quelle religiose o di culto svolte dagli enti ecclesiastici sono soggette al relativo regime tributario e tale previsione, di certo, non può legittimare la tesi della detassazione relativamente a beni degli enti ecclesiastici in cui non si svolgono attività, sol considerando che - al contrario - il regime delle esenzioni disciplinato dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), condiziona l'agevolazione - tra l'altro - per gli immobili utilizzati dagli enti ecclesiastici alla loro effettiva destinazione alla formazione del clero e quindi alla sussistenza un concreto svolgimento dell'attività protetta.
In tale direzione, dunque, la rivendicata, ma non decifrabile in termini concreti, "latente continuità funzionale del bene alla destinazione istituzionale" (v. sempre pagina n. 12 della memoria ex art. 378 c.p.c.) e la mera destinazione potenziale del bene all'attività di formazione del clero ritenuta dal Giudice dell'appello si pongono in contrasto con la previsione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), nei termini interpretati da questa Corte.
La Commissione regionale, infatti, ha riconosciuto il beneficio, nonostante che l'originaria destinazione dell'immobile di cui è causa avesse assunto una connotazione astratta, ipotetica, virtuale, come tale incompatibile con quel carattere di concretezza, effettività ed attualità richiesti dalla norma di esenzione, la quale postula che "il soggetto che ha l'utilizzo dell'immobile deve altresì effettivamente e concretamente "destinarlo" all'attività ritenuta dal legislatore meritevole di usufruire del regime di favore in materia di ICI" (così Cass. n. 10289/2019), come del resto si desume dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 2 secondo cui "l'esenzione spetta per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte".
12. - Sul secondo motivo di impugnazione principale - L'esame di tale censura, fondata sulla dedotta incompatibilità dell'esenzione in oggetto con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa dell'Unione Europea, resta assorbita nella valutazione che precede, che ha escluso l'operatività del beneficio.
13. - Sul terzo motivo di impugnazione.
Anche tale doglianza risulta fondata.
13.1. la L. n. 212 del 2000, art. 10 nello stabilire, al comma 1, che "I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede", dispone poi, al comma 2, per quel che più rileva nel presente giudizio che "Non sono irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa".
13.2. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che le ipotesi suindicate riguardano situazioni meramente esemplificative, legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, di un principio che ha portata generale, come tale idoneo a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti.
Più in generale, la Corte ha chiarito che "i presupposti, che integrano una situazione di legittimo affidamento del contribuente di fronte all'azione dell'Amministrazione finanziaria e che consentono al primo di invocarne la relativa tutela, possono così individuarsi: 1) - un'attività dell'Amministrazione finanziaria idonea a determinare una situazione di "apparenti" legittimità e coerenza dell'attività stessa in senso favorevole al contribuente; 2) - la conformazione "in buona fede" (in senso soggettivo) - raffidamento", appunto - da parte di quest'ultimo alla situazione giuridica "apparente", purché nel contesto di una condotta dello stesso ("buona fede" in senso oggettivo) - anteriore, contemporanea e successiva all'attività dell'amministrazione - connotata dall'assenza di qualsiasi violazione del generale dovere di correttezza gravante sul medesimo (affidamento "legittimo"); 3) - l'eventuale presenza di circostanze specifiche del caso concreto e "rilevanti", idonee, cioè, a costituire altrettanti "indici" della sussistenza o dell'insussistenza dei predetti presupposti…" (così Cass. n. 17576/2002 e successivamente nello stesso senso, Cass., 22 settembre 2003, n. 14000; Cass., 9 novembre 2011, n. 23309; Cass., 14 gennaio 2015, n. 537; e Cass., 11 maggio 2021, n. 12372).
13.3. Ora, nella fattispecie in rassegna, va osservato, in punto di fatto, che in data 25 luglio 2008 il Comune comunicò l'avvio di un procedimento ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 7 per la verifica dell'assoggettabilità ad ICI del compendio seminariale, chiedendo al Seminario di chiarire le ragioni del mancato pagamento dell'imposta alla luce della situazione di inutilizzo del bene.
L'ente ecclesiastico, con nota del 13 ottobre 2008, riferì che i fabbricati "facenti parte del complesso del Seminario Vescovile sito in (---) inutilizzati ed al momento a disposizione, non hanno avuto a tutt'oggi alcun altro utilizzo atteso anche che il P.R.G. adottato dal Consiglio Comunale di Selvazzano con Delib. 18 novembre 2003, n. 56 ha ricondotto la proprietà in zona F3 precisandone l'utilizzo ad attività religiosa con espressa esclusione sia di ogni forma di residenzialità che dell'attività socio-assistenziale e quindi esenti ICI D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 7, lett. i)" (così a pagina n. 4 del controricorso).
Risulta pure pacifico che il Comune ha usufruito anche per l'anno d'imposta in oggetto ((---)) il contributo statale di cui alla L. n. 206 del 2003, art. 2, comma 2, in ragione del mancato introito dell'imposta.
Allo stesso modo, va considerato quale dato di fatto acquisito al processo la circostanza che l'immobile "negli anni successivi (ndr. al 2002) è stato oggetto di trattative per la sua cessione concretizzate anche in contratti preliminari di vendita" (così a pagina n. 2 della sentenza impugnata).
In data 7 gennaio 2014 il Comune ha poi notificato l'avviso di accertamento impugnato.
13.4. Ciò posto, si osserva che il mero silenzio, serbato su di una interlocuzione, avviata dal Comune con la richiesta di chiarimenti, con il contribuente, che aveva sostenuto la non debenza (per esenzione) del tributo, non risulta idoneo a giustificare un legittimo affidamento, non assumendo carattere univoco.
Non è pertinente, al riguardo, il riferimento alla L. n. 241 del 1990, art. 2 circa il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro un dato termine, giacché la citata disposizione non si applica al procedimento tributario (cfr. Cass., maggio 2021, n. 14733), valendo semmai l'omessa adozione del provvedimento a rafforzare il carattere neutro del silenzio sotto il profilo dell'invocato affidamento.
Piuttosto, ad escludere, secondo i principi innanzi ricordati, la sussistenza di un affidamento legittimo è la considerazione che il debitore-contribuente era tenuto a dichiarare ogni circostanza utile ai fini della valutazione della ricorrenza dell'esenzione e che la risposta del Seminario aveva omesso di rappresentare una circostanza di significativo rilievo per le valutazioni del Comune, rappresentata non solo dal fatto "che il complesso non è più utilizzato per la formazione del clero sin dal Settembre 2002, ma anche che "negli anni successivi è stato oggetto di trattative per la sua cessione, concretizzate anche in contratti preliminari di compravendita" (v. pagina n. 2 della sentenza impugnata e sul punto non oggetto di contestazione), elemento questo che, indubbiamente, integra l'indice sintomatico della recisione di quel rapporto di strumentalità con l'attività tutelata, posta a base dell'esenzione.
In tali termini, va riconosciuto che il Giudice regionale ha omesso di considerare che la condotta del Seminario non si era uniformata ai canoni di buona fede oggettiva "anteriore, contemporanea e successiva all'attività dell'amministrazione, connotata dall'assenza di qualsiasi violazione del generale dovere di correttezza gravante sul medesimo" (cfr. Cass. n. 17576/2002 e la giurisprudenza sopra citata, da ultimo, Cass. n. 12372/2021), come richiesto dalla riflessione di questa Corte, il che induce a ritenere, con valore assorbente rispetto ad ogni valutazione sul punto, sussistente la dedotta violazione di legge.
14. Va, infine, rigettato il ricorso incidentale proposto dal Seminario.
14.1. Come sopra esposto, la difesa della controricorrente ha eccepito l'inammissibilità del ricorso principale per difetto d'interesse ad agire ed in ragione della dedotta consumazione del potere impositivo, giacché per il periodo d'imposta controverso il Comune ricorrente aveva già richiesto e incassato dallo Stato il rimborso contemplato dalla legge per il mancato introito ICI, in diretta correlazione con la specifica esenzione.
I motivi posti a fondamento dell'eccezione si sono articolati sul rilievo (diffusamente sviluppato anche nella memoria ex art. 378 c.p.c. e poi in sede di discussione) che tra l'esenzione ed il rimborso nel sistema della L. n. 206 del 2003 vi è corrispondenza biunivoca e non già autonomia e distinzione, nonché sul difetto dell'interesse ad agire concreto ed attuale di cui all'art. 100 c.p.c., avendo il Comune - come sopra ricordato sempre riscosso, a partire dall'annualità 2004, tramite il meccanismo previsto dalla L. n. 206 del 2003, l'intera somma corrispondente al gettito ICI degli immobili controversi, per cui la podestà impositiva sarebbe venuta a mancare tout court.
Ritiene così la difesa del Seminario che la pretesa si risolve in un'ingiusta duplicazione, richiamando, sul punto, la circostanza dell'aliunde perceptum, automaticamente previsto dalla stessa L. n. 206 del 2003 tramite la contestuale istituzione dell'apposito meccanismo di trasferimento aggiuntivo da parte dell'erario, con conseguenziale esaurimento del potere impositivo.
14.2. Le ragioni sopra esposte non possono essere condivise.
Il conseguimento del rimborso opera sul piano dello (stretto) ambito di applicazione della L. n. 206 del 2003 e non anche in relazione agli effetti, in tesi, preclusivi dell'esercizio del potere impositivo.
Una siffatta preclusione non consegue, infatti, da alcuna espressa disposizione e sarebbe in contrasto con il principio di tipicità che connota i provvedimenti di imposizione tributaria, nonché con quello di tassatività delle norme agevolative/esonerative, le quali, derogando al sistema generale, sono di stretta interpretazione e non possono essere applicate in via estensiva o analogica, non potendo operare in situazioni non riconducibili al significato letterale delle norme che le prevedono.
Sotto il primo profilo, dal conseguimento del rimborso la controricorrente riconnette effetti giuridici che eccedono la stessa disciplina positiva del rimborso, facendo, alla fine, gravare sulla collettività la tesi di un'asserita insussistente fattispecie impositiva, che risulta essersi basata su di una erronea interpretazione delle circostanze di fatto determinata anche del predetto deficit informativo.
In siffatti termini, non vi può essere consumazione del potere impositivo, non essendo stato lo stesso esercitato, risultando, per altra via, impensabile una rinuncia al suo compimento, restando piuttosto il medesimo recuperabile entro i limiti temporali della decadenza del potere impositivo.
Conseguentemente sussiste in re ipsa l'interesse ad agire per recuperare dal contribuente l'imposta non versata.
Sotto il secondo profilo, il rimborso risulterebbe destinato, in violazione, appunto, del principio di tassatività, a realizzare un ampliamento del regime esentativo, con riconoscimento dell'effetto derogatorio (all'applicazione del tributo) pur in difetto della tassativa fattispecie di esenzione dal tributo.
Viceversa, ed in conclusione, dimostratisi insussistenti i presupposti dell'esenzione, il rimborso erogato è divenuto oggettivamente indebito, ma ciò non può che interessare i soli rapporti tra Stato ed ente locale nel cui ambito si è realizzato il non dovuto trasferimento di risorse economiche, a prescindere dall'emanazione di un provvedimento espresso di revoca delle certificazioni e attestazioni comunicate alla Prefettura e di conclusione del procedimento amministrativo sulla spettanza dell'agevolazione, non più rilevante ed esigibile a fronte di una pronuncia giudiziale che nega la sussistenza dell'esenzione.
15. Alla stregua delle riflessioni che seguono il ricorso va, pertanto, accolto nel suo primo e terzo motivo, con assorbimento del secondo, mentre va rigettato il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata e, non essendo necessari accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, rigettando l'originario ricorso presentato dal Seminario contro il suindicato avviso di accertamento.
16. Il progressivo affermarsi dei principi sopra svolti, con i chiarimenti suindicati, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio relativamente alle fasi di merito.
Seguono, invece, la soccombenza quelle di legittimità, le quali si liquidano secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 nella misura indicata in dispositivo.
17. Va, infine, dato conto che ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del Seminario Vescovile di Padova di un ulteriore importo pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso incidentale.
P.Q.M.
la Corte:
a. accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il secondo motivo e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente;
b. compensa integralmente tra le parti delle spese di giudizio relativamente alle fasi di merito;
c. condanna il Seminario Vescovile di Padova al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore del Comune di Selvazzano Dentro nella somma di 10.000,00 Euro per competenze, 1.500,00 Euro per il rimborso forfettario delle spese generali e 200,00 Euro per spese vive, oltre accessori;
d. dì atto che ricorrono i presupposti per il versamento da parte del Seminario Vescovile di Padova di un ulteriore importo pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso incidentale.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Quinta della Corte di cassazione, il 14 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2022
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