Sentenza del 30/09/2016 n. 19500 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Ritenuto in fatto
In data 25.7.2003 la società C. P. G. spa presentava istanza di rimborso del credito di imposta Irpeg per l'anno 1994, ammontante a Lire 168.053.000, già esposto nella dichiarazioni Mod. 760/94.
A seguito del silenzio rifiuto della Agenzia delle Entrate, la società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Bologna che lo accoglieva con sentenza n. 210 del 2007.
L'Agenzia delle Entrate proponeva appello, osservando che la società non aveva documentato, come era suo onere, l'effettiva esistenza del credito di imposta. La Commissione tributaria regionale rigettava l'appello con sentenza del 25.1.2010, ritenendo che il credito esposto in dichiarazione doveva ritenersi definitivamente consolidato a seguito del mancato esercizio del potere di rettifica, ad opera dell'Ufficio, nei termini di decadenza previsti dalla legge.
Contro la decisione del giudice di appello l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per i seguenti motivi: 1)violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36 bis, 36 ter, 42 e 43 e art. 2697 c.c. , in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, nella parte in cui ha esonerato la contribuente dall'onere della prova in ordine ai fatti costitutivi del credito vantato; 2) omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso, in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, con riguardo alla eccezione sollevata dall'Ufficio circa la mancanza di documentazioni dell'asserito credito.
La società P. resiste con controricorsorso.
Considerato in diritto
1.Il primo motivo è fondato. La presentazione di una dichiarazione annuale dei redditi contenente l'esposizione di un credito di imposta, alla quale non sia seguita alcuna rettifica da parte dell'Amministrazione finanziaria nei termini di decadenza per l'azione accertatrice previsti dalla legge, non determina, per ciò solo, un consolidamento del credito di imposta indicato in dichiarazione, con conseguente diritto al rimborso. L'intervenuta decadenza dei termini per l'azione accertatrice comporta il divieto per l'Amministrazione finanziaria di svolgere attività di accertamento di un credito fiscale, a proprio favore, maggiore di quello risultante dalla dichiarazione; non determina, invece, alcuna preclusione alla facoltà della Amministrazione di contestare la sussistenza di un proprio debito, qualora sia destinataria di una richiesta di rimborso di un presunto credito di imposta presentata dal contribuente. La decadenza dalla facoltà di rettificare la dichiarazione integrativa non incide sulla procedura di rimborso prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, la quale pone a carico del contribuente, che assume di avere versato una somma superiore al dovuto, l'onere di dimostrare l'inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento, e consente all'Amministrazione finanziaria, presunta debitrice, di allegare i fatti impeditivi del rimborso richiesto, in conformità alla regola di distribuzione dell'onere probatorio desumibile dall'art. 2697 c.c. ed in applicazione del principio tipico di ogni rapporto obbligatorio, desumibile dall'art. 1442 c.c. , secondo cui l'azione è limitata nel tempo, l'eccezione è perpetua (in tal senso Sez. U, Sentenza n. 5069 del 15/03/2016, Rv. 639014).
2. Il secondo motivo è assorbito.
La sentenza deve pertanto essere cassata con rinvio per nuovo giudizio alla Commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016
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