Sentenza del 07/06/2023 n. 196 - Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Umbria - Sezione/Collegio 2

Testo

Viene all'esame del Collegio , a seguito di riassunzione da parte del contribuente, l'appello promosso a suo tempo dal medesimo avverso la sentenza provinciale numero 501/17, relativa al rifiuto opposto dalla agenzia delle entrate alla istanza di rimborso IVA presentata il 21 ottobre 2015. Tale appello è stato deciso dalla Commissione regionale con sentenza numero 116/19, poi cassata dalla Cassazione, a seguito di ricorso, con ordinanza numero 16104/22. Il profilo in diritto ritenuto dirimente per i Supremi Giudici ha riguardato la preclusione dell'accertamento con adesione a proporre l'istanza di rimborso delle somme versate (nello specifico IVA non compensata per cessazione dell'attività). La richiamata ordinanza ha statuito che la preclusione opera solamente nei riguardi delle somme versate in esecuzione dell'accertamento con adesione. Infatti "Nel caso in esame è pacifico fra le parti che il ricorso ha ad oggetto l'IVA a credito scaturente, nella prospettazione del contribuente, da fatture di acquisto per le ristrutturazioni degli immobili locati di sua proprietà, laddove l'accertamento con adesione si è riferito all'IVA derivante da accertamenti induttivi del reddito e del volume di affari." Il punto in diritto al quale convintamente questo Giudice deve orientare la propria decisione può essere sintetizzato nel senso che la irretrattabilità dell'accertamento dell'IVA a debito non implica quella sull'IVA a debito. In sintesi, la Cassazione ha dichiarato ammissibile l'istanza di rimborso. Ciò premesso deve il Collegio, in adempimento della pronuncia di Cassazione, ritenere ammissibile l'istanza di rimborso , per l'intero importo delle spese comunque documentate, anche in base alla esplicita annotazione apposta nella nota numero 48631/16 dell'Agenzia delle entrate circa la valorizzazione dell'eventuale documentazione successivamente depositata prodromica all'esercizio del potere di autotutela. L'esame degli atti di causa , alla luce della pronuncia di Cassazione, non può che portare all'accoglimento dell'appello, considerato che anche in sede dibattimentale l'Ufficio non ha introdotto elementi controdeduttivi utili a contrastare la positiva considerazione delle somme richieste a rimborso dal contribuente. Si richiama a riguardo il principio generale secondo il quale il contribuente ha diritto al rimborso dell'eccedenza di imposta nell'ipotesi di cessazione della attività (con correlata impossibilità compensativa) senza essere onerato di particolari adempimenti formali, fermo restando il supporto documentale a sostegno della rivendicazione del credito (onere nel caso adempiuto con la dimostrazione degli investimenti sugli immobili oggetto di attività di natura alberghiera) L'Ufficio nei precedenti gradi aveva sollevato la questione della competenza dell'Agenzia al rimborso maturato negli anni in cui la residenza fiscale del contribuente era in Umbria, mentre precedentemente era in Lombardia. Tale aspetto si collega alla particolare dinamica della vicenda, caratterizzata dalla riattivazione d'ufficio della sua partita IVA con inserimento nella categoria alberghi, anziché in quella relativa a "coltivazioni miste di cereali". L'istanza dalla quale scaturisce il contenzioso è unicamente quella del 21 ottobre 2015, che era indirizzata sia alla Agenzia di Perugia sia a quella di Brescia.. Il seguito di tutta la vicenda è stato però materialmente seguito dalla Agenzia di PERUGIA e conseguentemente dal Giudice tributario umbro. Il contribuente espone la tesi della concentrazione della competenza territoriale in rapporto al luogo di residenza alla data di presentazione dell'istanza di rimborso. Tale tesi è condivisa dal Collegio. In conclusione, la Corte ritiene che l'appello del contribuente sia meritevole di accoglimento, con conseguente diritto a ottenere il rimborso dell'IVA, limitatamente agli importi richiesti con la istanza del 21 ottobre 2015, restando esclusi quelli eventualmente rivendicati con altre successive istanze. Infatti: a) Superata la preclusione alla richiesta di rimborso dell'IVA a seguito della ricordata sentenza della Cassazione; b) Individuata la competenza della Agenzia delle entrate di PERUGIA a "gestire" l'istanza di rimborso prodotta quando il contribuente aveva la residenza in Umbria (incontroverso il fatto: 6 aprile 2009 riattivazione d'ufficio della partita IVA n. xxxxx con decorrenza retroattiva al 2000, data di conoscenza della riattivazione con comunicazione del 1 settembre 2015, proposizione istanza di rimborso 20 ottobre 2015, periodo interessato al rimborso dal 2000 al 2008). c) Incontroverso il fondamento giuridico della istanza di rimborso, in relazione al comma secondo dell'articolo30 del dpr 633/72 (diritto del contribuente a chiedere il rimborso dell'IVA in caso di cessazione dell'attività e chiusura della partita IVA attivata d'ufficio). d) Esistenza in atti di documentazione idonea a giustificare la richiesta, non contestata in giudizio neppuresotto il profilo della inerenza ed ammessa a valutazione anche dopo il diniego opposto dall'Ufficio, con rinvio ad un esercizio dell'autotutela , potere in vero non esercitato neppure dopo che la Cassazione ha superato la preclusione più volte richiamata. Le spese sono liquidate in dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Come in premesse P.Q.M. La Corte di giustizia tributaria di secondo grado di PERUGIA, accoglie l'appello in epigrafe, condannando l'Agenzia alle spese del presente grado e di quello di legittimità, liquidate in complessivi euro 10.000 (diecimila) oltre accessori di legge.

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