Sentenza del 20/03/2023 n. 213 - Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Abruzzo Sezione/Collegio 2
1. La società V.H. rilevava che la V.I. negli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 aveva distribuito dividendi in suo favore quale controllante olandese, che la possedeva al 99%, e che era stata successivamente fusa per incorporazione nella V. E. Pertanto, al momento del pagamento, la V. I. aveva prelevato, in via prudenziale, la ritenuta alla fonte del 5% prevista sia dalla convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e USA sia da quella tra Italia e Paesi Bassi. La società si era comportata in tal modo per prevenire il ripetersi di contestazione della Agenzia delle entrate ai sensi dell'articolo 27-bis, comma 5 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione vigente ratione temporis. L'Agenzia delle entrate di Asti, infatti, con riferimento agli anni dal 2007 al 2011, aveva ritenuto applicabile la clausola anti-abuso prevista dall'articolo 27-bis, comma 5 del d.P.R. n. 600 del 1973, sostenendo che il "vero" socio di V.I. non fosse la V.H., ma la capogruppo americana V.L. Pertanto, l'ufficio riteneva applicabile ai dividendi distribuiti da V.I. alla V.H. la ritenuta del 5% prevista dalla convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e USA. 2. Nell'istanza di rimborso, la ricorrente V.E. produceva la certificazione rilasciata dall'amministrazione finanziaria olandese che attestava che era fiscalmente residente in Olanda ed era soggetta di imposta; copia del libro soci e delle visure camerali. In realtà, la società V.H. era stata costituita nel 1970, quindi in un periodo anteriore all'introduzione della direttiva madre-figlia, relativa all'anno 1990 (direttiva 435/90/CE). La società V.I. è stata costituita nel 1984. La V. H., quindi, quale holding europea del gruppo svolgeva un'attività economica effettiva, qualificata come attività di impresa, e non costituiva una "costruzione artificiosa ". 3. Con ricorso presentato dinanzi alla CTP di Pescara avverso il silenzio della Agenzia delle entrate, la società V. E. sosteneva la sussistenza dei requisiti per beneficiare del regime di esenzione previsto dalla direttiva madre-figlia e, comunque, per l'applicabilità del regime generale dell'articolo 27, comma 3- ter, del d.P.R. n. 600 del 1973, con ritenuta dell'1,375%, applicabile alle distribuzioni di dividendi che non godevano dei benefici della direttiva madre-figlia intervenute tra società entrambe residenti nel territorio dell'Unione. 4. La Commissione tributaria provinciale di Pescara rigettava il ricorso presentato dalla società avverso il silenzio rifiuto sull'istanza di rimborso. In particolare, per la CTP "i documenti prodotti non provano gli effettivi accrediti delle somme, ma si tratta di copie di e-mail che danno conto di finanziamenti pregressi, di compensazioni e non costituiscono pertanto prova valida che la ricorrente sia stata effettiva beneficiaria di somme. Manca inoltre la prova che la ricorrente sia stata assoggettata in Olanda alla effettiva tassazione dei dividendi ed allo scomputo delle ritenute di fonte italiana". 5. Avverso tale sentenza ha proposto appello la società V. E., quale incorporante di V.H.. Con il primo motivo di appello la società eccepiva il vizio di omessa e/o apparente motivazione, avendo la CTP omesso totalmente di soffermarsi sui motivi di ricorso e "sui fatti e documenti allegati", essendo in ogni caso erronea perché la società aveva provato di essere l'effettivo beneficiario dei dividendi ad essa distribuita da V. I.. In particolare, evidenziava di svolgere un'attività economica effettiva, costituita dal coordinamento delle società operative controllate e da una effettiva gestione delle partecipazioni detenute. Inoltre, dai bilanci certificati emergeva che la società tratteneva per sì una parte significativa dei dividendi ricevuti e li riutilizzava ai propri scopi, mentre solo una modesta parte dei dividendi veniva "girata" in favore della V. L. negli USA. Inoltre, disponeva di un'articolata struttura organizzativa composta da 3 organi di governo e di un'adeguata sostanza nel territorio dello Stato di insediamento (Olanda). Il gruppo V., poi, impiegava in Olanda ben 117 persone al 31 dicembre 2013,135 persone al 31 dicembre 2014,162 persone al 31 dicembre 2015 e 161 persone al 31 dicembre 2016. Tra l'altro, la società forniva ulteriore documentazione sull'effettivo pagamento di imposte. Con il secondo motivo di appello la società contestava la motivazione della CTP che non aveva ritenuto provati: l'effettiva distribuzione dei dividendi alla società; l'applicazione su di essi delle ritenute alla fonte da parte di V. Italia; effettivo assoggettamento della società alle imposte sui redditi olandesi. Dalla documentazione bancaria emergeva l'effettiva erogazione dei dividendi al netto della ritenuta, "attraverso pagamenti in denaro, compensazioni o delegazioni di pagamento". 6. La Ctr regionale dell'Abruzzo rigettava l'appello affermando che "nel caso in esame, il beneficiario effettivo non è risultato coincidere con il mero formale percettore dei dividendi, non essendosi data prova in giudizio che il ricorrente sia stato colui che abbia avuto effettivamente in via definitiva il beneficio economico dell'operatore contabile. Difatti, è risultata essere una costante che per il periodo in esame (da 2013 al 2016) molteplici fossero le operazioni di compensazione per gran parte delle somme, tra società italiana e società controllante, oppure che vi fosse una cessione del credito, o ancora che la documentazione prodotta fosse solo riepilogativa di avvenuti esborsi, ma senza la prova effettiva del versamento delle somme. Quindi manca la prova effettiva del flusso di denaro a favore della società che si assume avere avuto versati i dividendi. Parimenti, è mancata la prova da parte della società di essere soggetto al pagamento delle relative imposte nel paese di residenza. Né si è dato minimamente prova dell'effettivo assolvimento di tali imposte". 7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per revocazione la società V. B.V., che ha incorporato la V. H. 8. Si è difeso con controdeduzioni il COP (Centro operativo di Pescara). 9. All'udienza del 22 febbraio 2023 la Corte di giustizia tributaria di secondo grado tratteneva la causa in decisione, provvedendo successivamente al deposito della motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di impugnazione per revocazione la società deduce "in via rescindente: nella parte in cui rigetta i motivi di appello numeri 1) e 2), la sentenza impugnata è affetta da errore di fatto revocatorio, in quanto il giudice ha erroneamente supposto (a) che nell'atto di appello la società avesse dedotto il versamento dei dividendi in denaro anziché mediante compensazione; e (B) assenza, nel fascicolo di causa, della documentazione probatoria concernente l'assoggettamento della società alle imposte olandesi e l'effettivo versamento di queste ultime". La sentenza sarebbe incorsa in due errori di fatto, attinenti alle due rationes decidendi. La prima statuizione, relativa alla insussistenza della qualifica di beneficiario effettivo della società contribuente, sarebbe affetta da un palese errore revocatorio, in quanto la società già in prime cure aveva prodotto idonea documentazione, relativa alle delibere di V.I. di distribuzione di dividendi alla società ricorrente, unitamente ai modelli F24 con quietanza di pagamento comprovanti il versamento al fisco italiano delle ritenute operate su tale distribuzione di dividendi. In sede di appello, poi, la società aveva dedotto che la maggior parte dei dividendi distribuiti da V.I. alla V.H. era costituita non da somme di danaro, ma da operazioni di compensazione di opposte partite debitorie, derivanti da finanziamenti in precedenza erogati proprio da V.I. alla società contribuente. Erano stati, dunque, prodotti i contratti di finanziamento tra V.I. e la società, la documentazione bancaria certificata attestante l'effettiva erogazione in danaro e tali finanziamenti, la corrispondenza concernente gli accordi della compensazione, le fatture relative al separato pagamento degli interessi relativi finanziamenti (documenti da 36 a 94). La sentenza di 2° grado, invece, ha ritenuto mancante la prova effettiva del flusso di denaro a favore della società che si assumeva aver avuto versati dividendi. Vi era dunque un errore di percezione sul contenuto dell'atto di appello; in tale sede, infatti, la società aveva dedotto l'avvenuto versamento dei dividendi mediante compensazione, producendo la relativa documentazione, mentre la sentenza ha omesso di pronunciarsi sulle circostanze dedotte dalla società, ritenendo che la stessa avesse dedotto (e cercato di provare) l'avvenuto pagamento in danaro dei dividendi ad essa distribuiti. Era evidente anche il carattere decisivo dell'errore. Inoltre, tale errore cade su "un punto non controverso", in quanto in alcun atto difensivo il COP aveva contestato la società di non avere percepito dividendi mediante compensazione. Il successivo errore revocatorio concerne la seconda statuizione. Anche in questo caso sono stati prodotti certificati di residenza fiscale rilasciati dall'amministrazione finanziaria olandese, attestante l'assoggettamento della società alle imposte olandesi negli anni 2013, 2014 2015 e 2016; le dichiarazioni dei redditi presentate nei Paesi Bassi (documenti 95,97,99 e 101), oltre alla attestazione dell'avvenuto pagamento a titolo definitivo delle relative imposte notificate dall'amministrazione finanziaria olandese (documenti 96,98,100 e 102). 2. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati. 2.1. Invero, per la Corte di cassazione l'errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l'esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l'altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l'esistenza o l'inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Cass., 10 giugno 2021, n. 16439). Inoltre, costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per cui l'errore di fatto previsto dall'art. 395 n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l'inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un'errata valutazione delle risultanze processuali (Cass., sez. 6-1, 26 gennaio 2022, n. 2236; Cass., sez. 5, 22 ottobre 2019, n. 26890 ). Pertanto, l'omesso esame di un fatto sostanziale o processuale può dare luogo ad un vizio di motivazione o alla violazione di norma processuale, ma non integra un errore revocatorio ai sensi dell'articolo 395, n. 4, c.p.c. che, viceversa, consiste nella viziata percezione o nella falsa supposizione (espressa e mai implicita) dell'esistenza o inesistenza di un fatto sostanziale o processuale, non controverso tra le parti, la cui esistenza o inesistenza e incontestabilmente esclusa o positivamente stabilita, dagli atti o documenti della causa (Cass., sez. 3, 26 maggio 2021, n. 14610). Costituisce, invece, ipotesi di revocazione quella per cui l'affermazione contenuta nella sentenza circa l'inesistenza, nei fascicoli processuali (d'ufficio o di parte), di documenti che, invece, risultino esservi incontestabilmente inseriti (in tal caso si trattava di fatture per costi ritenuti indeducibili per difetto di inerenza, non prodotti in giudizio secondo la C.T.R.); tale affermazione, infatti, non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell'art. 395, n. 4, c.p.c., e non di ricorso per cassazione (Cass., sez. 5, 26 gennaio 2021, n. 1562). 3. Nella specie, sia il giudice di prime cure che il giudice d'appello hanno escluso che la società ricorrente (V.E., incorporante la V. H.), sia stata la beneficiaria effettiva dei dividendi erogati dalla V.I., nel corso degli anni dal 2013 alla 2016. 3.1. Va chiarito la Corte di cassazione, con più pronunce conformi, ha delineato le caratteristiche del "beneficiario effettivo", in relazione a dividendi, interessi e canoni (da ultimo Cass., sez. 5, 10 luglio 2020, n. 14756; anche Cass., sez. 5, 6 settembre 2022, n. 26290). Si è evidenziato che la prassi internazionaltributaria ha elaborato il concetto di "beneficiario effettivo" al fine di contrastare quelle pratiche volte proprio a trarre profitto dalla autolimitazione della podestà impositiva statale; in particolare, in ambito OCSE, il concetto di "beneficiario effettivo" è comparso per la prima volta nel modello di convenzione del 1977, negli articoli 10 e 11 (dedicati rispettivamente a regime di tassazione di dividendi e degli interessi). La prassi statale si è, quindi, conformata a tale orientamento, adottando la clausola del "beneficiario effettivo" ("beneficial owner") nei diversi trattati sottoscritti (Cass., sez. 5, 19 dicembre 2018, n. 32840; Cass., sez. 5, 16 dicembre 2015, n. 25281; Cass., sez. 5, 28 dicembre 2016, n. 27116). Tale clausola generale dell'ordinamento fiscale internazionale è volta ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping, con lo scopo di riconoscere la protezione convenzionale a contribuenti che, altrimenti non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subito un trattamento fiscale, comunque, meno favorevole. Il treaty shopping implica lo sfruttamento delle differenze nei trattati stipulati fra le varie nazioni, mediante la frapposizione di un soggetto residente in uno Stato terzo (conduit) nel flusso reddituale tra lo Stato della fonte e quello del beneficiario effettivo. Pertanto, può fruire dei vantaggi garantiti dai trattati il "beneficiario effettivo", ossia solo il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell'altro stato contraente, che abbia l'effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione (Cass., sez. 5, 30 settembre 2019, n. 24287). Infatti, nel caso degli agenti, dei nominees e delle conduit companies, che operano quali fiduciari, il percettore degli interessi non ne è il beneficiario effettivo, in quanto il medesimo non ha il diritto di disporre degli interessi percepiti, ma ha l'obbligo di trasferirli ad altro soggetto. La società conduit è un soggetto che si frappone nei rapporti tra erogante e beneficiario finale, come soggetto percipiente solo formalmente, la cui costituzione non è supportata da motivazioni economiche apprezzabili diverse dal risparmio fiscale. La società "condotto" funge da mero "canale di transito" dei redditi, quindi dalla fonte al beneficiario finale, sicché la scelta di "canalizzazione" si giustifica unicamente nelle più vantaggiose implicazioni fiscali del "transito". Il "beneficiario effettivo", invece, ha sia la titolarità che la disponibilità del reddito percepito e non è tenuto ad alcun trasferimento dello stesso a terzi (in tal senso anche circolare della Agenzia delle entrate 2 novembre 2005 n. 47/E). Si è precisato nella versione 2014 del Commentario al modello OCSE che rileva ai fini della individuazione del beneficiario effettivo, non già il diritto esclusivo ad usare e godere dei flussi reddituali ("the full right to use and enjoy"), come previsto nel draft (bozza) del 2011, ma la circostanza che il diritto del beneficiario dei flussi non sia vincolato da specifici obblighi legali o contrattuali di ritrasferimento ("recipient's right to use and enjoy …is constrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another persone"). Pertanto, nella prassi OCSE nei casi di agente, nominee, conduit company, fiduciario o amministratore, il percettore non è qualificabile come beneficiario effettivo perché il suo diritto di godere e disporre dei flussi è limitato da un'obbligazione legale o contrattuale di trasferire i pagamenti ricevuti a terzi (in tal senso anche Nota n. 17/2016 di Assonime, analizzando la beneficial ownership clause nel contesto specifico dei "dividendi" in uscita). Tale obbligo che, di norma, deriva da documenti legali, ma può anche discendere da circostanze di fatto, deve però riguardare lo specifico pagamento ricevuto. La Corte ha, poi, affermato che il Commentario Ocse, pur non avendo valore normativo, costituisce, comunque, una raccomandazione diretta ai paesi aderenti all'OCSE (Cass., sez. 5, 28 luglio 2006, n. 17206). Inoltre, il valore interpretativo del modello Ocse si rinviene in numerosi precedenti di legittimità (Cass., 32842/2018, in tema di royalties per il concetto di "beneficiario effettivo"; Cass., 7 settembre 2018, n. 21865, in materia di redditi percepiti all'estero dagli artisti; Cass., 10 novembre 2017, n. 26638, in relazione alla Convenzione Italia-Federazione Russa per l'individuazione della residenza della persona fisica; Cass., 33218/2018 con riferimento alla stabile organizzazione). 3.2. La Corte di cassazione ha anche affermato, proprio in materia di dividendi, che anche una subholding "pura" può essere considerata "beneficiario effettivo", ove gli stessi siano regolarmente appostati in bilancio e siano quindi aggredibili dai creditori e liberamente utilizzabili (Cass., sez. 5, 28 dicembre 2016, n. 27112). In particolare, si è ritenuto che la circostanza che la società percipiente detenga, tra le proprie attività, unicamente delle partecipazioni di controllo, così come l'eventualità che essa stessa sia a sua volta controllata interamente da altra società non residente in uno Stato stipulante (c.d. controllo "a cascata"), non comprovano, di per sì, l'artificiosità ovvero la strumentalità della medesima. In tal caso, è necessario valutare alcuni parametri-spia per valutare in concreto la sussistenza dell'unico elemento normativamente rilevante ai fini della nozione di "beneficiario effettivo", costituito dalla padronanza ed autonomia della società-madre percipiente, sia nell'adozione delle decisioni di governo ed indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattenimento ed impiego dei "dividendi" percepiti (tale era il caso in cui si è pronunciata la Corte di cassazione), in alternativa alla loro tassazione alla capogruppo sita in un Paese terzo. In caso di holding o subholding "pura", quindi, non può farsi riferimento agli elementi caratteristici della società operativa, dando rilievo ai modesti crediti operativi, alla mancanza di dipendenti e di una struttura organizzativa adeguata, dovendosi, invece, apprezzare l'autonomia organizzativa e gestionale della società. Inoltre, la relazione di controllo tra capogruppo ed holding, o sub-holding, avente ad oggetto la pura detenzione di partecipazioni geografiche non esclude di per sì che quest'ultima sia dotata di autonomia organizzativa e gestionale. 4. Ciò premesso, il giudice d'appello ha proceduto alla valutazione degli elementi istruttori, con riferimento alla qualifica della società contribuente quale beneficiaria effettiva dei dividendi erogati dalla V.I., giungendo a ritenere l'insussistenza di tale qualifica per la mancata dimostrazione dell'effettivo versamento di somme di denaro in favore della V.H. (ora V. B.V.), ed escludendo l'idoneità, a tale scopo, dell'utilizzo di modi differenti di adempimento, quali le cessioni di credito o le compensazioni (cfr. motivazione della CTR "difatti, è risultata essere una costante che per il periodo in esame - dal 2013 al 2016 - molteplici fossero le operazioni di compensazione per gran parte delle somme, tra la società italiana e la società controllante, oppure che vi fosse una cessione del credito, o ancora che la documentazione prodotta fosse solo riepilogativa di avvenuti esborsi, ma senza la prova effettiva del versamento delle somme. Quindi manca la prova effettiva del flusso di denaro a favore della società che si assume avere avuto versato dividendi "). Pertanto, a prescindere dalla correttezza o meno di tale affermazione, ciò che è evidente è che la Ctr ha preso in esame tutto il patrimonio istruttorio prodotto dalla società contribuente, dimostrativo dell'erogazione dei dividendi, anche attraverso operazioni diverse dal concreto versamento delle somme, quindi avvalendosi anche di cessioni di credito, di delegazione di pagamento e di compensazione tra somme erogate a titolo di finanziamento dalla V.I. alla propria controllante (con conseguente debito della controllante), con le somme erogate a titolo di dividendi (con conseguente credito della medesima controllante). Ciò emerge dalla documentazione imponente prodotta in corso di causa da cui emergono sia bonifici effettuati in favore della società controllante (documenti nn. 85), sia compensazioni dei rispettivi crediti (documenti n. 58), sia delegazioni di pagamento (si delega la V.I. a pagare in favore della V.L. negli USA; documento n. 69), sia ad estratti conto (documento n. 80 del 13 ottobre 2015 per la somma di euro 1.318.913,22). Pertanto, non soltanto i fatti erano "controversi", tanto che la CTR ha provveduto ad indicare i vari modi di estinzione delle obbligazioni, facendo riferimento ad operazioni di compensazione, oltre che alla cessione del credito, ma gli elementi istruttori sono stati comunque valutati dal giudice d'appello, non ricorrendo, dunque, i presupposti per l'azione di revocazione. Le medesime argomentazioni valgono anche per il secondo motivo di revocazione, in quanto il giudice d'appello risulta avere valutato i documenti prodotti dalla società, giungendo però alla conclusione che non fosse stata fornita la prova dell'assoggettamento al pagamento delle imposte nel paese di residenza, oltre che "dell'effettivo assolvimento di tali imposte". Ciò si deduce dal contenuto dei documenti allegati sub 96, 98, 100 e 102, dai quali risulta, seppure in lingua olandese, che "te betalen \? 0", ossia che da pagare vi fosse la somma uguale a zero. A prescindere, quindi, dalla correttezza o meno del ragionamento compiuto dalla CTR, quel che rileva è l'insussistenza dei presupposti per la revocazione, in quanto il giudice d'appello ha preso in esame documenti prodotti. Pertanto, su entrambe questioni i fatti erano "controversi" e v'è stata espressa presa di posizione da parte del giudicante, a prescindere dalla correttezza in diritto della decisione assunta. La mancata dimostrazione delle movimentazioni finanziarie e l'inidoneità a tal fine delle compensazioni effettuate hanno rappresentato un punto controverso di discussione tra le parti nel corso del giudizio. La ricorrente, invece, in sede di revocazione, ha chiesto un nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie, non consentito in questa sede. 5. Le spese del giudizio di revocazione, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico della società e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a rimborsare in favore dell'Agenzia delle entrate (COP \- Centro Operativo di Pescara) le spese del giudizio di revocazione che si liquidano in complessivi euro 7.000,00, oltre accessori di legge se dovuti.
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